Castiadas, a differenza di molti altri centri sardi, non presenta un agglomerato urbano unitario, ma è un insieme di borgate rurali sparse tra vallate e campagne. Il primo nucleo moderno sorse in località Pirastu o Piradis, dove oggi si trovano le antiche carceri di Castiadas, simbolo della storia recente del territorio.
La zona è tuttavia ricchissima di testimonianze archeologiche che raccontano una frequentazione umana antichissima. In località Cala Pira e Santa Giusta si trovano resti punici e romani, mentre nelle aree interne emergono nuraghi, menhir, domus de janas e tombe dei giganti, che documentano la presenza di popolazioni nuragiche e prenuragiche.
Durante l’epoca fenicia, Castiadas e la sua costa assunsero un ruolo strategico nel commercio marittimo tra la Sardegna e l’Etruria, la regione dell’Italia centrale abitata dagli Etruschi. Le rotte che collegavano i porti sardi con quelli dell’Etruria favorirono scambi di metalli, ceramiche e beni di lusso, ma anche un profondo dialogo culturale e commerciale tra le due civiltà mediterranee.
Oggi i resti disseminati lungo il territorio di Castiadas testimoniano questo intenso passato di scambi e connessioni, rendendo l’area una delle più interessanti della Sardegna sud-orientale dal punto di vista storico e archeologico.
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Malaria e oblio: il lungo silenzio di Villanova Castiadas
In epoca medievale, il territorio di Villanova Castiadas entrò a far parte del Giudicato di Cagliari, uno dei quattro regni sardi indipendenti che governarono l’isola tra l’XI e il XIII secolo. Con la successiva conquista aragonese, l’area passò sotto il controllo della potente famiglia catalana dei Carroz, che ne gestì i terreni e le risorse agricole per diversi decenni.
Tuttavia, alla fine del Cinquecento, le caratteristiche umide e paludose della costa di Castiadas, un tempo fertili e produttive, divennero la causa della sua decadenza e progressiva abbandono. Le acque stagnanti e i terreni mal drenati favorirono la diffusione della malaria, insieme a ricorrenti epidemie di peste, che resero la zona pressoché inabitabile.
Per oltre 350 anni, Castiadas rimase immersa in un lungo periodo di oblio, priva di insediamenti stabili e attività agricole. Solo in epoca moderna, con le bonifiche ottocentesche e novecentesche, il territorio poté essere nuovamente recuperato e tornare a vivere.

Le bonifiche piemontesi e la rinascita del territorio
Intorno alla metà dell’Ottocento, durante il governo sabaudo della Sardegna, furono avviati importanti interventi di bonifica e risanamento ambientale per contrastare le epidemie e favorire la ripresa economica dell’isola.
A partire dal 1850, il governo piemontese decise di mettere in atto una massiccia politica di risanamento delle aree paludose, rese insalubri da secoli di abbandono e da continue infestazioni di malaria e peste che avevano decimato la popolazione rurale.
Tra le zone più interessate da questi interventi vi fu quella di Villanova Castiadas, tristemente nota per la presenza di ampie paludi costiere e terreni impregnati d’acqua. Le opere di prosciugamento e canalizzazione consentirono di recuperare gradualmente superfici agricole fertili, aprendo la strada alla rinascita agricola e insediativa dell’area.
Le bonifiche piemontesi in Sardegna segnarono dunque una svolta fondamentale nella storia di Castiadas, trasformando un territorio per secoli inospitale in una delle zone più produttive del Sud-Est sardo, ponendo le basi per il futuro sviluppo del paese moderno.

Mano d’opera carceraria e nascita della colonia penale
I costi elevati delle bonifiche nella zona di Castiadas spinsero il governo sabaudo a cercare una soluzione economica e funzionale. Così, nel 1871, la Direzione Generale delle Carceri di Roma deliberò la creazione di una colonia penale agricola destinata al recupero delle terre paludose del Sud-Est sardo. L’obiettivo era duplice: risanare l’ambiente con opere di sistemazione idraulica e reinserire i detenuti attraverso il lavoro agricolo controllato.
La manodopera carceraria, composta inizialmente da condannati a pene lievi, fu impiegata nella costruzione dei canali di scolo, nella coltivazione dei terreni e nella realizzazione delle prime strutture della colonia. L’uso dei detenuti come forza lavoro rese possibile l’avvio dei lavori di prosciugamento e messa a coltura di aree fino ad allora considerate inospitali.
Nel 1875, un sopralluogo del Genio Civile di Cagliari e di funzionari governativi confermò la bontà del progetto: il Salto di Castiadas, fino ad allora un territorio abbandonato e insalubre, fu dichiarato area da bonificare e valorizzare.
Da quel momento, Castiadas iniziò un lungo processo di trasformazione agricola e sociale, diventando un esempio di recupero ambientale e umano unico in Sardegna.
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1875: la costruzione della colonia penale agricola di Castiadas
Nel 1875 prese ufficialmente avvio il grande progetto di costruzione della colonia penale agricola di Castiadas, uno degli interventi di bonifica e risanamento più ambiziosi della Sardegna ottocentesca. Prima dell’inizio dei lavori fu redatta la prima cartografia dettagliata dell’area, che delimitava 6.523 ettari di terreno destinati alla nuova struttura.
La zona prescelta per l’insediamento si trovava in località Praidis, un’area leggermente elevata e ventilata, situata vicino a sorgenti d’acqua e lontana dalle principali vie di comunicazione — una scelta strategica che garantiva isolamento e sicurezza.
Nonostante ciò, il territorio si presentava tutt’altro che ospitale: le paludi circostanti favorivano la proliferazione della zanzara anofele, portatrice della malaria, mentre la zona era conosciuta come crocevia di contrabbandieri e rifugio di banditi.
Ai primi di giugno del 1875 cominciarono i lavori di costruzione della colonia, eseguiti interamente dalla manodopera carceraria sotto la supervisione del Genio Civile. I detenuti si occuparono della realizzazione delle strutture principali, dei canali di drenaggio e dei terreni agricoli circostanti, ponendo le basi per la futura trasformazione di Castiadas da zona paludosa a territorio produttivo e abitabile.
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La colonia penale di Castiadas: la più grande d’Italia
Sotto la direzione di appena sette guardie carcerarie e con l’impiego iniziale di trenta detenuti, cominciò l’imponente opera di bonifica del territorio di Castiadas, una zona della Sardegna rimasta disabitata per secoli a causa della malaria e dell’isolamento geografico.
Al centro di questo progetto sorse la colonia penale agricola di Castiadas, destinata a diventare nel tempo la più grande d’Italia, con una popolazione che raggiunse le duemila persone, tra detenuti, agenti di custodia, impiegati e famiglie al seguito.
La colonia penale di Castiadas apparteneva al modello “agricolo”, ideato per ospitare i detenuti meritevoli di premio, impegnati nel risanamento e nella coltivazione di terreni incolti o paludosi.
Rispetto al sistema penitenziario tradizionale, queste colonie avevano regolamenti meno rigidi e un’organizzazione basata sul lavoro come strumento di riabilitazione. Le principali mansioni comprendevano la raccolta delle pietre, il disboscamento, la zappatura, l’aratura, la semina e la potatura, attività che permisero di restituire il territorio alla produttività agricola.
L’obiettivo era raggiungere la completa autosufficienza economica della colonia: accanto ai contadini e agli allevatori operavano casari, macellai, fornai, fabbri, calzolai e falegnami, creando una piccola comunità autonoma e autosostenibile.
Il territorio fu suddiviso in poderi agricoli e in Diramazioni, ovvero piccole case coloniche attrezzate come stabilimenti carcerari decentrati, ciascuna specializzata in diverse colture o allevamenti a seconda della qualità del suolo e delle risorse idriche.
Con il passare del tempo, molte di queste Diramazioni furono riconvertite in abitazioni private, diventando il nucleo originario delle attuali borgate di Castiadas.

1956: la chiusura della colonia penale
Dopo quasi un secolo di attività, la colonia penale agricola di Castiadas cessò ufficialmente la propria funzione il 30 giugno 1956. In quel periodo, la struttura aveva ormai raggiunto importanti risultati nel campo dell’agricoltura, dell’allevamento e della pastorizia, trasformando radicalmente un territorio un tempo paludoso e inabitabile in un’area fertile e produttiva.
La chiusura segnò la fine di una delle esperienze più significative della storia penitenziaria e agricola della Sardegna. I detenuti ancora presenti furono trasferiti in altre colonie penali dell’isola, in particolare nella colonia di Is Arenas (nel territorio di Arbus) e in quella dell’Asinara, presso Porto Torres.
Con la dismissione della colonia, molte delle strutture e dei terreni vennero riconvertiti a uso civile e agricolo, dando origine ai primi nuclei dell’attuale paese di Castiadas. Il patrimonio di edifici, poderi e diramazioni restò a testimoniare una pagina unica di storia sarda, fatta di lavoro, fatica e rinascita collettiva.
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Casa in cambio del lavoro agricolo: la rinascita di Castiadas nel dopoguerra
Dopo la chiusura della colonia penale, il territorio di Castiadas conobbe una nuova fase di rinascita grazie all’intervento dell’ETFAS (Ente di Trasformazione Fondiaria e Agraria della Sardegna), istituito in seguito alla riforma agraria del dopoguerra.
L’ente prese in appalto l’intero territorio e lo suddivise in sette aziende agricole, assegnando ai coltivatori diretti appezzamenti di 10-15 ettari nelle zone pianeggianti e 30-40 ettari in quelle collinari.
Il principio era semplice ma innovativo: una casa in cambio del lavoro agricolo. Gli assegnatari ricevevano infatti una casa colonica con annesso terreno, ma avevano l’obbligo di coltivare la terra e di garantire un reddito minimo annuo (tra 700.000 e 800.000 lire, equivalenti a circa 360-420 euro attuali).
La costruzione delle abitazioni procedette lentamente, comportando ritardi e difficoltà per le famiglie assegnatarie, ma molte di quelle prime case rurali sono ancora oggi abitate dai discendenti dei pionieri agricoli di Castiadas.
La provenienza dei nuovi coloni era per lo più locale: Muravera, Villaputzu, San Vito e Villasimius. A partire dagli anni Sessanta, si unirono a loro anche numerosi italiani provenienti dalla Tunisia, costretti a lasciare il Nord Africa a causa dei mutamenti politici dell’epoca. Questi profughi italiani trovarono a Castiadas una nuova patria agricola, contribuendo con la loro esperienza e laboriosità alla crescita della comunità.
Questa seconda “colonizzazione” segnò la trasformazione socio-economica definitiva del territorio: accanto ai poderi nacquero oleifici, caseifici, cantine sociali e officine meccaniche, insieme ai primi spacci agricoli e mercati locali.
Castiadas si affermò così come un modello di ricostruzione rurale e sviluppo comunitario, simbolo della Sardegna che, dal lavoro e dalla terra, seppe rigenerarsi dopo secoli di isolamento e malaria.

Museo a cielo aperto: le vecchie carceri di Castiadas
Oggi le antiche carceri di Castiadas sono diventate una delle principali attrazioni di turismo culturale in Sardegna, perfettamente integrate nell’offerta territoriale accanto alle rinomate mete del turismo balneare. Il complesso, un tempo fulcro della colonia penale agricola, rappresenta un autentico museo a cielo aperto, visitabile in gran parte nella sua struttura originaria.
I visitatori, appassionati di archeologia carceraria e storia sociale, possono ammirare un imponente edificio ottocentesco con cortile interno, la villa del Direttore, le celle dei detenuti, gli uffici amministrativi e l’antica farmacia penitenziaria.
Parzialmente restaurato, il plesso è oggi gestito dal Comune di Castiadas e utilizzato per eventi culturali, mostre di artigianato, esposizioni fotografiche e rassegne d’arte, che contribuiscono a mantenere viva la memoria del luogo e a valorizzare la sua identità storica.
1986: Castiadas diventa comune autonomo
Dopo oltre un secolo di continuità agricola e insediativa, il territorio di Castiadas maturò una propria identità sociale e culturale. Nel 1986, quel nucleo di case coloniche e borgate — nate attorno all’ex colonia penale e al centro rurale di Praidis — ottenne l’autonomia amministrativa da Muravera, diventando ufficialmente un comune italiano.
Oggi Castiadas conta circa 1.350 abitanti stabilmente residenti e si estende su un territorio vasto e diversificato, suddiviso in cinque borgate principali:
San Pietro
La Centrale
Olia Speciosa
Camisa
Annunziata
A queste si aggiungono frazioni e località minori, tra cui Masone Murtas, Sitò, Masone Pardu, Sabadi, Monte Gruttas, Maloccu, Ortedusu, Cala Sinzias e Cala Pira, oggi mete turistiche di crescente interesse per la loro bellezza naturale e autenticità rurale.
L’ex colonia penale di Castiadas, rinata come centro culturale e simbolo di rinascita collettiva, è oggi il cuore di un comune moderno e vitale, dove memoria storica, agricoltura e turismo sostenibile convivono armoniosamente, raccontando una delle più straordinarie trasformazioni territoriali della Sardegna contemporanea.







































