Il 10 aprile 1991, al largo della rada del porto di Livorno, si consumò quello che è stato a lungo definito con il termine generico di “tragedia”: l’incidente del traghetto Moby Prince, che causò la morte di 140 persone, arse vive e mai soccorse.
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Non fu una tragedia, fu una strage
Dopo oltre trent’anni di inchieste giornalistiche, commissioni parlamentari e ricostruzioni alternative, rispetto a quella ufficiale conclusasi con l’assoluzione di tutti gli indagati, oggi appare evidente che non si trattò solo di una tragedia del mare, ma di una strage impunita.
È dunque necessario cambiare il linguaggio con cui si racconta il più grave disastro della marineria civile italiana in tempo di pace.
Cosa vedremo in questo articolo
Ripercorriamo, passo dopo passo, i principali fatti e controfatti del caso Moby Prince, avvenuto nella primavera del 1991 all’uscita dal porto di Livorno:
- La partenza della Moby Prince
- L’uscita dal porto
- L’incidente con la petroliera Agip Abruzzo
- I soccorsi mancati
- Il rogo con i passeggeri a bordo
- L’affollamento anomalo nel porto di Livorno
- Il castello di bugie sull’accaduto
- La versione ufficiale
- Chi era il comandante sardo Ugo Chessa
La partenza
La partenza della Moby Prince dal porto di Livorno
La sera del 10 aprile 1991, alle ore 22:05, il traghetto Moby Prince della compagnia Nav.Ar.Ma. (oggi Moby Lines) salpa dal porto di Livorno, diretto verso Olbia, in Sardegna. A bordo si trovano 141 persone, tra passeggeri ed equipaggio.
Al comando il capitano Ugo Chessa
A guidare la nave c’è il comandante Ugo Chessa, originario di Cagliari, 55 anni, ufficiale marittimo di grande esperienza, con alle spalle migliaia di ore di navigazione, anche su rotte transoceaniche. Oltre al suo servizio operativo, Chessa è stato anche docente in corsi di formazione per marittimi, un professionista stimato e competente.
L’uscita dal porto
L’uscita dal porto di Livorno: traffico intenso e visibilità ridotta
Dopo aver lasciato l’ormeggio, la Moby Prince procede con una navigazione a velocità controllata, come previsto dal protocollo di sicurezza per l’uscita dal porto. La sera del 10 aprile 1991, il porto di Livorno è particolarmente affollato, come spesso accade nei porti commerciali e passeggeri a vocazione multifunzionale.
Traffico marittimo e condizioni meteo avverse
Il traffico in rada è elevato: navi merci, traghetti, bettoline e petroliere si muovono o sono all’ancora nei pressi delle banchine.
A rendere ancora più critiche le operazioni di navigazione è la fitta nebbia, che quella sera cala pesantemente su tutta l’area.
Come dichiarato in seguito dal comandante della Capitaneria di Porto di Livorno, Sergio Albanese, la situazione era tale da creare una “oscurità assoluta” che limitava drasticamente la visibilità.
L’incidente
L’incidente: l’impatto tra la Moby Prince e la petroliera Agip Abruzzo
Dopo circa 3 miglia di navigazione dalla partenza dal porto di Livorno, alle ore 22:25 del 10 aprile 1991, si verifica il tragico impatto tra il traghetto Moby Prince e la petroliera Agip Abruzzo.
La prua della Moby Prince colpisce in pieno la cisterna n°7 della petroliera, che contiene circa 2.600 tonnellate di greggio, una sostanza altamente infiammabile.
L’esplosione e l’incendio
L’urto apre le lamiere “come una scatoletta di tonno” e provoca scintille che, a contatto con i vapori del carburante, generano un incendio devastante. Le fiamme si diffondono rapidamente sulla Moby Prince, avvolgendola quasi interamente. Solo una parte della Agip Abruzzo viene interessata dal rogo.
L’incendio ha effetti immediati e letali: il traghetto diventa una trappola di fuoco per i passeggeri e l’equipaggio a bordo.
I soccorsi
I soccorsi mai arrivati: ignorati i mayday della Moby Prince
Alle 22:25, in concomitanza con l’impatto con la petroliera Agip Abruzzo, dal traghetto Moby Prince parte una richiesta urgente di aiuto. Vengono lanciati diversi mayday sul canale di emergenza Livorno Radio, il canale VHF dedicato alle comunicazioni di emergenza in mare.
L’equipaggio si prepara a ricevere i soccorsi
Il comandante Ugo Chessa, seguendo le procedure di sicurezza, ordina al personale di bordo di spostarsi sulla terrazza di poppa. Qui si posizionano in attesa dei soccorsi che – secondo logica – sarebbero dovuti arrivare nel giro di pochi minuti.
Nessun soccorso, solo silenzio
Ma nessuna unità di soccorso si avvicina alla Moby Prince. Le richieste di aiuto vengono completamente ignorate. Quando l’incendio viene finalmente domato, diverse ore dopo, i corpi carbonizzati dell’equipaggio vengono trovati proprio sulla terrazza di poppa, dove erano rimasti in attesa di essere salvati.

I soccorsi partonoma sulla
Moby Prince nessuno arriva
Il mayday della Agip Abruzzo
Alle 22:26, un minuto dopo la collisione, anche dalla petroliera Agip Abruzzo partono regolari richieste di soccorso via radio. Il comandante Renato Superina comunica:
“Siamo incendiati, c’è venuta una nave addosso.”
Convinto che si tratti di una bettolina, non si rende conto che l’altra nave coinvolta è il traghetto Moby Prince.
I primi soccorsi arrivano tardi e impreparati
I primi mezzi di soccorso raggiungono il luogo della collisione alle 23:00, ben 35 minuti dopo l’impatto. Non si tratta di unità specializzate, ma di piccole imbarcazioni, tra cui una barca di due ormeggiatori del porto di Livorno, Mauro Valli e Valter Mattei (detto Natti).
Quando arrivano, l’area è avvolta dal fumo e la visibilità è molto ridotta. Ancora nessuno sa con certezza che si è verificata una collisione tra due navi, né quale sia la seconda nave coinvolta.
L’unico superstite: il salvataggio di Alessio Bertrand
I due ormeggiatori, rendendosi conto che c’è un’altra nave in fiamme, si avvicinano alla poppa del traghetto. Qui vedono un giovane aggrappato alla ringhiera e lo invitano a gettarsi in acqua.
È Alessio Bertrand, giovane mozzo napoletano, che sarà l’unico superstite della tragedia della Moby Prince.
“C’è ancora gente da salvare!”
Una volta a bordo, Bertrand urla agli ormeggiatori che ci sono ancora molte persone vive sulla nave. La sua dichiarazione viene immediatamente trasmessa via radio alla Capitaneria, ma non viene preso alcun provvedimento concreto.
Ribadirà la stessa cosa anche in ambulanza, dopo lo sbarco.
La motovedetta che rimane a distanza
Sul posto è presente anche una motovedetta della Capitaneria di porto, la CP 232, ma non interviene: rimane a distanza, limitandosi a osservare.
In una delle comunicazioni radio ufficiali, verrà registrata la frase:
“Sì, ho visto una nave incendiata, ma mi tengo a debita distanza.”
Nel frattempo, la Moby Prince è in fiamme e nessun altro intervento viene attivato.
Nessuna azione dalla Terrazza Mascagni
Tre azioni rapide e logiche avrebbero potuto essere messe in campo quella notte:
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Inviare motovedette sul posto (operazione lenta).
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Far decollare un elicottero (anche questa lenta).
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Mandare un’auto alla Terrazza Mascagni, da cui si ha piena visibilità sulla rada di Livorno.
Questa terza opzione, veloce e pratica, non viene attuata. Dalla Terrazza Mascagni, infatti, sarebbe stato possibile identificare visivamente entrambe le navi coinvolte nella tragedia. Ma nessuno ci va.

Gregorio De Falco
mette i punti in chiaro sui soccorsi mancati
In un’intervista rilasciata alla trasmissione Rai “Linea di confine” il 12 marzo 2025, il comandante Gregorio De Falco ha chiarito alcuni aspetti fondamentali riguardo al disastro della Moby Prince.
Un’occasione persa: la Terrazza Mascagni
De Falco ha spiegato che dal porto di Livorno sarebbe stato facilissimo, e in tempi brevissimi, capire a occhio nudo cosa era accaduto al momento dell’incidente, semplicemente mandando un’auto sulla Terrazza Mascagni. Da lì si domina l’intera rada, e la morfologia aperta e lineare della costa di Livorno permette una visuale chiara e priva di ostacoli.
La Capitaneria non ha inviato altri soccorsi
Questa soluzione rapida e logica non è mai stata adottata dalla Capitaneria di porto. Né sono state attivate altre due opzioni, entrambe più lente ma possibili:
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l’uso dell’elicottero di pronto intervento, sempre disponibile;
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l’impiego dell’imbarcazione di servizio SVH, che pattugliava regolarmente tra Livorno e La Spezia.
Mancanza totale di coordinamento e soccorsi
De Falco ha dichiarato con fermezza:
“Io sono convinto che i soccorsi non ci furono. Fu una totale inesistenza.”
Secondo lui, alcune persone rimasero vive per ore dopo l’incidente, compiendo numerosi atti respiratori. Il rapporto ufficiale sostiene che morirono entro 30 minuti, ma in realtà quei 30 minuti furono usati come scusa per giustificare la mancanza di interventi.
De Falco conclude:
“Non fu possibile alcun soccorso? No, non fu tentato alcun soccorso.”
In porto sapevano, ma nessuno ha parlato
L’intervista include anche la testimonianza di Luchino Chessa, che ha rivelato:
“Pochi minuti dopo la collisione, al porto di Livorno il personale della Navarma sapeva che la nave coinvolta era la loro. Ma nessuno ha parlato.”
La Moby brucia con i passeggeri a bordo
La danza macabra della Moby impazzita
Il luogo dell’incidente è ormai avvolto da un fumo denso e tossico. La Moby Prince, completamente fuori controllo, comincia a girare vorticosamente su se stessa a velocità sostenuta. In questo tragico momento, la maggior parte delle persone a bordo muore soffocata dal fumo prodotto dagli incendi.
I passeggeri radunati nel salone in attesa del salvataggio
I passeggeri vengono lasciati morire. Tutti si trovano nel salone De Lux, con le manichette antincendio accese. Hanno con sé zaini e borse, tengono per mano i bambini e indossano giubbotti salvagente.
Mayday ignorati
Dalla Moby continuano a partire numerosi mayday, ma nessuno risponde. Le richieste di aiuto rimangono inascoltate.
Sembra una bettolina la causa della collisione?
Le prime comunicazioni della petroliera Agip Abruzzo suggeriscono che l’impatto potrebbe essere stato causato da una bettolina. Nelle registrazioni si sente:
“Noi abbiamo Iranian Light e crude oil, ma non sappiamo cosa ha la bettolina che ci è venuta addosso.”
Solo in seguito si scoprirà che non si trattava di alcuna bettolina, ma proprio della Moby Prince.
Conversazioni sul Canale 16
Un radioamatore intercetta alcune comunicazioni sul canale 16, la frequenza internazionale di emergenza usata da tutte le imbarcazioni dotate di radio VHF, che devono per legge mantenerla sempre in ascolto.
Queste conversazioni, in lingua inglese, diventeranno elementi fondamentali per una ricostruzione alternativa dei fatti, contraria alla versione ufficiale. Tuttavia, rimarranno senza spiegazioni ufficiali.
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Prima della collisione, una nave avverte:
“C’è una nave passeggeri in transito.”
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Dopo la collisione, una nave chiamata Theresa, non prevista in porto, dice:
“Stiamo andando via immediatamente…”
L’ufficiale della Guardia di Finanza e i movimenti sospetti
L’ufficiale della Guardia di Finanza, Cesare Gentile, testimonia che ha visto direttamente dal porto, a occhio nudo, l’incendio sulla petroliera. Quel giorno, nel tratto di mare interessato, si stavano svolgendo “movimenti strani”: il trasporto di armi da una nave militare americana verso terra tramite bettoline.
Ufficialmente, però, non esistono tracciati radar che confermino queste operazioni di trasbordo nella notte del disastro.
L’affollamento nel porto di Livorno
Un porto molto affollato e imbarcazioni sospette
Quella sera il porto di Livorno era estremamente affollato. Oltre alla petroliera Agip Abruzzo, a poca distanza si trovavano numerose altre imbarcazioni, alcune delle quali non registrate ufficialmente nel porto, quindi in incognito:
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Tre navi militarizzate americane
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Una nave militare francese
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Decine di bettoline italiane
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Un peschereccio di altura somalo
La petroliera Agip Abruzzo era in divieto di ancoraggio
Dagli atti del processo è emerso che, al momento della collisione, la petroliera Agip Abruzzo si trovava in divieto di ancoraggio.
Per anni si è dichiarato il contrario, come affermato anche dall’allora sottosegretario all’Interno Valdo Spini, secondo cui la petroliera “era lì dove doveva stare”.
Solo in seguito, grazie a materiali desecretati provenienti da un sistema satellitare statunitense, le commissioni parlamentari hanno potuto accertare la verità.
Trasbordo di armi e attività militari nel porto
La sera dell’incidente, a Livorno si stavano svolgendo operazioni di trasbordo di armi e attrezzature belliche.
Il porto dista soli 16 minuti di auto dalla base militare americana di Camp Derby (Pisa). Le navi militarizzate, cioè navi commerciali impiegate dal governo per il trasporto di armamenti, scaricavano armi e materiali bellici utilizzando piccole imbarcazioni chiamate bettoline.
Queste bettoline venivano caricate al massimo, a volte con pesanti carri armati Abrams, fino al limite di galleggiamento. A bordo delle bettoline si trovava personale italiano, tra cui anche agenti segreti, come confermato nell’intervista rilasciata per la trasmissione Rai “Linea di confine” del 12 marzo 2025.
L’ipotesi bettolina nella comunicazione del mayday
Interessante è che anche il comandante della Agip Abruzzo, durante l’annuncio di soccorso via mayday, ipotizzò che l’imbarcazione che aveva colpito la petroliera fosse una bettolina.

Contrabbando di carburante e traffici nascosti nel porto di Livorno
L’Agip Abruzzo in divieto d’attracco per contrabbando di carburante
Secondo le indagini, la petroliera Agip Abruzzo era probabilmente in divieto di attracco, lontana dal controllo della Guardia di Finanza, per permettere alle bettoline di rifornirsi di carburante in attività di contrabbando.
La terza nave che ha tagliato la strada alla Moby Prince
Si ipotizza che una di queste bettoline abbia improvvisamente tagliato la strada al traghetto Moby Prince durante le delicate operazioni di trasbordo.
Il peschereccio d’altura sospetto
Tra le numerose imbarcazioni presenti quella sera nei pressi del porto di Livorno, si trovava anche il peschereccio bianco “Ocktober 21 II”, un peschereccio d’altura che avrebbe dovuto trovarsi in porto per manutenzioni e rifornimento, ma invece era in mare, proprio davanti al porto vicino al luogo dell’incidente.
La moglie di un ufficiale portuale ha confermato di averlo visto quella sera, ma non il giorno seguente.
Si ipotizza che proprio l’Ocktober 21 II abbia tagliato la strada alla Moby Prince, provocando una manovra improvvisa del traghetto. Un danno rilevato sul peschereccio, compatibile con una collisione, supporta questa teoria, emersa dalla Seconda Commissione d’Inchiesta.
Il peschereccio Ocktober 21 e il traffico d’armi secondo l’ONU
Il peschereccio “21 October” faceva parte di una flotta donata dall’Italia alla Somalia tra il 1986 e il 1990. Secondo la Commissione di monitoraggio sull’embargo delle armi delle Nazioni Unite, questa flotta era coinvolta in ripetuti traffici di armi via container tra Somalia e Italia.
Il legame con l’inchiesta di Ilaria Alpi
L’Ocktober 21 è stato coinvolto nell’inchiesta giornalistica di Ilaria Alpi del 1994 sul traffico di armi in Somalia, un’inchiesta che costò la vita alla giornalista e al suo cineoperatore Milan Rovaty, i cui assassini non sono mai stati identificati.
Si ipotizza quindi un possibile legame tra la tragedia della Moby Prince e il traffico d’armi tra Italia e Somalia emerso da quell’inchiesta.
Porto affollato ma silenzi sospetti sulla tragedia Moby Prince
Quella sera il porto di Livorno era molto affollato, ma pochi testimoni hanno rivelato cosa videro realmente.
Le verità sono state scoperte faticosamente, tra silenzi ermetici e operazioni sotto copertura. Non si pensa che il traffico militare sia la causa diretta dell’incidente, ma si ipotizza che una manovra errata di un’imbarcazione coinvolta abbia costretto la Moby a una brusca virata.
Traffico intenso e assenza di tracce radar
Nonostante il fitto traffico di imbarcazioni quella sera, molte di esse non sono state registrate ufficialmente né mappate da sistemi radar, che risultano completamente assenti.
Le richieste delle Commissioni Parlamentari per ottenere i dati radar dalla vicina base militare americana di Camp Derby sono state respinte con la motivazione: “non abbiamo questo materiale”.
Rifiuto di collaborazione da parte di USA, Russia e Francia
Le ambasciate di Francia, Russia e Stati Uniti sono state sollecitate per fornire informazioni utili alla ricostruzione dei fatti, come dati radar e liste di imbarcazioni.
Anche l’ultimo invito, formulato dalla Terza Commissione Parlamentare d’Inchiesta guidata da Pietro Pittalis, è stato ignorato, rimanendo senza risposta.
Disastro Moby Prince
Il castello di bugie sull’accaduto
della tragedia Moby Prince
Alessio Bertrand, l’unico sopravvissuto, e le dichiarazioni contrastanti
Alessio Bertrand, unico sopravvissuto della tragedia della Moby Prince, dopo essere stato salvato dagli ormeggiatori, viene trasferito sulla motovedetta della Capitaneria di Porto e poi condotto in ospedale.
Secondo gli atti del processo, a bordo della motovedetta Bertrand dichiarò che “…non c’era più nessuno da salvare, tutti erano morti”. Questa versione però contrasta con le sue parole appena prima, quando, salito sul battello degli ormeggiatori e sull’ambulanza, urlava disperatamente affinché si attivassero i soccorsi per salvare gli altri passeggeri, soprattutto i suoi amici.
Le colpe attribuite: Chessa, la nebbia e altro
Nonostante la presenza di numerose imbarcazioni e testimoni quella sera nel porto di Livorno, nessuna testimonianza significativa è stata raccolta nel processo.
Le responsabilità dell’incidente furono individuate in quattro fattori principali:
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La fitta nebbia, come sottolineato dal comandante della Capitaneria di Porto Sergio Albanese e dall’allora sottosegretario agli Interni Valdo Spini.
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La negligenza del comandante Chessa, che confonde le luci di prua e poppa della petroliera Agip Abruzzo per due imbarcazioni separate, e decide di infilarsi tra di esse.
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La distrazione del personale di bordo, che quella sera si sarebbe distratto guardando la partita di calcio Juventus-Barcellona.
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Malfunzionamenti della strumentazione: si ipotizzò radar rotto o timone fuori uso.
Tragedia Moby Prince, tra depistaggi e approssimazioni
Queste versioni, considerate imprecise e forse infamanti, hanno influenzato negativamente le indagini, creando un vero e proprio “castello di bugie” fatto di omissioni e possibili depistaggi.
Qualcuno ha tagliato la strada alla Moby Prince
Secondo il comandante De Falco, ci fu un’improvvisa perturbazione della rotta della Moby Prince: un’imbarcazione le avrebbe tagliato la strada costringendola a una brusca virata a dritta.
Non esistono ricostruzioni ufficiali che colleghino direttamente il traffico di armi al disastro tra Moby Prince e Agip Abruzzo. Si sa però che la Moby, poco prima dell’impatto, non poteva virare a sinistra perché avrebbe colpito una bettolina in transito, quindi virò a destra, entrando nella fiancata della petroliera, precisamente nella cisterna n°7 contenente 2.600 tonnellate di greggio.
Le difficoltà del lavoro giornalistico
Dalle prime ore dopo la tragedia, giornali e telegiornali raccolsero tutte le informazioni possibili, da fonti ufficiali e non, per chiarire la dinamica dell’incidente.
Tuttavia, solo le versioni ufficiali furono pubblicate e un flusso di informazioni fuorvianti, di origine incerta, confondeva autorità e media.
Nessuno sbalzato in avanti: contraddizioni nella ricostruzione
Bertrand, nelle sue dichiarazioni agli atti del processo, riferisce:
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Salito sul battello degli ormeggiatori, affermò che ci fossero altre persone da salvare.
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Trasferito sulla motovedetta, sostenne che non c’era più nessuno da salvare.
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In ambulanza, urlava disperato sollecitando i soccorsi per gli altri.
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Raccontò che all’impatto il forte rumore avrebbe catapultato i passeggeri in avanti, come se la nave fosse stata bloccata improvvisamente.
Tuttavia, le ispezioni successive negli interni della nave non rilevarono segni di proiezione violenta di persone o oggetti, contraddicendo questa versione.
La versione ufficiale della tragedia Moby Prince: assoluzioni e prescrizioni
Tragedia Moby Prince. Assolti perché “il fatto non sussiste”
Il processo sulla tragedia della Moby Prince, che vedeva imputati per omissione di soccorso e omicidio colposo, si concluse nel 1997 davanti al Tribunale di Livorno con la completa assoluzione degli imputati, con la motivazione che “il fatto non sussiste”.
Questa sentenza ha rappresentato una vera e propria beffa per le famiglie delle vittime, segnando un punto controverso nella storia giudiziaria legata al disastro.
La Corte d’Appello di Firenze e la prescrizione nel 1999
Nel 1999 la Corte d’Appello di Firenze parzialmente ribaltò la sentenza di primo grado, ma fu costretta a dichiarare il “non doversi procedere” a causa della prescrizione dei reati.
Questa decisione lasciò ancora una volta i parenti senza giustizia e alimentò il senso di ingiustizia e frustrazione.
Le nuove inchieste e le Commissioni Parlamentari
Spinti dalla determinazione delle famiglie delle vittime, nel 2006 fu aperta una nuova inchiesta giudiziaria, conclusasi però con un’archiviazione nel 2010, decisione che i parenti contestarono fortemente.
Grazie a una forte mobilitazione, nel 2010 fu istituita una Commissione Parlamentare d’Inchiesta sulla tragedia Moby Prince, seguita da altre due commissioni nel corso degli anni, un caso unico nella storia della Repubblica Italiana.
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Giornalisti e parlamentari smascherano la versione ufficiale sulla tragedia Moby Prince
Inchiesta di Report e materiali probatori
Ad aprile 2021, la giornalista Adele Grossi, per la trasmissione Report, ha pubblicato una nuova inchiesta approfondita sulla tragedia della Moby Prince. Il lavoro delle Commissioni Parlamentari d’Inchiesta ha portato alla luce un materiale probatorio intensissimo che smaschera il castello accusatorio ufficiale, fondato su elementi infondati e veri e propri depistaggi.
La nebbia inesistente e le testimonianze smentite
La ricostruzione ufficiale, confermata da due sentenze assolutorie e altrettante archiviazioni, attribuiva la causa dello scontro a una “nebbia fittissima” e alla negligenza del comandante Chessa, accusato di aver passato in mezzo a due luci che in realtà erano la prua e la poppa della petroliera Agip Abruzzo.
Ma l’Avvistatore Marittimo Romeo Ricci, testimone diretto, ha dichiarato che quella sera la nebbia non c’era e la visibilità era discreta. Controllava personalmente tutti i movimenti in entrata e uscita dal porto e, in un’intervista alla Rai, confermò di aver visto chiaramente la petroliera Agip Abruzzo ancorata in rada.
La Prima Commissione Parlamentare d’Inchiesta ha confermato che non vi fu nebbia e neppure negligenza da parte del comandante della Moby Prince.
Dichiarazioni ufficiali errate e visibilità reale
L’allora sottosegretario all’Interno, Valdo Spini, e il comandante della Capitaneria di Porto di Livorno, Sergio Albanese, sostennero la presenza di nebbia fitta, addirittura “oscurità assoluta”, e attribuirono l’incidente a un errore umano.
In realtà, la cattiva visibilità si verificò solo dopo la collisione, per via dei fumi e vapori sprigionati dall’incendio sulla petroliera.
Un ufficiale della Guardia di Finanza, Cesare Gentile, primo soccorritore, dichiarò che la visibilità al momento dell’incendio era perfetta. Inoltre, il comandante della Agip Abruzzo comunicò via radio: “Livorno ci vede, ci vede con gli occhi”.
L’inchiesta interna della Snam sparita e le assicurazioni tra Snam e Navarma
La Seconda Commissione Parlamentare d’Inchiesta del 2021 richiese all’Eni (allora Snam) i documenti dell’inchiesta interna condotta subito dopo la tragedia, ma la risposta fu che le carte erano sparite, probabilmente per il troppo tempo trascorso.
Due mesi dopo l’incidente, Snam e Navarma stipularono polizze assicurative per tutelarsi da possibili responsabilità:
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Snam si assicurò contro i danni ambientali
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Navarma contro eventuali richieste di risarcimento dai familiari delle vittime
Queste assicurazioni potevano spingere i familiari a rinunciare ai processi in cambio di un premio assicurativo, senza chiarire mai la reale dinamica della tragedia.
La scoperta di queste assicurazioni è stata una delle rivelazioni più importanti della Prima Commissione Parlamentare d’Inchiesta.

Soccorsi disastrosi nella tragedia Moby Prince,
lo Stato non paga i risarcimenti
Le Commissioni Parlamentari d’Inchiesta hanno definitivamente dimostrato che i soccorsi durante la tragedia della Moby Prince sono stati disastrosi e inefficienti. Di conseguenza, i familiari delle vittime hanno tentato di ottenere giustizia rivolgendosi con azioni civili contro il Ministero delle Infrastrutture e il Ministero dell’Interno, ritenuti responsabili per l’organizzazione dei soccorsi.
Nessun risarcimento e nessuna condanna allo Stato
Nonostante le evidenze, il risultato di queste cause civili è stato deludente: nessun risarcimento è stato riconosciuto ai parenti delle vittime, né sono state imposte condanne al pagamento delle spese processuali per gli enti statali coinvolti.
Reati in prescrizione, esclusi quelli più gravi
Dal punto di vista penale, la maggior parte dei reati legati alla tragedia sono ormai andati in prescrizione. Restano ancora pendenti i reati di strage e omicidio volontario, mentre a livello civile è ancora aperto il diritto al risarcimento per i familiari.
Rigetto del risarcimento nel 2017
Nel 2017, però, la magistratura civile ha respinto la richiesta di risarcimento ai familiari delle vittime motivando che “…in fondo le valutazioni della Commissione Parlamentare erano politiche” e non sufficienti a fondare la responsabilità civile dello Stato.
Chi era Ugo Chessa,
comandante del traghetto Moby Prince
Ugo Chessa era un esperto ufficiale della marina mercantile italiana, conosciuto per la sua lunga carriera e per essere stato il comandante del traghetto Moby Prince nella tragica notte del 10 aprile 1991.
Quel giorno, il Moby Prince, partito da Livorno e diretto a Olbia con 141 persone a bordo, si scontrò con la petroliera Agip Abruzzo, causando un incendio devastante che provocò la morte di 140 persone. L’unico sopravvissuto fu un membro dell’equipaggio, Alessio Bertrand.
La carriera e la vita di Ugo Chessa
Originario della Sardegna, Ugo Chessa era considerato uno dei migliori comandanti navali italiani, con anni di esperienza in missioni transoceaniche. Era noto per la sua serietà, disciplina e grande passione per il mare, una tradizione di famiglia tramandata da generazioni.
Maria Giulia Ghezzani, la moglie mai ritrovata
Chessa era sposato con Maria Giulia Ghezzani, che quella notte si trovava a bordo del Moby Prince per cercare di convincerlo a lasciare la vita marittima e dedicarsi alla famiglia a Cagliari. Maria Giulia voleva proporgli di collaborare nel negozio di famiglia in città.
Purtroppo, il corpo di Maria Giulia non è mai stato ritrovato.
Indagini, accuse e richieste di verità
Inizialmente ritenuto responsabile dell’incidente, nel tempo Ugo Chessa ha visto la sua posizione messa in discussione dalle indagini successive e dalle testimonianze dei familiari, che hanno evidenziato errori nei soccorsi e la falsa presenza di nebbia quella notte.
Le famiglie delle vittime, compresi i figli di Chessa, continuano a chiedere la riapertura delle indagini per fare piena luce sull’accaduto.
Dove fu ritrovata la salma di Ugo Chessa
La salma di Ugo Chessa, identificata con il numero 10, fu trovata accanto a quella del terzo ufficiale Arcangelo Picone, nell’atrio che separava il self-service dalla sala poltrone di prua, proprio sotto la plancia di comando.
La tragedia più grave della marina mercantile italiana
Il disastro del Moby Prince resta la più grave tragedia della marina mercantile italiana del dopoguerra. La figura di Ugo Chessa è ancora oggi ricordata con rispetto e affetto da chi lo conosceva e da chi cerca ancora la verità su quella tragica notte.
Glossario dei termini chiave
sulla tragedia del Moby Prince
L’Avvistatore Marittimo
L’Avvistatore Marittimo è una figura professionale della Capitaneria di Porto o di altri servizi marittimi, con il compito di osservare e controllare il traffico navale in una determinata area, spesso da postazioni costiere strategiche come torri di avvistamento, fari o postazioni radar.
Principali compiti:
- Osservare e segnalare arrivi, partenze e movimenti delle navi
- Identificare imbarcazioni in entrata o uscita da porti o zone di controllo
- Comunicare via radio con le navi per fornire istruzioni o informazioni
- Allertare le autorità in caso di emergenze (collisioni, incendi, avarie)
- Collaborare con enti marittimi per la sicurezza della navigazione e la sorveglianza ambientale
Dove lavora?
In centri VTS (Vessel Traffic Service), torri di controllo radar o postazioni costiere della Guardia Costiera.
Curiosità:
Il suo ruolo è simile a quello del controllore del traffico aereo, ma per le navi, ed è fondamentale per la sicurezza marittima.
La Bettolina
La bettolina è una piccola nave cisterna usata soprattutto per trasportare carburanti, oli o altri liquidi (come acqua dolce o prodotti chimici) su brevi tragitti, tipicamente all’interno di porti, canali o acque costiere.
Caratteristiche:
- Dimensioni ridotte rispetto alle grandi navi cisterna
- Serbatoi interni per liquidi
- Utilizzata per rifornire navi nei porti (operazione detta “bunkeraggio”)
Esempio:
Una nave da crociera che entra in porto viene rifornita di carburante direttamente dalla bettolina, una cisterna galleggiante specializzata.
La Base Militare di Camp Darby
La base militare Camp Darby (oggi Darby Military Community) si trova tra Pisa e Livorno, in Toscana, ed è una importante installazione militare nata nel 1951 da un accordo tra Italia e Stati Uniti. Prende il nome dal generale americano William O. Darby.
Caratteristiche principali:
- Posizione strategica vicino al porto di Livorno, aeroporto militare di Pisa e infrastrutture logistiche
- Uno dei maggiori depositi di materiale bellico USA fuori dagli Stati Uniti
- Ruolo cruciale nelle operazioni militari statunitensi, specialmente in Medio Oriente negli anni ’80 e ’90
- Sotto giurisdizione italiana, con alcune aree gestite dall’Esercito Italiano dal 2020
- Circa 500 civili italiani impiegati per attività amministrative e logistiche
Curiosità:
- Ogni luglio si tiene una fiera aperta al pubblico con cibo e attrazioni statunitensi
- Fino al 2014 ospitava l’American Beach, l’unica spiaggia USA in Europa
- Trasmette programmi radio AFN Eagle per le zone di Pisa e Livorno
Camp Darby resta un avamposto militare chiave per gli USA in Europa, con funzioni logistiche di rilievo nel Mediterraneo.
Differenza tra Tragedia, Strage e Disastro
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Tragedia: Evento drammatico e doloroso che provoca grande sofferenza, può essere naturale, accidentale o umano. Esempio: “La tragedia del terremoto”. Termine anche usato in senso figurato.
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Strage: Uccisione violenta e massiccia di persone o animali, quasi sempre causata da azioni umane (attentati, guerre). È un reato penale. Esempio: “La strage di Bologna”.
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Disastro: Evento gravissimo che causa danni estesi a persone, cose o ambiente, può essere naturale o accidentale, con o senza vittime. Esempi: disastro del Vajont, disastro ambientale, disastro ferroviario.