La Rivolta di Pratobello fu uno degli episodi più significativi di protesta popolare nella storia contemporanea della Sardegna. Nel giugno del 1969, la comunità di Orgosolo, nel cuore della Barbagia, si oppose con determinazione all’istituzione di un poligono militare nei pascoli comunali di Pratobello. La mobilitazione, nata come difesa dei diritti d’uso civico e dell’economia pastorale, si trasformò in un simbolo di resistenza civile, capace di coinvolgere studenti, lavoratori e pastori. In pochi giorni, il piccolo paese divenne il centro di un braccio di ferro con lo Stato, conclusosi con il ritiro dell’esercito e con un’eredità storica e culturale destinata a durare nei decenni, alimentando anche il celebre muralismo di Orgosolo.
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Rivolta di Pratobello (Orgosolo, 1969)
La Rivolta di Pratobello fu l’episodio simbolo del Sessantotto in Sardegna: la comunità di
Orgosolo si oppose all’istituzione di un poligono militare nei pascoli comunali, innescando una
mobilitazione popolare che, tra giugno 1969 e la fine del mese, portò al ritiro dell’esercito e
alla restituzione dei terreni all’uso tradizionale.
Luogo | Pratobello, Orgosolo (Nuoro), Sardegna |
Periodo | Ordinanza di sgombero: 27 maggio 1969 • Proteste: 9–27 giugno 1969 |
Motivo scatenante | Sgombero dei pascoli comunali per esercitazioni e istituzione di poligono militare |
Partecipazione | Circa 3.500 persone all’avvio; studenti, lavoratori, pastori, assemblee popolari |
Esito | Sospensione esercitazioni e ritiro dell’esercito (27 giugno 1969); ritorno ai pascoli |
Eredità | Nascita/rafforzamento del muralismo di Orgosolo e memoria civile sarda |
- 27 mag 1969
Ordinanza di sgombero dei pascoli a Pratobello. - 9 giu 1969
Prime mobilitazioni: oltre 3.500 partecipanti; volantini del Circolo Giovanile. - 19 giu 1969
Marcia verso il sito militare, blocchi stradali; esercitazioni sospese. - 23 giu 1969
Arresti e tensione; sostegno pubblico di sindacati e partiti. - 27 giu 1969
Ritiro dell’esercito da Pratobello; restituzione dei pascoli alla comunità.
proteste popolari e assemblee civiche misero al centro i diritti comunitari, l’uso dei pascoli e la difesa
del territorio.
Gli antefatti alla Rivolta di Pratobello
Il 27 maggio 1969 le autorità statali emisero un’ordinanza, firmata dalla Brigata Trieste, con cui si intimava di sgomberare tutto il bestiame dalla zona di Pratobello, area di pascolo appartenente al demanio comunale. In quella località, oltre ai terreni utilizzati tradizionalmente dagli allevatori, era sorto un piccolo insediamento destinato al pernottamento e alla permanenza delle famiglie dei militari impiegati nel vicino poligono di tiro. L’ordine di sgombero, percepito dalla popolazione come un atto lesivo dei diritti d’uso civico e delle consuetudini locali, fu la scintilla che diede avvio alle tensioni e alle mobilitazioni che sarebbero seguite nei giorni successivi.
Il Sessantotto in Sardegna e in Barbagia
La reazione della popolazione di Orgosolo all’ordinanza di sgombero di Pratobello fu immediata e carica di sdegno. In quegli anni, l’Italia e gran parte dell’Europa occidentale erano attraversate dai riverberi del Sessantotto, un ampio movimento socio-culturale che vedeva operai, studenti e minoranze sociali protestare contro la corruzione e l’arbitrio dello Stato. Mentre nella penisola italiana le mobilitazioni si concentravano soprattutto nei grandi centri urbani e nelle università del centro-nord, in Sardegna il fenomeno assunse forme peculiari: toccò solo marginalmente le città di Cagliari e Sassari e i loro poli universitari, ma raggiunse la massima intensità in Barbagia, sia nel capoluogo Nuoro sia nei piccoli paesi.
Tra il novembre 1968 e il giugno 1969, località come Mamoiada, Orgosolo, Gavoi, Olzai e Baunei furono teatro di tre importanti episodi di protesta:
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I Quattro giorni della Repubblica di Orgosolo, che portarono alla destituzione della giunta comunale e all’insediamento di un’Assemblea Popolare;
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la mobilitazione delle comunità nuoresi contro il progetto di Parco Nazionale del Gennargentu;
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la Rivolta di Pratobello, quando l’intera comunità orgolese si oppose alla creazione di un poligono militare su terreni comunali destinati tradizionalmente al pascolo.
Le tappe della Rivolta di Pratobello
L’affronto dello Stato
La Rivolta di Pratobello rappresentò l’apice del sessantottismo sardo. Per gli orgolesi, storicamente in rapporto conflittuale con lo Stato – sia esso aragonese, spagnolo o italiano – l’ordinanza di sgombero dei pascoli per far posto a un poligono militare fu percepita come un atto di prepotenza intollerabile. L’intervento, imposto da un’autorità ritenuta estranea e privo di ricadute economiche positive per la comunità, fu considerato un affronto imperdonabile. Sulla scia delle proteste che attraversavano l’Europa, il piccolo centro barbaricino si trasformò in un focolaio di resistenza che sarebbe entrato di diritto nella storia dei movimenti popolari.
La proposta inaccettabile
Le modalità di sgombero prevedevano il risarcimento di 40.000 capi di bestiame con una somma di 30 lire al giorno per animale, a fronte di un costo del mangime di circa 75 lire al chilo. Un’offerta giudicata irricevibile dalla popolazione, che vide in essa un ulteriore segno di disprezzo verso la propria economia pastorale.
I giovani innescano la protesta
Il 9 giugno 1969 circa 3.500 orgolesi diedero il via alla mobilitazione. Il Circolo Giovanile distribuì volantini a Orgosolo e nei paesi vicini, in particolare a Nuoro, denunciando che la creazione del poligono significava “cacciare definitivamente i pastori e spingere l’intera popolazione all’emigrazione”.
L’assemblea popolare
Dieci giorni dopo, in piazza Patteri, si formò spontaneamente un’assemblea popolare. Sul palco improvvisato – il cassone di un camion – si alternarono pastori, agricoltori, operai e semplici cittadini. I discorsi furono diretti e senza compromessi. Un bracciante avvertì i pochi poliziotti presenti: “attenzione a quello che fate perché qui non siamo a Battipaglia”. La linea comune fu chiara: “continueremo finché tutti i militari non se ne saranno andati”, ma senza ricorrere alla violenza.
Rivolta di Pratobello: tra sardismo e militarismo
L’esercito, colto di sorpresa, reagì con l’invio di rinforzi da Nuoro, Cagliari, Genova, Pisa e Padova, sotto la supervisione del sottosegretario alla Difesa Francesco Cossiga. Nel frattempo, Emilio Lussu, fondatore del Partito Sardo d’Azione, espresse pubblicamente il proprio sostegno agli orgolesi. Il 19 giugno la lotta entrò nel vivo e la popolazione chiese l’appoggio di lavoratori e studenti di tutta la provincia di Nuoro.
L’ora X
Nell’ultima settimana di giugno il confronto raggiunse il culmine. All’alba del 19, studenti e lavoratori marciarono verso il sito militare. L’esercito schierò mezzi blindati lungo la provinciale, ma i cittadini organizzarono un blocco. La tensione salì quando i militari lanciarono tre bombe a mano – che non causarono vittime – mentre l’occupazione delle aree di tiro costrinse alla sospensione delle esercitazioni.
Gli arresti
Il 23 giugno l’esercito avviò una vera e propria “caccia all’uomo” con elicotteri, carri armati e reparti speciali, che portarono ai primi arresti. L’intervento provocò la reazione di sindacati e partiti politici, che condannarono l’uso della forza e proposero di riconvertire l’area da zona militare a territorio di sviluppo economico.
Il ritiro dell’esercito
Il 27 giugno l’esercito si ritirò da Pratobello. La protesta aveva raggiunto il suo obiettivo e la comunità riprese a utilizzare i pascoli. Le strutture militari presenti nell’area furono abbandonate e mai più utilizzate.
Il muralismo figlio di Pratobello
L’eco della rivolta entrò anche nell’arte: già nel 1969 un gruppo di anarchici, firmandosi “Dionisio”, realizzò il primo murale dedicato all’evento. Nei decenni successivi, il muralismo di Orgosolo avrebbe continuato a raccontare Pratobello, denunciando attraverso le immagini l’arroganza dello Stato, il militarismo e le ingiustizie sociali.
- La storia di Pratobello nel sito de S’Indipendente

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Il borgo di Pratobello
Oggi Pratobello si presenta come un insieme di ruderi silenziosi, in attesa di interventi di bonifica e valorizzazione. Dopo la Rivolta del 1969, l’area fu completamente abbandonata e tutti gli edifici – dalla chiesa al refettorio, dal quartier generale alla caserma, fino al dormitorio e alla piazza centrale – rimasero vuoti e in rovina. Oggi il sito è liberamente accessibile: il filo spinato che un tempo ne delimitava il perimetro è scomparso e chi lo visita può camminare tra le strutture abbandonate, immergendosi in un silenzio carico di memoria. È un luogo che invita alla riflessione sugli eventi di oltre cinquant’anni fa, quando Pratobello conquistò un posto di rilievo nella storia contemporanea italiana.








