Alessio Bertrand, unico superstite della Moby Prince, è il solo a essere sopravvissuto alla più grave tragedia marittima civile italiana. Il suo nome, Alessio Bertrand Moby Prince, è legato per sempre al disastro del 10 aprile 1991.
Quel giorno, il traghetto Moby Prince, partito da Livorno e diretto a Olbia, si scontrò con la petroliera Agip Abruzzo, provocando un incendio che causò 140 morti. Alessio Bertrand, un giovane cameriere di bordo rimarrà l’unico sopravvissuto al disastro Moby Prince.
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La tragedia del Moby Prince
La testimonianza di Alessio Bertrand Moby Prince resta oggi fondamentale per capire cosa accadde realmente quella notte.
Alle 22:25 circa, poco dopo la partenza da Livorno, il Moby Prince entrò in collisione con la petroliera ancorata, la Agip Abruzzo, carica di oltre 80.000 tonnellate di greggio. In pochi minuti, il traghetto fu avvolto dalle fiamme.
Nonostante l’immediata richiesta di soccorsi da parte della petroliera, le operazioni di salvataggio furono concentrate sulla nave cisterna, trascurando per oltre un’ora il traghetto passeggeri.
La verità raccontata da Alessio Bertrand, superstite del Moby Prince
Nonostante inchieste e processi, nessun colpevole è mai stato condannato per la strage. Restano numerose zone d’ombra:
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La presenza militare nelle acque antistanti
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La mancata attivazione dei soccorsi verso il traghetto
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Le manomissioni alle prove e le contraddizioni nelle testimonianze ufficiali
La vicenda è stata spesso definita un mistero italiano mai chiarito, alimentando il sospetto di insabbiamenti.
Alessio Bertrand e il mistero della tragedia del Moby Prince
A distanza di oltre 30 anni, Alessio Bertrand vive lontano dai riflettori, con le cicatrici fisiche e psicologiche di quella notte. Ha più volte raccontato la sua esperienza, denunciando le gravi lacune nei soccorsi e sostenendo la battaglia per la verità insieme ai parenti delle vittime.

Una ferita aperta per l’Italia
La tragedia della Moby Prince rappresenta ancora oggi una delle più gravi catastrofi navali civili italiane in tempo di pace. Ogni 10 aprile, a Livorno e in tutta Italia, si commemorano le vittime e si rinnova la richiesta di verità e giustizia.
Mai più il mare
Da quella esperienza, in cui ha visto la morte in faccia e in cui tante persone come lui hanno perso la vita in un modo così atroce e ingiusto, Alessio, non vive più sereno. Fa psicoterapia e usa psicofarmaci per contenere il non senso di quel vissuto. Non guarda più il mare dice alla prima intervista pubblica sul quotidiano il Tirreno nel 2011.
Dramma e sopravvivenza: la storia di Alessio Bertrand Moby Prince
In una dichiarazione riportata dal Fatto Quotidiano, Bertrand chiarisce un dettaglio cruciale:
“La nebbia? Non la vidi. Me ne parlò il timoniere, Aniello Padula, che incontrai durante il caos dell’emergenza.”
Ricorda anche che tentò di buttarsi subito in mare, ma fu fermato dallo zio, che lo avvertì del pericolo rappresentato dalle eliche della nave.
L’unico a buttarsi subito fu Francesco Esposito, barista di bordo, che morì annegato. Il suo corpo venne ritrovato solo alle 9:30 del mattino successivo, diventando la prima vittima identificata.
Il salvataggio di Alessio Bertrand, unico superstite della Moby Prince
I primi soccorritori a giungere sul luogo della tragedia furono due ormeggiatori, Natti e Valli, che, a bordo di una piccola imbarcazione, recuperarono Alessio Bertrand. Il superstite si era lanciato in mare, dopo essere rimasto aggrappato per ore a una ringhiera della poppa della Moby Prince.

“Ci sono ancora persone vive!”
Durante la concitata comunicazione radio tra ormeggiatori e Capitaneria di Porto, Valli lanciò un messaggio drammatico:
“Abbiamo raccolto un naufrago e dice che ci sono ancora persone sulla nave. Ci sono ancora 50 passeggeri mi dicono…”
Bertrand lo urlò tre volte, stremato ma determinato, chiedendo aiuto e indicando di andare verso la poppa della nave dove si trovavano altri passeggeri ancora vivi.
La Guardia Costiera indugia
Nonostante la gravità della comunicazione, la Guardia Costiera indugiò. Valli, in attesa di istruzioni, non ricevette risposte immediate. Un lungo silenzio radio seguì a quelle parole, rotto solo dalla voce dell’operatore che disse:
“Non c’è più nessuno. Sono tutti morti.”
Il lungo silenzio
Dopo questa ultima comunicazione tra Capitaneria e ormeggiatori c’è un lungo, inspiegabile, silenzio. L’ormeggiatore al microfono, Valli chiede inutilmente se qualcuno è dall’altra parte, ma nessun risponde.
- Dopo un pò di tempo il testimone si trova a bordo della motovedetta della Capitaneria, la Chiarile Papa 232. E chi lo assiste dice che “non c’è più nessuno e che sono tutti morti”.
Dramma e sopravvivenza: la storia di Alessio Bertrand e del Moby Prince
Diciotto minuti dopo il salvataggio di Bertrand, dalla Capitaneria partì una domanda:
“Il naufrago ha dichiarato che si sono buttati in mare altri… oppure no?”
La risposta della motovedetta fu sorprendente:
“Il naufrago ha detto: tutti morti bruciati.”
Ma Bertrand nega categoricamente. Alla Commissione parlamentare d’inchiesta ribadì di aver detto:
“Fermiamoci qui perché ci sono altri da salvare.”

Il disperato tentativo di fuga di Alessio Bertrand sulla Moby Prince
Bertrand, Massa e D’Antonio cercarono una via di salvezza attraversando i ponti bassi, scavalcando corpi, e usando una manichetta antincendio per bagnarsi e resistere al calore. Scelsero di raggiungere il garage, dove il salto in mare sarebbe stato meno rischioso. Ma solo Bertrand sopravvisse.
Rabbia, dolore e memoria per Alessio Bertrand
Il suo sfogo nell’ambulanza, appena sbarcato, è ancora oggi simbolo del dolore vissuto:
“I miei amici!”, gridava, riferendosi ai compagni di lavoro Angelo Massa (30 anni) e Giovanni D’Antonio (22 anni), con cui aveva tentato una fuga disperata dal fuoco.
Gli amici di sventura che muoiono
Alessio Bertrand con l’espressione “i miei amici” si riferiva ai suoi colleghi di bordo e marinai di coperta, in particolare ad Angelo Massa, 30 anni di Castellamare di Stabia e a Giovanni D’Antonio, 22 anni, di Torre del Greco. Con loro tenta la difficile missione di salvarsi la vita con una rocambolesca fuga dal fuoco nei piani bassi della nave per raggiungere la minor altezza possibile da cui poi gettarsi in mare.
Il tentativo di fuga (invano)
Massa, D’Antonio e Bertrand scappano dal fuoco che sta avvolgendo la nave, attraversano corridoi pieni di fumo, scavalcano persone già accasciate, scendono rampe di scalette per andare verso il garage. F
anno questo tragitto bagnandosi con una manichetta per resistere al calore che comincia a divampare, ma sono già passati oltre trenta minuti dall’impatto e l’ultimo con cui Bertrand parla prima riuscire a salvarsi è D’Antonio.
Una verità giudiziaria deludente
Nel 1997, dopo anni di indagini e processi, arrivò la sentenza dell’assoluzione generale:
“Tutti morti dopo 40-50 minuti dall’impatto.”
Una versione che smentisce i racconti di Alessio Bertrand superstite Moby, dei soccorritori e dei parenti delle vittime, lasciando ancora una ferita aperta e un dubbio irrisolto. La vicenda di Alessio Bertrand Moby Prince continua pertanto a rappresentare una ferita aperta per l’Italia.
