Marjan è il nome del leone africano che nel 1972 fu rinchiuso nello zoo di Kabul e lì vi rimase fino alla fine dei suoi giorni. La sua incredibile immagine di animale emblema di forza, libertà e fierezza si è quindi intrecciata con quella dell’uomo che, da quelle parti, ha inscenato negli anni di cattività del leone i seguenti eventi:
- quattordici anni di potere del Partito Democratico Popolare (1978-1992) che vide l’ingresso dell’Armata Rossa nel territorio afgano e portò alla guerra con i mujaheddin sostenuti dalla Cia e che costò un milione e mezzo di morti e cinque milioni di profughi.
- la Repubblica Islamica dell’Afghanistan (1992-1996), il bombardamento di Kabul del 1994 che causò la morte di 50 mila civili e la guerra civile fra gli stessi mujaheddin per controllare la capitale;
- la trasformazione di studenti islamici integralisti in piccola milizia, i Talebani, da parte del Pakistan, l’Arabia Saudita e gli Stati Uniti che nel 1996 rovesciano il governo islamico e mettono sotto controllo la gran parte del paese con un regime teocratico;
- l’installazione in pianta stabile della base di addestramento e indottrinamento fondamentalista dello shaykh saudita Osama bin Laden che, a capo di Al-Qaeda, diventa un movimento terrorista internazionale quando attacca le ambasciate americane in Tanzania e in Kenya;
- l’attacco militare degli Stati Uniti del 2001, in risposta al rifiuto di Kabul di estradare il capo di al-Qāʿida che costò la morte di 34.000 persone.
Durante tutta questo travagliatissimo periodo della storia afgana, fatta di morte, povertà e soprusi per la popolazione civile, Marjan è sempre rimasto nella gabbia riuscendo, questa l’eccezionalità, a morire di vecchiaia. Marjan ha rappresentato per gli abitanti di Kabul l’emblema della dignità e della resistenza davanti alla barbarie. Passare da una guerra all’altra e passare da una società all’altra. Da quella emancipata di fine anni ’70 in cui il bruqa era usato solo in qualche villaggio di montagna e si poteva circolare per le città anche se donna e con le minigonne; in cui si ascoltavano i Beatles l’istruzione era obbligatoria per tutti.
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Marjan ha sempre vissuto in gabbia: nacque in uno zoo della Repubblica Democratica Tedesca e venne trasferito in Afganistan a metà degli anni ’70. Qui assistete inerme al triste spettacolo della distruzione di un paese civile che si apprestava a diventare moderno, ma che invece dovette fare i conti con i giochi di potere della Guerra Fredda tra Usa e Urss, diventando teatro di confronto a spese della popolazione civile.
Marjan vide che negli anni peggiori di carestia (anni ’80 e ’90) lo zoo di Kabul si trasformò in supermarket della carne, in cui ogni specie animale in gabbia, dagli elefanti, ai cervi, passando
per gli uccelli, vennero smerciati come cibo commestibile o furono vittime del fanatismo religioso. E anche Marjan dovette confrontarsi direttamente con queste tragedie quando, nel 1999, un talebano, decise di entrare nella sua gabbia e di sfidarlo “unghie contro artigli”: inutile dire che in pochi secondi dell’esaltato non rimase che qualche brandello del vestito. Per tutta risposta, il fratello del coraggioso, decise di vendicarsi con l’animalità di Marjan e gli lanciò contro una granata. L’esito fu che Marjan perse la vista, parte del naso e di una zampa. Da quel momento la sua immagine e la sua storia cominciarono a circolare per le cronache animaliste di tutto il mondo, al punto che vennero raccolti anche fondi (mezzo milione di euro!) per il suo sostentamento.
Marjan visse così gli ultimi anni della sua vita, sempre in gabbia, ma con qualche “comfort” in più, come la possibilità di avere cure, cibo e un ricovero più decente. Il leone si spense di vecchiaia (e di tristezza per non aver mai potuto vivere ciò per cui era nato) nell’aprile del 2002.