Montevecchio è lo storico compendio minerario situato nella Provincia del Medio Campidano, al confine dei territori comunali di Guspini ed Arbus. Quello che durante la Seconda Guerra Mondiale sotto il nome di Montevecchio SIPZ, società italiana del piombo e dello zinco, ebbe la massima produzione di minerale, oggi è uno splendido sito di archeologia industriale vittorioso al Premio Eden 2011, acronimo di destinazioni europee di eccellenza, un progetto che promuove modelli di sviluppo sostenibile nel settore turistico in tutta l’Unione europea.
IL PARCO GEOMINERARIO DELLA SARDEGNA
Montevecchio, totalmente fruibile e visitabile, fa parte dell’elenco degli otto siti del Parco Geominerario della Sardegna, che comprende tra gli altri:
- 1. Monte Arci;
- 2. Orani;
- 3. Funtana Raminosa;
- 4. Gallura;
- 5. Argentiera – Nurra;
- 6. Guzzurra – Sos Enattos;
- 7. Sarrabus – Gerrei.
Per i visitatori di Montevecchio sono disponibili 4 percorsi di conoscenza dell’attività estrattiva svolta dal 1848 fino al 1991, che comprende:
- 1. Il Palazzo della Direzione
- 2. Le Officine
- 3. S.Antonio
- 4. Piccalina
Il Palazzo della Direzione – Situato nel piccolo abitato di Gennas Serapis, piccola frazione del comune di Guspini e conosciuto semplicemente con il nome di “Montevecchio”. Fu costruito sull’altopiano che sovrasta i due versanti della miniera, quello di Levante e quello di Ponente. Nel paesino ultimamente abitano fisse solo poche centinaia di persone ma, nel periodo di massimo splendore della miniera (1939), raggiunse i 3 mila abitanti. Tra gli stabili, sono presenti gli appartamenti dei dirigenti della miniera, quelli delle più alte cariche di servizio delle compagnie di gestione della miniera, i palazzi degli alloggi per gli operai e il palazzo della direzione, completo di cappella dedicata a Santa Barbara. Altri servizi, in parte ancora operativi, sono: la caserma dei carabinieri, l’ospedale e le scuole, l’ufficio postale, il laboratorio chimico, l’ufficio geologico, il cinema e financo il campo da calcio, dove giocava la squadra locale di Montevecchio.
I Cantieri di Levante – Quest’area è il cuore della miniera, dove si svolgevano la maggior parte delle attività della miniera di Montevecchio. Tra le infrastrutture principali ecco quali diventano oggetto della visita:
- la Diga Fanghi;
- gli edifici di Sciria, da cui partiva il treno col minerale per San Gavino;
- le vasche rettangolari ancora piene d’acqua su cui si specchia la Laveria Principe Tommaso;
- le abitazioni dei minatori;
- il Pozzo Sartori;
- il Pozzo San Giovanni, profondo 200 metri e costruito con pietra a vista, serviva a collegare sei gallerie e il cantiere di Piccalinna. Qui sono conservati i macchinari ancora perfettamente funzionanti;
- il cantiere di Piccalinna;
- le officine;
- il Pozzo Sant’Antonio ben riconoscibile per la presenza della torre merlata, in richiamo allo stile neogotico tanto in voga nella tradizione architettonica tra fine ‘800 e primi del ‘900;
- le fonderie;
- i depositi minerari.
LA STORIA DI MONTEVECCHIO
La storia della miniere di Montevecchio è, sul piano umano e sociale, una storia identica alla maggior parte delle miniere di oggi e di ieri. L’attuale condizione di sito turistico, ricco di proposte culturali, di comfort per i visitatori e soprattutto di spunti di riflessione su quella che fu la prima vera industria sarda, succede a secoli di sfruttamento di massa da parte di pochi individui che, fortunati per sangue o meritevoli per vocazione imprenditoriale, hanno fatto la storia di Montevecchio e delle sue miniere. Purtroppo, a distanza di alcuni decenni dalla fine delle attività estrattive, le ricadute economiche sul territorio non sono proporzionate alle spese energetiche e morali impiegate per ricavare zinco e piombo da immettere sul mercato mondiale dalle centinaia di migliaia di minatori, ora schiavi, ora operai salarizzati, ora donne con paga dimezzata, ora bambini assunti in nero.
I ROMANI I PRIMI SFRUTTATORI SISTEMATICI
La storia di quest’area estrattiva della Sardegna centro-meridionale, affonda chiaramente nell’antichità dell’isola sebbene, i Romani, furono i primi a sfruttarla sistematicamente: durante le operazioni di scavo dell’800 sono stati rinvenuti infatti oggetti da lavoro come lucerne e piccoli secchi utilizzati per le ispezioni e il trasporto dei minerali di epoca latina. Si trattava ancora di pozzetti superficiali scavati a cielo aperto nella roccia, ma già i romani facevano uso di pompe in piombo attrezzate di bocchelle in bronzo (pare che una sia stata trasportata e conservata a Parigi), con all’interno sofisticati meccanismi lignei. Ciò dimostra che per l’epoca, la tecnologia di estrazione era tutt’altro che avventuriera, malgrado fossero gli schiavi ad operare direttamente nella roccia e a svolgere i lavori più faticosi.
1750, A VILLACIDRO LA FONDERIA: È LA PRIMA INDUSTRIA DELLA SARDEGNA
Secondo la storiografia ufficiale l’attività estrattiva continuò durante il medioevo ma non raggiunse mai valori tali da poter essere considerati economicamente plausibili. Si trattava per lo più di estrazioni occasionali, di superficie e con mezzi poco produttivi. La prima svolta in termini veramente industriali si ebbe solo nel 1750, quando l’imprenditore svedese Carl Gustav Mandel costruì la fonderia di Villacidro, considerata la prima industria della Sardegna, la quale lavorava le materie prime provenienti dagli scavi di Montevecchio che ancora in forma rudimentale, erano di pertinenza statale sabauda (la Belly) e, solo raramente, venivano fatte piccole concessioni di sfruttamento anche ai privati.
IL PRETE CHE FIUTA L’AFFARE
L’estrazione di minerali dalle colline di Arbus e Guspini, rimase sottodimensionata rispetto alle capacità produttive sino alla metà dell’Ottocento, quando, grazie all’intuizione del prete sassarese Giovanni Antonio Pischedda si posero finalmente gli occhi imprenditoriali di chi poteva credere in un progetto e aveva i soldi per investire. Il prete, iniziò intorno al 1842 ad effettuare i primi scavi alla ricerca del minerale e nel frattempo, si recò a Marsiglia alla ricerca di soci per realizzare una società con cui poter fare domanda di concessione del territorio.
GIOVANNI ANTONIO SANNA
Durante i soggiorni di consulenze nella cittadina francese, don Pischedda, ebbe la casualità di incontrare e conoscere al porto il suo concittadino Giovanni Antonio Sanna, allora un intraprendente emigrato che faceva affari di corto raggio nella regione d’Oltralpe. La proposta del prete piacque a Sanna e questi decise di venire in Sardegna a valutare concretamente l’ipotesi da realizzare. Il primo risultato arrivò subito, perché Giovanni Antonio Sanna riuscì a costituire la Società per la Coltivazione della Miniera di Piombo Argentifero di Montevecchio, da cui, ben presto, il prete sassarese si allontanò, e alla quale, il 28 aprile 1848, fu data la gestione delle tre concessioni chiamate semplicemente Montevecchio I, Montevecchio II e Montevecchio III. Si trattava di tre appezzamenti di terreno di forma quadrata (due chilometri per lato) a cui ne seguirono altre estese verso est, sino al territorio di Ingurtosu.
1856 – NASCE GENNA SERAPIS: LE PRIME CASE SONO PER I DIRIGENTI
I lavori inizialmente erano pertinenti ai filoni emergenti dal sottosuolo di Gennas Serapis e Casargiu, poi, le attenzioni degli esperti si spostò ad oriente dove furono aperte le prime gallerie a giorno (la Galleria Anglo-Sarda). Seguì la creazione della prima laveria, detta laveria Rio, alimentata dalle acque del Torrente Rio e mossa da un motore a vapore. Nello stesso periodo furono soddisfatte le emergenze abitative nel centro abitato di Gennas Serapis, ma ad uso esclusivo di dirigenti e principali. Per i 1100 operai che la miniera già contava nel 1865 (la più grande del Regno d’Italia), bisognava aspettare ancora, prima di avere la casa sul posto di lavoro.
1873/78 – LA FERROVIA
Nel 1873 iniziò la costruzione della ferrovia Montevecchio Sciria-San Gavino Monreale che serviva a trasportare il minerale estratto in forma industriale. La rete ferrata fu terminata nel 1878, quando entrò in funzione anche la seconda laveria, questa volta sul versante occidentale lungo il rio Montevecchio, chiamata prima Laveria Sanna e poi, a causa dei dissidi interni tra i dirigenti, più diplomaticamente Laveria Eleonora d’Arborea. Questa laveria purtroppo, sebbene più moderna della precedente con la dotazione di apparecchiature e motori sofisticati, ben presto acquistò una triste fama, perché i lavoratori erano costretti ad operare in una stretta valle poco arieggiata, inaccessibile e infestata dalle zanzare.
1874 – APRE L’OSPEDALE
Nel 1874 Montevecchio si dota finalmente di un ricovero ospedaliero attrezzato per le numerose emergenze che accadevano ai minatori sul posto di lavoro. Secondo Carlo Corbetta autore del volume “Sardegna e Corsica” si trattava di una modernissima infrastruttura, forse la più avanguardia dell’isola. L’ospedale era costruito su due piani, con quattro stanzoni che potevano ospitare ben nove posti letto ciascuno. Le camere erano allestite con sistemi di ricambio dell’aria e un comodo binario che facilitava lo spostamento dei degenti senza troppi disagi.
1877 – AL PRINCIPE IL BANCHETTO
Nel 1877 fu realizzata la terza laveria, la laveria Principe Tomaso, in omaggio all’omonimo principe di Casa Savoia, che visitò Montevecchio quell’anno e inaugurò la nuova struttura: quel giorno gli fu offerto un ricco banchetto nella Galleria Anglosarda, nota per le concrezioni argentifere della sua volta, probabilmente fu considerata il luogo più adatto per ospitare un membro della dinastia regnante. Con questa nuova laveria, la laveria Rio entrò in dismissione.
1886 – IL PALAZZO DELLA DIREZIONE
Nel 1886 fu realizzato il Palazzo della Direzione: un edificio che in origine doveva essere molto più grande e che doveva includere anche una grande chiesa dedicata a Santa Barbara, patrona dei minatori. La costruzione definitiva fu comunque una palazzina di grandi dimensioni, che comprendeva gli uffici della direzione, l’appartamento del direttore con annessa una grande cappella. La struttura, nel corso degli anni subì varie modifiche, anche per via delle continue liti tra i parenti per amministrare e dividere la società dopo la morte di Giovanni Antonio Sanna, avvenuta nel 1875. Nel frattempo, la miniera, da questo momento fino alla soglia delle Prima Guerra Mondiale, scalò le vette del mercato imponendosi coi suoi prodotti di maggior qualità.
1933 – ARRIVA LA MONTECATINI
Superata la Prima Guerra Mondiale, la società entrò in crisi con la Grande Depressione del ‘29. Nel 1933, la costruzione della Fonderia di San Gavino Monreale, il peso dei grossi debiti, portarono all’acquisizione della struttura in due tronconi: alla Montecatini andò le miniere, alla Monteponi la metallurgia. Seguono gli anni di massimo splendore, quelli a cavallo della Seconda Guerra Mondiale, quando la società assunse il nome di Montevecchio SIPZ, Società Italiana del Piombo e dello Zinco e raggiunse il picco di produzione. Nell’immediato dopoguerra l’estrazione si fermò totalmente a causa delle condizioni in cui versava la nazione, ma subito dopo si riprese e raggiunse nuovamente interessanti valori di produzione che mantenne fino agli anni sessanta, quando la Monteponi prese in mano tutta l’attività . Nel 1965 venne accorpata la miniera di Ingurtosu, priva ormai di ogni risorsa.
1971 – L’INIZIO DELLA FINE
Nel 1971 la miniera passò alla Sogersa (Società Statale e Regionale di Gestione delle Risorse Minerarie Sarde), ma il giacimento ormai era in declino e lo smantellamento delle linee produttive, assieme al licenziamento degli operai, era all’orizzonte. La situazione rimase incerta per altri venti anni, a cui, neanche l’intervento dello Stato con temporanee sovvenzioni nel 1984, bastò a invertire la tendenza. Fu così che nel 1991, le proteste dei lavoratori si tradussero in un’occupazione permanente del Pozzo Amsicora che portò, dopo 27 giorni, il 17 maggio di quell’anno, alla chiusura definitiva della miniera di Montevecchio.
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