Le torri costiere della Sardegna furono un’esigenza difensiva nata per far fronte alle incursioni piratesche che presero di mira l’isola dal 705 al 1815.
La Sardegna sempre sotto attacco
Tutte le epoche storiche della Sardegna, dall’Alto Medioevo al pieno dell’Età Moderna, furono attraversate da questa triste e disastrosa piaga, tanto che tutti i dominatori che si sono succeduti hanno provveduto a realizzare importanti opere di difesa per tentare di arginare il fenomeno.
Tutti i dominatori tentarono di difenderla
Bizantini, Giudicati, Repubbliche marinare (Pisa e Genova), ma soprattutto la Corona di Spagna misero in atto un programma di difesa delle coste sarde sempre più capillare. L’utilità di queste infrastrutture venne poi rivalutata – anche in chiave civilistica – pure dopo la loro ufficiale dismissione, nel 1815, anno in cui si svolse il Congresso di Vienna e vi fu l’ultima incursione barbaresca.
I Bizantini spianarono le porte al disastro
Dopo la caduta dell’Impero Romano, la Sardegna divenne parte integrante dell’Impero Bizantino che però non ebbe la forza e la volontà politica di amministrarla e tutelarla.
Questa condizione di abbandonò fu il preludio alle incursioni piratesche e corsare che, a partire dall’ottavo secolo, investì le coste della Sardegna. Al 705 – in piena dominazione bizantina – risalgono dunque le prime due scorrerie arabe alle quali, i deboli presidi difensivi e la popolazione, colta di sorpresa, non poterono porre rimedio. L’epilogo fu la razzia di beni e vite umane (ridotte poi in schiavitù) e soprattutto l’inizio di una piaga che caratterizzerà costantemente la storia della Sardegna e ne condizionerà lo sviluppo economico, politico e culturale fino agli albori dell’età contemporanea.
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Una storia plurisecolare
La reazione dell’Impero fu tardiva, ma si adoperò per costruire le prime torri costiere e tale tecnologia fu successivamente adottata e perfezionata da tutti i successivi conquistatori della Sardegna.
Gli Spagnoli la dotarono meglio
Furono infatti i Giudicati sardi (Torres, Cagliari, Gallura e Arborea), le forme di governo dall’VIII al XV secolo, i primi a continuare la costruzione di torri con funzione di avvistamento; seguirono i dominatori pisani e genovesi (Repubbliche Marinare) e soprattutto la Corona di Spagna che attuò un più organico e massiccio sistema di fortificazioni costiere di prima difesa, in cui, la Sardegna, rientrò nel cosiddetto “Relaciòn de todas las costas maritimas del Reyno de Cerdena y de los lugares donde se deven hazer las torres y atalayas” (1572), che comprendeva pure la Spagna e l’Italia Meridionale.
Dall’Algeria le basi di partenza delle incursioni
Con la cacciata dei mori dalla Spagna, infatti (1502), la pirateria mediterranea ricevette un forte impulso e l’Africa settentrionale (Algeri) divenne base di partenza per numerose incursioni, che, divennero via via più numerose, man mano che avanzava l’evoluzione tecnologica di navi e marinai.
Il saccheggio di Pirri, Quartu e Quartuccio
La Sardegna, distante dall’Africa, solo un giorno di nave a vela se i venti erano favorevoli, divenne così bersaglio costante di nuove razzie. Tuttavia, solo con il saccheggio dei villaggi di Quartu Sant’Elena, Quartucciu e Pirri del 1582, il re Filippo II di Spagna, si decise a realizzare il progetto difensivo. Così, se già all’epoca di Pisa e Genova furono costruite oltre 60 torri di avvistamento, con la Corona Spagnola gli impianti continuarono ad aumentare. A Cagliari, fu addirittura istituita la “Reale amministrazione delle torri” con il compito di razionalizzare il piano di difesa: ubicazione delle torri, amministrazione, assunzione del personale civile, organizzazione di quello militare e reperimento dei fondi necessari, di volta in volta, a realizzarne di nuove seconda delle esigenze. Un progetto in itinere che però ebbe la sua efficacia, almeno nel tentativo di arginare l’incubo dei Sardi.
L’abolizione della schiavitù liberò la Sardegna dalla pirateria
Prima di vedere la fine delle scorrerie arabe sulle coste della Sardegna, trascorreranno lunghi secoli di terrore e, nonostante la presenza delle torri, il fenomeno fu tutt’altro che messo sotto controllo.
Bisognerà aspettare infatti il XVII° secolo e i nuovi assetti geopolitici internazionali perché l’incubo cessasse definitivamente.
Nel 1815, Inghilterra e Russia, intervenendo decisamente sui i bey di Tunisi, Tripoli e Algeri, li costrinsero ad allinearsi ai dettami del Congresso di Vienna che decretava l’abolizione della schiavitù e, di conseguenza, della pirateria. E a quell’anno, non a caso, risalì l’ultima incursione barbaresca nelle coste della Sardegna e, conseguentemente, l’inizio della progressiva dismissione delle torri, tanto che, nel 1842, Carlo Alberto di Savoia, avviò per decreto un graduale cambio di difesa militare del territorio sardo che non prevedeva più l’impiego delle torri costiere.
La ricoversione durante la Seconda Guerra Mondale
Le stesse, vivranno invece una seconda vita durante la seconda guerra mondiale, quando furono riutilizzate come presidio doganale, militare, sede d’impianti telemetrici e di segnalazione, nonché come punti di avvistamento ottico. La definitiva dismissione delle torri costiere come sistema difensivo avvenne solo nel 1989, in concomitanza dell’intesa Stato-Regione.
L’ubicazione delle torri
La maggior parte delle torri furono costruite in punti strategici laddove era possibile scrutare ampi tratti di mare ed era concepibile comunicare visivamente con le due adiacenti. Per i segnali ci si avvaleva ovviamente di quelli visivi, come fuoco o fumo, ma anche di quelli acustici, quali corni o campane. La trasmissione delle informazioni avveniva in codice, a seconda che gli invasori fossero più o meno numerosi, o più o meno armati e dotati di navi particolarmente grandi e imponenti. Per quanto riguarda l’ubicazione, la costa occidentale fu più interessata dalla costruzione delle torri, oltre ai capi nord e sud, infatti, nei golfi di Cagliari e dell’Asinara, numerose torri furono edificate nelle coste di Oristano, Bosa e Alghero. Rimase scoperto invece il tratto tra Santa Teresa di Gallura e Siniscola, forse perché ancora non vi erano centri urbani particolarmente importanti, o forse, per il fatto che la vicinanza della penisola italica fungeva da deterrente alle incursioni.
Il modello circolare
Le torri difensive della Sardegna furono costruite per ben il 95% su pianta circolare, di cui, il 56% a prospetto tronco-conica e il 19% cilindriche. Fecero eccezione la torre di Porto Torres, che fu innalzata su pianta esagonale, e di Muravera e Nurachi, che invece erano quadrate. Il modello circolare fu infatti ritenuto più resistente alle sollecitazioni statiche e dinamiche e soprattutto conteneva maggiormente l’impatto delle cannonate. Inoltre, le torri, con questa sezione erano più economiche da costruire (i lavori non richiedevano l’ausilio di personale specializzato, come di maestri scalpellini) mentre, per quanto riguarda i materiali da costruzione, si reperivano prevalentemente nelle vicinanze: calce, malta, sabbia e argilla.
Le dimensioni delle torri aragonesi
Le dimensioni delle torri variavano:
- Le grandi: le torri gagliarde – 17 metri di diametro per 14 di altezza – (Calamosca a Cagliari o Torre Grande a Oristano) disponevano di quattro cannoni di grosso calibro, due spingarde e cinque fucili.
- Le medie: le torri senzillas – 13 metri di diametro e 10 di altezza – (Chia, Malfatano e Canai) dotate tipicamente di due cannoni di medio calibro, due spingarde e cinque fucili.
- Le piccole: le torrezillas – 5 metri di diametro e 7 metri di altezza – (Sa Mora, Sant’Elia e Lazzaretto) dotate di una spingarda e due fucili.
Le altre forme di difesa a supporto delle torri
Le torri disponevano di un supporto difensivo a terra, le postazioni mobili, si trattava di soldati appiedati che pattugliavano negli interspazi liberi tra una torre e l’altra. C’erano poi i bastonatieri che, solitamente all’alba, in luoghi predeterminati per avvistare eventuali imbarcazioni nemiche. “Il termine “bastoniere” deriva da bastone in quanto essi dovevano recarsi nei posti in cui, in precedenza, un funzionario aveva provveduto a depositare un bastone che essi dovevano riportare indietro per dimostrare che effettivamente si erano recati nel luogo prestabilito”. A mare invece vi erano le ronde marine, composte da tre uomini.
Il reperimento dei fondi militari
La realizzazione di queste opere fondamentali di difesa primaria, richiedeva da parte dello stato spagnolo, l’investimento d’ingenti somme che venivano reperite anche attraverso l’applicazione di tasse locali, come i dazi sulla commercializzazione dei prodotti che erano a carico dei mercanti e dei contadini i quali operavano nei territori di competenza della torre (sino ad un raggio di 10 chilometri). Da notare, che, molto spesso, la contabilità di queste entrate non era trasparente e i passivi erano all’ordine dell’anno: questa incertezza economica diventava poi motivo di ricatto, da parte dell’Amministrazione, per conto dello Stato, sulla popolazione e sui servizi. Erano dunque sempre nel mirino il rialzo delle tasse, la diminuzione delle paghe ai soldati e l’abbandono di alcune torri.
Il turismo delle torri spagnole in Sardegna
In Sardegna sono state documentate la presenza di 105 torri costiere di cui solo il 40% di esse è in buono stato di conservazione e, dal 2008, tredici, sono state inserite nel Patrimonio di Conservatoria della Coste, che le ha riconosciute di particolare rilevanza paesaggistica e ambientale. Il 25% delle torri tuttavia è andato completamente distrutto e, il 35%, riversa ancora in condizioni precarie. Rimane comunque il fatto che, numerose amministrazioni comunali, sensibilizzate pure dall’opinione pubblica, abbiano provveduto a riconoscere le torri simbolo della comunità e del territorio e possano diventare a tutti gli effetti, proposta turistica da inserire nei pacchetti destinati ai visitatori.