Le Primavere Arabe sono le proteste di piazza iniziate tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011 in alcuni paesi arabi, quali: la Siria, l’Egitto, la Libia, La Tunisia, l’Algeria, l’Iraq, il Giordania, il Gibuti e il Bahrein. Proteste di minore entità ci sono state poi in Marocco, in Somalia, in Sudan, in Kuwait, in Arabia Saudita e in Mauritania.
Il termine “Primavera Araba” non è una definizione storica, ma è una locuzione giornalistica dello studioso americano Marc Lynch che in un suo articolo accostava, seppur a grandi linee, questi fenomeni alla Primavera di Praga del 1968 e alla Primavera dei Popoli del 1848.
A TUNISI LA DEFLAGRAZIONE
La Primavere Arabe iniziano a Tunisi il 17 dicembre del 2010, quando, lo studente Mohamed Bouazizi si diede fuoco per protestare contro i maltrattamenti subiti dalla polizia. Il clamore di quel gesto dà letteralmente “innesco” alla Rivoluzione dei Gelsomini. Da questo evento altri simili, per effetto domino, scaturirono in altri paesi arabi prima del Nord Africa e poi del Medio Oriente, determinando in alcuni casi, nuovi cambiamenti politici. E’ stato così ad esempio nella stessa Tunisia dove è caduto il regime di Zine El-Abidine Ben Ali nel gennaio del 2011; in Egitto, con la fine di quello di Hosni Mubarak (febbraio 2011); in Libia, con la morte di Muammar Gheddafi (ottobre 2011) e in Yemen, le cui proteste hanno portato alla fine di Ali Abdullah Saleh nel febbraio del 2012.
Altri governi arabi, non prettamente democratici, sulla stessa scia dei tumulti in Tunisia, Egitto e Libia, furono costretti ad aprire a riforme che allentassero la morsa autoritaria, come quelle del re di Giordania Abd Allah, che nel 2012 mise in campo un rimpasto di governo.
UN TENTATIVO DI DEMOCRATIZZARE
I motivi delle proteste popolari sono stati quasi ovunque la frustrazione della gente per vivere in paesi dove è limitata la libertà individuale; pessime sono le condizioni di vita delle classi subalterne, esposte in certi casi anche alla malnutrizione e dove la corruzione è l’ago della bilancia tra la vita e la morte di migliaia di persone.
LE CAUSE ENDOGENE E GLI SQUILIBRI INTERNAZIONALI
Marce, manifestazioni, cortei, scioperi sono le forme di resistenza civile messe in atto dai protestanti un pò ovunque durante le primavere arabe. L’aumento del costo della vita nei paesi coinvolti dalle proteste, è stato il risultato della commistione tra fattori politici e sociali interni e squilibri internazionali di natura geopolitica e ambientale.
I paesi arabi in questione infatti, hanno registrato negli anni immediatamente precedenti all’inizio delle proteste, un aumento dei prezzi dei generi alimentari che non era più sostenibile dalle categorie sociali più deboli. A favorire questa situazione sono state l’accaparramento delle poche risorse da parte delle élite al potere; la maldistribuzione delle stesse ai poveri e alla classe media. In ambito internazionale invece i fattori che hanno inciso nella penuria di risorse sui territori in questione sono stati:
- la siccità in Kazakistan e in Russia;
- le inondazioni in Australia, Canada ed Europa;
- la crisi di produzione dell’Argentina.
Le conseguenze sono state una difficoltà di reperimento delle merci specialmente di importazione e l’aumento dei prezzi, in particolare di prodotti alimentari, che hanno subito un’impennata tra il 10 e il 18 per cento in pochi anni.
LA PRIMAVERA ARABA IN TUNISIA
Il primo paese ad aprire le proteste che, con effetto domino, si diffonderanno presso molti altri paesi arabi è la Tunisia dove, nel dicembre del 2010, studenti e lavoratori scendono in piazza contro il governo golpista di Ben Ali. Ad innescare quegli eventi fu la reazione di un fruttivendolo, Bouazizi, che si diede fuoco perché la polizia mise sotto sequestro la sua merce e gli impedì di continuare il suo lavoro durante un controllo.
**La storia di subalternità di Bouazizi
Mohamed Bouazizi era un venditore ambulante che, secondo le ricostruzioni, il giorno della protesta stava esercitando come da tempo faceva la sua attività per le strade di Tunisi, traghettando la merce a bordo di una carriola. Quel giorno, il 17 dicembre 2010, Bouazizi avrebbe contratto un debito di 200 dollari USA dai suoi fornitori per acquistare la merce. Debito che avrebbe estinto rivendendola. Ma fare il venditore ambulante di frutta, secondo le normative del posto, era vietato. Ecco allora l’intervento della polizia che ad un controllo mise sotto sequestro la merce impedendo a Bouazizi di avere l’unica possibilità che aveva di saldare il debito e avere un pò di soldi per sfamarsi. La reazione del giovane fu di rabbia, anche perché, secondo alcuni esperti di diritto commerciale tunisino, la sua attività poteva essere svolta pure in quelle modalità vista l’esiguità della merce messa in vendita, in quanto, non comprometteva la filiera ufficiale di vendita al dettaglio. L’ambulante quindi, davanti all’ennesima frustrazione indotta da un’interpretazione distorta della legge, decise di andare dal governatore locale per protestare e chiedere indietro l’attrezzatura e la merce. La risposta del reggente fu di confermare quanto avevano deciso i poliziotti e per Bouazizi l’unica soluzione divenne l’estremo atto di protesta: darsi fuoco davanti all’ufficio dopo essersi cosparso di benzina. Morì poi meno di venti giorni dopo in un centro ospedaliero per il trattamento dei grandi ustionati. Durante la sua degenza ospedaliera, fatta anche di lunghi trasferimenti alla ricerca di un servizio ospedaliero in grado di curare il suo alto grado di ustioni, venne anche visitato dal presidente Ben Ali in persona che gli promise, tra le altre cose, un trasferimento in Europa per essere meglio curato. Secondo quanto riportato dai media che indagarono sulla vicenda, il viaggio non sarebbe mai stato organizzato. Al funerale di Bouazizi, oltre ad amici e parenti, si unì una grande folla che durante il corteo ruppe il protocollo dell’itinerario concordato con le autorità e si recò sul luogo del suicidio, cantando la seguente frase: «Addio, Mohammed, ti vendicheremo. Noi oggi piangiamo per te. Ma faremo piangere coloro che hanno causato la tua morte».
Quello che poteva essere un marginale fatto di cronaca divenne quindi la scintilla che diede inizio alla sommossa tunisina la quale portò, in meno di un mese, alla fuga del presidente Ben Ali e diede inizio ai moti rivoluzionari che interessarono alcuni dei principali stati del mediterraneo musulmano, dell’Africa mediterranea, del Vicino Oriente e della Penisola Arabica. Con la morte suicida di Mohamed Bouazizi era iniziata la Primavera Araba.
Dieci giorni dopo che Bouazizi si era tolto la vita infatti, nei principali centri della Tunisia, scoppiarono nuove proteste da parte di disoccupati e giovani laureati contro le condizioni di vita (senza prospettive) a loro imposte dal governo dittatoriale di Ben Ali. La risposta del presidente, in carica ormai da 23 anni, fu solo un semplice rimpasto di ministri, ma non scalfì la rabbia della popolazione che continuò a protestare e a ricevere per contro una durissima repressione da parte delle forze dell’ordine. A seguito della Rivoluzione dei Gelsomini la Tunisia ha intrapreso un lungo e difficile cammino di democratizzazione che l’ha portata prima le elezioni per l’Assemblea Costituente (2011) e poi alle elezioni legislative del 2014.
IN EGITTO FINISCE L’ERA MUBARAK
Non si erano ancora placati gli animi in Tunisia che, dall’altra parte della costa africana bagnata dal Mediterraneo, in Egitto, iniziò il 25 gennaio 2011 una protesta della popolazione contro il Partito Nazionale Democratico di Mubarak. Gli scontri, da subito violentissimi, si svolsero per le strade del Cairo e portarono a una dura repressione da parte delle forze di polizia. Le motivazioni della protesta erano similari a quelle di Tunisi: mancanza di lavoro e di libertà personali. Le agitazioni furono così violente che il governo prima nominò l’ex capo dei servizi segreti come vice di Mubarak; poi ai primi di febbraio, fu costretto alle dimissioni in toto del proprio partito di governo. A prendere le redini fu quindi una giunta militare (Tantawi) per poi essere affidate alle nuove elezioni del 2012 che portarono il movimento islamista dei Fratelli Musulmani alla vittoria. La loro presa del potere tuttavia durò poco, perché venne rovesciata da un colpo di stato ad opera dei servizi militari che portarono il generale al-Sisi alla guida dell’Egitto (2013).
** I Fratelli Musulmani
I Fratelli Musulmani è un’organizzazione politica internazionale di matrice islamista, fondata da al-Banna in Egitto nel 1928 a pochi anni di distanza dalla caduta dell’Impero Ottomano. I Fratelli Musulmani si trovano regolarmente organizzati a Gaza (Hamas) in Turchia e in Qatar. In altri paesi della tradizione islamica invece, sono dichiarati dei terroristi, come ad esempio in Arabia Saudita, in Siria, in Russia, negli Emirati Arabi Uniti, nel Bahrain e negli ex stati sovietici del Tagikistan e dell’Uzbekistan, nonché nello stesso paese d’origine, l’Egitto.
Il movimento dei Fratelli Musulmani in Egitto nacque come tentativo di reazione al processo di occidentalizzazione delle società islamiche che ebbe uno degli acuti durante la creazione del Canale di Suez. L’obiettivo era dunque di promuovere il riscatto d’orgoglio islamico da parte dei lavoratori arabi subalterni agli interessi dei grandi paesi europei in Egitto.
I Fratelli Musulmani attraverseranno i tre quarti del’900 senza riuscire, se non marginalmente, ad incidere sulle politiche culturali, economiche e sociali del paese che intendevano consapevolizzare. Solo nel 1984, con l’avvento di Mubarak al governo, le loro istanze poterono avere rappresentanza politica vera e propria. Sebbene dovettero comunque accettare l’alleanza con movimenti laici, riuscirono ad espandere la loro visione tra molti intellettuali e professionisti egiziani, fino ad entrare ufficialmente in parlamento, collocandosi a metà strada tra il regime autoritario e i gruppi islamisti favorevoli alla lotta armata. Di questi ultimi rifiutarono l’estremizzazione jihadista e si orientarono verso un ruolo di assistenza sociale e di formazione religiosa.
LIBIA E LA RIVOLUZIONE DI FEBBRAIO
La “Primavera Araba” in Libia inizia il 16 febbraio 2011 nella città di Bengasi, dove, si scontrano manifestanti per la tutela dei diritti umani e la polizia. Ad accendere la miccia anche qui fu l’arresto di un attivista. Dalla capitale della Cirenaica le proteste si allargarono a Beida e nelle altre grandi città libiche. La polizia e l’esercito nel frattempo cominciarono a rispondere con arresti e uccisioni di manifestanti: al 20 di febbraio se ne contarono già 300.
La mano forte delle autorità si concentrò soprattutto a Bengasi e nella Cirenaica in generale dove fu maggiore la presenza di oppositori al governo di Tripoli. Nella capitale libica invece le contestazioni iniziarono il 21 febbraio dove il leader Muammar Gheddafi fece direttamente uso dell’aviazione con raid sulle piazze: era iniziata la Rivoluzione di Febbraio. La delegazione libica alle Nazioni Unite prese le distanza dalle operazioni di repressione messe in atto dal governo e iniziò la Prima guerra civile in Libia che portò alla fine del regime del colonnello e alla sua morte per mano dei ribelli nell’autunno dello stesso anno.
** La prima guerra civile in Libia
In Libia, tra la fine del regime dittatoriale di Gheddafi e il 2014 sono nate due guerre civili che hanno mandato in pezzi la difficile convivenza tra tribù e genti diverse nella Libia concepita dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.
La prima guerra civile (febbraio-ottobre 2011) ha portato alla caduta del governo golpista di Gheddafi; la seconda guerra civile (2014-2021) si è svolta tra il governo con capitale Tobruch guidato dal generale Haftar e il governo riconosciuto dall’Onu con capitale Tripoli.
Nella prima guerra civile libica l’innesco del conflitto si ha avuto con la rivoluzione di febbraio 2011 che si è subito trasformata in guerra civile tra sostenitori e oppositori del regime. Dopo appena un mese dall’inizio degli scontri l’Onu fa applicare una risoluzione che interdice il volo, sopra i cieli delle manifestazioni, dell’aviazione militare libica con lo scopo di proteggere la popolazione civile. La risoluzione però non viene rispettata dal governo e a marzo del 2011 alcuni paesi stranieri (Francia e Inghilterra in primis) danno il via a un’operazione militare contro Gheddafi e il regime. I raid stranieri aggiunti agli scontri a terra tra rivoltosi (aiutati con forniture di armi e tecnologie militari da Francia e Gran Bretagna) e governo portarono in meno di un anno alla caduta del regime e indirettamente alla morte del colonnello.
LA PRIMAVERA ARABA IN SIRIA
La Guerra civile siriana è iniziata il 15 marzo del 2011 con la discesa in piazza degli oppositori politici al governo di Bashar al-Assad che volevano le sue dimissioni e la cessione del potere del suo partito, il Partito Ba’th. Gli scontri però da una dimensione civile e di piazza si sono ben presto tramutati in una guerra civile vera a propria, a seguito anche della radicalizzazione del contrasto tra gruppi fondamentalisti, come ad esempio quello di matrice salafita che ha l’obiettivo di imporre la Shari’a.
Il partito di Assad è di religione sciita, ma è minoranza nel paese. Tuttavia gode della protezione dell’Iran che tutela e rappresenta ufficialmente tutte le comunità sciite nel mondo e dell’appoggio di altri combattenti provenienti dall’Afghanistan e dall’Iraq.
A sostenere i ribelli invece sono intervenuti la Turchia, l’Arabia Saudita e il Qatar. A livello internazionale invece la spaccatura è tra Stati Uniti, Regno Unito e Francia, che da un lato sostengono i ribelli e Russia e Cina che invece appoggiano il governo siriano.
In Siria si riproducono ancora una volta le divisioni Sunniti e Sciiti senza tuttavia registrare una nettezza di posizione a favore o contro il governo: le manifestazioni sono infatti iniziate con un carattere laico di comune protesta politica ad un monopolio governativo; poi si sono polarizzate tra schieramenti di matrice religiosa senza mai costituire gruppi compatti. La maggior parte dei sunniti si è schierata contro il governo; ma altri gruppi della stessa visione religiosa sono favorevoli alla sopravvivenza dello stesso. In più si registrano continue discriminazioni che sfociano continuamente in stragi, verso le comunità religiose minori.
- LEGGI ANCHE: L’ISLAMISMO
- LEGGI ANCHE: L’IMPERO MUSULMANO
- LEGGI ANCHE: SUNNITI E SCIITI NEL MONDO MUSULMANO