Salvatore Fancello è uno dei più importanti esponenti della storia dell’arte italiana. La sua vicenda artistica è impregnata delle sue origini geografiche e storiche che affondano direttamente nel patrimonio culturale sardo in generale e dorgalese in particolare.
Dorgali è infatti la comunità che gli dette i natali e da cui ebbe una formidabile ispirazione nella creazione delle sue opere.
Famiglia numerosa
Salvatore Fancello è nato a Dorgali nel 1916 e fu il penultimo figlio della famiglia che, prima di lui, dette alla luce ben 10 eredi.
Collaborazioni coi maestri
Diplomatosi nel ’29 alle Professionali, ebbe come prima palestra il laboratorio di un “certo” Ciriaco Piras, notissimo erede dello scultore Francesco Ciusa che impiantò la sua produzione avvalendosi proprio dei disegni di Fancello. Salvatore tuttavia aveva già dato, sin dalla prima età scolare, chiari segni di orientamento artistico che in pochi anni si determinò in un forte senso della tradizione sarda, reinterpretata con una trattistica veloce e spezzata.
Anni’30, si espatria
Dopo l’incipit dorgalese, nel 1930 per Salvatore Fancello arriva la svolta curricolare: con il premio in denaro ottenuto vincendo un concorso, si iscrive all’ISIA di Monza. Tra i suoi colleghi d’istituto c’erano tra gli altri anche il designer e pittore di Tresnuraghes, Giovanni Pintori e lo scultore oranese Costantino Nivola.
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Fancello alla Olivetti
Dai banchi di prova dell’Istituto alle prime esposizioni di livello nazionale passarono pochi anni, tanto che, già nel ’35 Facello compose il “Bestiario“, uno dei primi lavori di sintesi delle tecniche di ceramica, metallica e composizione che apprese in ambito accademico.
Nella rappresentazione in terracotta del Bestiario si potevano ammirare le caricature dei principali esemplari di fauna sarda, mischiati senza rottura lessicale ai richiami animaleschi di quel presente coloniale: capre, pecore, daini, ma anche leoni, giraffe e zebre.
Da tale esperienza seguiranno preziose vicinanze artistiche col maestro Ferraresso (Padova); con il conterraneo Nivola (Torino) e con l’architetto Pagano (Milano), che lo sostenne fino alla piena visibilità della critica.
Come Nivola e Pintori, anche Fancello entrò nel cono d’ombra di quel laboratorio artistico razionalista offerto dalla Olivetti, l’industria di macchine da scrivere che affidava proprio in quegli anni all’equipe sarda la diffusione del marchio negli Stati Uniti.
La chiamata alle armi nel ’37
Salvatore Fancello è all’apice dell’espressione artistica e instaura continue amicizie con i più importanti esponenti della ceramistica italiana quando, nel 1937, deve rispondere alla chiamata alle armi. L’Italia ha appena occupato l’Etiopia e, in veste di aspirante potenza coloniale, rintuzza le nuove milizie per un’eventuale riapertura dei conflitti. Per Fancello nonostante ciò, l’esperienza militare, non è del tutto infruttuosa dal punto di vista artistico e professionale: nel ’38 conosce Cesare Brandi, storico e critico dell’arte e, nel frattempo, il suo nome compare sulla rivista “Corrente” a firma di Giulia Veronesi.
Il regalo a Nivola
Sempre nel 1938 realizza il “Disegno ininterrotto“, un acquerello a china su carta per telescrivente che regala come dono di nozze a Nivola e alla Guggenheim. Nel 1940, a Milano, ottiene il diploma d’onore dopo aver lavorato alla VII Triennale. Un suo lavoro del periodo in ceramica smaltata viene collocato nella sala mensa della Bocconi di Milano.
La guerra lo uccise
Se è vero però che l’obbligo alle armi non riuscì a fermare l’estro, di sicuro mise un punto fermo nella sua vita, quello definitivo: nel 1941, da Ivrea viene spedito sul fronte greco-albanese e lì trovò la morte il 12 marzo 1941 a Bregu Rapit (Albania). Le sue spoglie verranno tumulate nel camposanto del paese natale, Dorgali, solo nel 1962.
Nei dintorni:
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Particolare dell’installazione di Gianluigi Mele in omaggio a Fancello. Fontana di Dorgali
Mussolini colleziona Fancello
Il primo riconoscimento post-mortem arriva l’anno con la mostra alla Pinacoteca di Brera dove molti dei suoi lavori, che vanno dal disegno alla ceramica, passando per la scultura, arrivano direttamente da collezioni private (tra cui anche quella della famiglia Mussolini).
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L’arte di Fancello
Plastica decorativa, disegno, scultura e non ultimo ceramica. Molte delle opere di Salvatore Fancello sono rimaste schizzi e bozze, dove però, è emersa con impeto, la forza pittorica e la grande fantasia di cui era dotato.
Salvatore Fancello ebbe una carriera che spaziò principalmente in tre ambiti artistici:
- il disegno
- la scultura
- la ceramica
- il disegno
Dieci anni di genio
La ricerca grafica di Salvatore Fancello nel disegno, si articola in oltre settanta opere, molte delle quali sono andate perdute. La sua attività si svolge nell’arco di dieci anni, ovvero, tra il 1930, anno in cui si trasferisce a Monza per studiare all’Istituto Superiore per le Industrie, fino ad Albissola, poco prima della morte che avviene nel 1941 a soli 25 anni.
Fancello muore
a soli 25 anni
I maestri di Fancello
I suoi maestri sono stati i vari Raffaele De Grada, Arturo Martini, Giuseppe Pagano, Marino Marini oppure Pio Semeghini, ma soprattutto, il compaesano Ciriaco Piras, che, a Dorgali si trasferì dopo avere a sua volta mischiato l’estro con la vena artistica di Francesco Ciusa, il più importante scultore sardo del ‘900.
Soggetti e raffigurazioni animalesche nella ceramica e nella scultura che interpretarono un mondo surreale, fiabesco e bizzarro, non chiusero gli spazi all’ironia per la vita umana. In ambito grafico campeggiarono invece i nudi femminili, i paesaggi di campagna e di città . Soggetti disegnati con vari strumenti, a dimostrazione della grande versatilità manuale dell’artista di Dorgali: inchiostro, china, carboncino, acquerelli o addirittura il graffito.
MUSEO SALVATORE FANCELLO
Corso Umberto, 37 – 08022 Dorgali. Tel. 0784.927242 – 0784 927250 – Fax: 0784 94288. Ingresso gratuito.
La mano di Ciusa dietro quella di Fancello
In Sardegna la ceramica artistica viene convenzionalmente fatta iniziare nel 1919, quando lo scultore nuorese Francesco Ciusa, apre a Cagliari la Società per l’Industria Ceramica Artistica, una ditta privata che effettua alcune lavorazioni artistiche in terracotta rustica riproducendo alcuni dei principali temi della tradizione popolare sarda. L’azienda chiuderà appena sei anni dopo, ma fece in tempo a tracciare il solco su cui si muoveranno molti altri grandi nomi della storia artistica sarda. Tra cui, il ceramista di Assemini Federico Melis, che insieme a Vincenzo Farci aprì la prima scuola-bottega d’arte ceramica e il dorgalese Ciriaco Piras, che nel paese barbaricino si avvalse per la sua eccezionale produzione ceramica proprio dei disegni di Salvatore Fancello, che dalla tradizione sarda aveva attinto le sue tematiche reinterpretandole nelle linee spezzate e nei segni veloci che lo resero unico nel suo genere.