Antonio Gramsci, nato ad Ales (provincia di Oristano) il 22 gennaio del 1891 e morto a Roma, il 27 aprile del 1937 è stato uno dei più grandi politici della storia d’Italia.
Oltre ad essere stato politico Gramsci si è cimentato anche in altre discipline diventando spesso punto di riferimento, come la filosofia, la linguistica, la critica letteraria, il giornalismo e la politologia.
Antonio Gramsci
I settori in cui operò nella sua vita di intellettuale:
politica, filosofia, linguistica, critica letteraria, giornalismo, politologia
Uno dei più grandi del ‘900
Nel 1921 Antonio Gramsci è stato tra i fondatori del Partito Comunista d’Italia e nel 1926, per questa sua rimostranza ideologica, fu arrestato dal regime fascista.
Le conseguenze furono, oltre alla privazione della sua libertà, anche il peggioramento delle sue condizioni di salute, già precarie fin dalla giovane età.
Antonio Gramsci, la cui filosofia si rifaceva chiaramente al marxismo, è stato riconosciuto come uno dei più grandi pensatori mondiali del 1900, capace di elaborare il concetto di egemonia che le classi dominanti applicavano nei confronti di quelle subalterne.
Origine albanese
Sebbene Gramsci fosse natio della Sardegna, il suo cognome riporta le origini dei suoi avi all’Albania, o meglio alla minoranza italo-albanese che si era diffusa nell’Italia meridionale e insulare a partire dal 1400.
Questa minoranza etno-linguistica albanese da cui proviene anche il ceppo dei Gramsci che si trasferì in Sardegna è denominata “arbëreshë” e il luoghi geografici di origine comprendono l’Epiro, l’Attica e la Morea.
I Gramsci provengono indirettamente dall’Albania, ma prima di arrivare in Sardegna ebbero un primo stanziamento generazionale in Calabria.
Famiglia numerosa e superstiziosa
Antonio è il quartogenito di una numerosa famiglia che comprende in tutto sette figli.
A 18 mesi Antonio Gramsci già registra il primo problema di salute, il morbo di Pott che iniziò a manifestarsi sulla schiena. Questa malattia lo perseguirà per tutta la vita.
Nonstante la gravità della malattia, la famiglia di Gramsci rifiutò l’aiuto della medicina preferendo invece la consulenza alla superstizione. Tale scelta condannerà il giovane Antonio a convivere per il resto dei suoi giorni con una colonna vertebrale cadente.
Brillante già alle elementari
Nonostante la salute fosse precaria, fin dai primi anni di scuola, Gramsci ebbe una curiosità culturale che mosse i suoi interessi, diventando subito vorace lettore di qualsiasi cosa avesse un minimo di spessore intellettuale, come Salgari o Invernizio ad esempio.
Alla salute precaria il giovane Gramsci dovette sommare nei primi anni della sua vita anche le condizioni di disagio economico della famiglia, con il padre arrestato per peculato e la madre costretta a fare anche la procacciatrice di denaro oltre che la badante dei numerosi figli.
A scuola in ritardo negli anni ma avanti nell’apprendimento
Difficoltà economiche e salute precaria fecero perdere a Gramsci il treno formativo coi suoi coetanei: entrò un anno dopo a scuola e dovette rimandare di un altro anno l’iscrizione al ginnasio.
Abnegazione e voglia di non arrendersi però, direttamente appresi dall’attivisimo della madre, spinsero Gramsci a fare studi compensativi da autodidatta e a frequentare le scuole superiori mantenendosi di tasca con lavori propri.
Nel 1905 Gramsci fece i primi anni di ginnasio a Santu Lussurgiu e conseguì la licenza a Oristano tre anni dopo. Da qui la direzione fu Cagliari, al Liceo classico Dettori.
Gramsci al Dettori di Cagliari
Erano ormai gli anni ’10 del ‘900 quando il giovane Antonio Gramsci intraprese la strada delle scuole superiori al Liceo classico Giovanni Maria Dettori di Cagliari, che a quel tempo si trovava ancora nella sede originaria, presso l’antica sede dei Padri Gesuiti nell’omonima piazza, piazza Dettori.
Il Liceo classico Dettori era allora uno dei centri di divulgazione culturale e didattica più importanti della città di Cagliari.
Il capoluogo sardo inoltre, in quel periodo, risentiva dei moti di rinnovamento civile e sociale provenienti dalla commistione tra gli studenti (la città era anche importante sede universitaria) e classe operaia che appena pochi anni prima avevano protestato contro lo sfruttamento nei distretti minerari dell’Iglesiente.
Una rivolta che a Buggerru, ad esempio, era costata – il 4 settembre 1904 – l’uccisione di tre operai da parte dell’esercito, appositamente inviato per mettere sotto controllo la situazione.
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Indipendentismo sardo e socialismo
A Cagliari dunque, i venti e le agitazioni dei minatori iglesientini si univano spesso alle frustrazioni del proletariato urbano e dei lavoratori delle campagne (pastori e contadini) mescolando così fermenti socialisti e indipendentismo sardo in contrapposizione allo strapotere economico e politico della borghesia e della monarchia piemontese verso cui, tra molti sardi, ancora, dopo oltre quarant’anni dalla sua nascita (1861), non si era placato il rigetto del suo status dominante e predatore.
Il fermento politico, economico e culturale di Cagliari
Cagliari, quasi da sempre, principale realtà urbana complessa della Sardegna assieme a Sassari, agli inizi del ‘900, quando Gramsci vi giunse, era una città molto viva.
La vivacità di Cagliari sul piano sociale e politico per via delle proteste che vi confluivano sotto i palazzi del potere reale, riguardava anche sul piano economico e culturale l’aumento considerevole delle attività commerciali e imprenditoriali, pure grazie allo scambio sempre più assiduo con la vicina Tunisi, verso cui, molte attività cagliaritane voltavano lo sguardo già da mezzo secolo.
In sintesi il profilo economico-sociale della Cagliari di inizio ‘900 era il seguente:
- Cagliari, grazie alla sua posizione geografica al centro del Mediterraneo era un crocevia commerciale con una vivace e attiva borghesia imprenditrice;
- Cagliari ospitava numerose sedi amministrative ed era un consolidato centro amministrativo e di servizi, registrando in quegli anni un solido processo di terziarizzazione avanzata;
- Cagliari sviluppa una borghesia urbana, fatta di intellettuali e professionisti legati agli impieghi privati e pubblici.
Il dibattito ideologico cagliaritano
A fronte di una complessità urbanistica e sociale sempre più crescente, quando ancora i venti della Grande Guerra non erano arrivati, la città di Cagliari diventava teatro di dibattito ideologico e culturale tra due correnti, una ad orientamento conservatrice e una ad orientamento socialista.
I processi di modernizzazione e le suggestioni patriottiche nazionali circolarono con più vigore tra le classi di imprenditori, commercianti, professionisti e impiegati.
Le esigenze di rinnovamento democratico e sociale che portassero a una più equa distribuzione delle risorse provenivano invece dalle categorie subalterne, come proletariato urbano, minatori, pastori e contadini.
Tra queste emergeva proprio agli inizi del ‘900 il socialismo, verso cui il giovane Gramsci voltò subito lo sguardo.
Il movimento socialista cagliaritano
Il movimento socialista cominciò a muovere i primi passi in Sardegna alla fine dell’800, quando a Tempio Pausania nel 1894, venne aperto un primo circolo di propaganda socialista, attivato per altro da un gruppo di intellettuali borghesi che voleva sensibilizzare il proletariato di zona alle nuove idee egualitarie.
A Cagliari invece, un circolo socialista fu aperto l’anno dopo e questa sezione era direttamente collegata col filone nazionale.
1894, a Tempio Pausania
il primo circolo socialista
Giuseppe Cavallera
A dare una svolta al nascente movimento socialista in Sardegna era stato lo studente piemontese Giuseppe Cavallera che fu un vero e proprio ambasciatore del Partito Socialista Italiano nell’isola.
Egli, incaricato direttamente dal partito, aveva avuto infatti il compito di diffondere gli ideali socialisti in una terra ancora quasi totalmente vergine.
Cavallera fin dal suo arrivo in Sardegna, ovvero dal 1895, riscosse grazie al suo carisma e alle sue eccezionali capacità organizzative, un notevole successo, riuscendo a far aprire in appena due anni 10 circoli ufficiali in tutta l’isola.
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Le divisioni ideologiche
Quando nel 1906 Antonio Gramsci arrivò a Cagliari si imbattè in quel fermento sociale, politico e ideologico e non ebbe esitazione a quale fila aderire.
Il soggiorno a Cagliari mise subito in luce che il costo della vita era molto alto e inaccessibile per gran parte della popolazone.
Ceti medi e popolari; proletariato urbano, minatori, contadini e pastori trovavano finalmente nell’ideologia socialista una forza motivazionale a contrastare la borghesia e il padronato.
Studio e interessi culturali
A Cagliari inoltre la vita culturale era in pieno fermento.
In città erano aperti due teatri, un cinema, vari circoli, locali di riunioni e il giovane Gramsci trovò un ambiente ideale dove crescere come lui desiderva.
Teatro, filologia e giornalismo divennero i suoi ambiti di interesse.
Lo studio, nonostante le prime difficoltà a colmare le lacune accumulate negli anni oristanesi, prese ben presto la piega giusta.
Karl Marx, Grazia Deledda, Carolina Invernizio, Gaetano Salvemini, Bendetto Croce e Anton Giulio Barrili erano gli autori che Gramsci seguiva di più negli anni della seconda adolescenza cagliaritana.
I primi scritti sull’Unione Sarda
Il suo professore di Lettere, Raffaele Garzia, direttore dell’Unione Sarda, notò le doti dell’alunno venuto da Ghilarza.
E quasi per gioco gli affidò, in via ufficiosa, il ruolo di corrispondente da Aidomaggiore, incarico che Gramsci assolse in pieno vedendo pubblicati i primi articoli a suo nome sul principale giornale della Sardegna.
Termina gli studi con la fame e il freddo
Pur vivendo in un alloggio fatiscente, pur soffrendo la fame e vestendosi con abiti vecchi e consumati, Antonio Gramsci riuscì a sopravvivere alla dura prova cagliaritana e nel 1911 conseguì la licenza liceale a pieni voti.
A Torino con una borsa di studio per poveri
L’Università di Torino nell’autunno del 1911 indette un bando di concorso per 39 studenti non abbienti e licenziati nelle scuole del Regno.
A Cagliari in due furono ammessi agli esami torinesi e uno di questi fu proprio il giovanissimo Antonio Gramsci.
Lascia la Sardegna in povertà
Lasciando la Sardegna Gramsci si portò dietro la conferma che l’isola era una terra di periferia del Regno. Rimasta ancora molto indietro sopratutto rispetto al Nord e con tante fasce di popolazione in stato di povertà, arretratezza culturale e civile.
Una regione rimasta ancora arcaica e senza alcuna identità politica forte.
L’incontro con Togliatti a Torino
Nell’ottobre del 1911 Antonio Gramsci è alla facoltà di Filosofia e Lettere di Torino per partecipare alle prove di esame di ingresso.
Assieme a lui, partecipano alla selezione anche Augusto Rostagni, Maria Cristina e Palmiro Togliatti.
L’esito della prova decreta che Palmiro Togliatti è il secondo degli idonei e Gramsci il nono. Tra i due, tra i banchi e i corridoi della facoltà, nasce un’amicizia, accumunata dalle sensibilità per certi temi politici e sociali.
L’indigenza dei primi mesi al nord
I primi mesi di permanenza a Torino nel frattempo cominciano ad essere assai difficili.
Il costo della vita per sopravvivere in quella grande città, fredda e inospitale, è troppo alto per le 20 lire al mese che Gramsci riceve dalla famiglia e neanche per le 70 della borsa di studio.
Il livello di povertà di Gramsci in questo periodo a Torino è paragonabile a quello di un senza dimora.
Solo un bidello della facoltà nota lo stato di indigenza del ragazzo e lo aiuta a trovare una sistemazione sufficientemente economica da poter essere accessibile anche a lui.
Lo stato di debolezza (denutrizione e freddo) e frustrazione (solitudine) di Antonio Gramsci a Torino rallentano il percorso di studio: egli non riesce a concentrarsi talmente basso è il livello energetico del suo organismo ulteriormente indebolito dalle già precarie condizioni di salute.
Il movimentismo sardo
Tra il 26 ottobre e il 2 novembre 1913 in Italia si svolsero le prime elezioni politiche a suffragio universale maschile, con la formula del collegio uninominale a doppio turno che diede vita alla XXIV° legislatura del Regno d’Italia.
In Sardegna il dibattito politico fu acceso e partecipato, sopratutto perché il socialismo stava facendo breccia nelle classi subalterne e cominciava a solleticare tentativi di rivalsa verso la classe dominante.
Ad emergere nella discussione sarda furono i vari Michele Saba e Pietro Mastino, che avanzarono le loro tesi repubblicane e Attilio Deffenu, giovane intellettuale e capo del Gruppo di Azione e Propaganda Antiprotezionista.
Gramsci appoggia Deffenu
Antonio Gramsci, seppur già inserito nel contesto cittadino torinese, non aveva dimenticato la Sardegna e le condizioni di disparità che questa regione insulare doveva affrontare rispetto al resto d’Italia.
La posizione di Deffenu, che sottolineava appunto la penalizzazione delle esportazioni sarde a vantaggio della grande industria, fu appoggiata da Gramsci che, convintamente, capì quale scelta di campo politico avrebbe dovuto fare nel proseguo della sua vita.
**Attilio Deffenu
Il nuorese Attilio Deffenu è stato un sindacalista rivoluzionario e uno dei più importanti esponenti dell’autonomismo sardo.
Giornalista e intellettuale, fu di un anno più grandi di Gramsci e con lui condivise molte visioni politiche, in particolare per la comune visione verso il socialismo rivoluzionario e l’avversione a quello riformista.
Attilio Deffenu morì in battaglia durante la Prima Guerra Mondiale a Fossalto di Piave.
Gramsci e Mussolini, due visioni interventiste
Nel 1915 Antonio Gramsci, dopo aver concluso, senza convinzione, gli studi universitari, decise di dedicarsi al giornalismo, in particolare a quello politico e a quello teatrale.
Gli articoli politici di Gramsci furono pubblicati in vari giornali socialisti di allora, tra cui Il Grido del Popolo, dove esordì ufficialmente, e l’Avanti!.
In quest’ultimo dette luce a un paio di articoli che furono ritenuti ambigui dalla linea editoriale del giornale e del partito. n quel periodo siamo infatti in piena Prima Guerra Mondiale e Mussolini, dirigente nazionale e direttore dell’Avanti!, si è appena schierato sulla linea interventista, contrariando la posizione del partito socialista che invece, come noto, era neutralista.
Mussolini → interventismo nazionalista
Gramsci → interventismo rivoluzionario
Neutralità attiva
Antonio Gramsci si espose nel dibattito con alcuni scritti, in particolare con l’articolo “Neutralità attiva ed operante”, pubblicato su Il Grido del Popolo.
Mussolini qualche settimana prima aveva scritto il suo articolo sull’Avanti! che prospettava la partecipazione del proletariato alla guerra. Il titolo dell’articolo del futuro duce era “Dalla neutralità assoluta alla neutralità relativa ed operante“.
Gramsci però, a differenza di Mussolini che aveva imbevuto il suo interventismo di nazionalismo antiasutriaco, proponeva l’interventismo come leva del proletariato di affrancarsi dalla subordinazione padronale.
Il proletariato insomma non poteva, secondo Gramsci, rimanere inerte davanti al conflitto, ma lo poteva usare come dimostrazione del fallimento e dell’impotenza della classe dirigente, col fine, al termine della guerra, di impadronirsi delle cose pubbliche.
Gramsci isolato dal partito
Le critiche dei suoi compagni verso queste posizioni così confondibili con quelle di Mussolini (ormai defenestrato dal partito) convinsero Gramsci ad isolarsi per un pò dal dibattito politico.
Critica a Pirandello
Fu così che i temi dei suoi articoli giornalistici si concentrarono fino alla Rivoluzione russa, sulla analisi teatrale, dove anche qui, non mancarono di suscitare polemiche, in particolare contro il grande Luigi Pirandello, verso il quale mosse numerose critiche in vari scritti.
Antonio Gramsci tuttavia in veste di critico teatrale dell’Avanti! dal 1916 al 1920 dette prova di grande giornalismo culturale.
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Mobilitazione ragionata giovanile
La stampa italiana liquida la Rivoluzione d’Ottobre
La Rivoluzione d’Ottobre del 1917 che trasformò uno sciopero di operai in un ribaltamento dell’assetto di potere e la presa dello stesso da parte dei bolscevichi guidati da Lenin, fu derubricata dalla stampa italiana come una “ribellione di ubriaconi”.
Gramsci riconosce la portata della Rivoluzione
Gramsci tuttavia nel novembre del 1917 rese pubblica la sua posizione sull’evento nel suo articolo sull’Avanti! intitolato “La rivoluzione contro «Il Capitale»”.
L’intellettuale sardo sottolineò però come una rivoluzione proletaria si fosse manifestata in un paese povero e arretrato e non, come la dottrina marxiana prevedeva, in uno stato benestante dove il capitalismo si era definitivamente affermato.
Queta opinione fu contraria a quella intransigente di Amadeo Bordiga, fervente militante socialista e futuro primo segretario del PCI, che invece sosteneva l’interpretazione meccanicista marxiana.
** Amedeo Bordiga
Amadeo Bordiga è stato uno dei fondatori del Partito Comunista Italiano e il primo segretario. Portatore di un’impostazione marxista del comunusmo, non condivideva le derive totalitarie che poi sfoceranno nello stalinismo. Contro lo stalinismo lotto apertamente e pagò questa posizione con l’espulsione dal partito.
Tra Gramsci e Bordiga l’approccio al marxismo è diverso:
- Il marxismo di Gramsci è fortemente intellettuale.
- Il marxismo di Bordiga è deterministico, con sfumature positiviste.
- Gramsci vede la Rivoluzione bolscevica come una rottura positiva delle “incrostazioni positivistiche e naturalistiche” del marxismo.
- Bordiga vede il bolscevismo come la conferma del marxismo in cui le due correnti democratico-borghese da una parte e proletaria dall’altra, rimangono alleate finché il nemico comune (lo zarismo) rimane in piedi, ma poi si separano all’indomani della vittoria comune.
** Determinismo
Il determinismo è una concezione filosofica secondo cui nulla avviene per caso, ma tutto avviene perché una causa determina un effetto.
** Positivismo
Il positivismo è una dottrina filosofica che riconosce nella scienza lo strumento principale per arrivare alla verità.
Una rivoluzione mondiale
Gramsci inoltre, sullo spunto di quanto era accaduto in Russia, credeva nell’opportunità di un processo rivoluzionario mondiale, impostazione questa molto vicina a quella di Lenin e opposta, ancora una volta a quella di Bordiga.
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Ordine Nuovo e i primi germogli comunisti di Gramsci e compagni
Dittatura del proletariato
Gramsci e Togliatti verso il comunismo
” Un problema si impone oggi assillante a ogni socialista che senta vivo il senso della responsabilità storica che incombe sulla classe lavoratrice e sul Partito […].
Solo da un lavoro comune e solidale di rischiaramento, di persuasione e di educazione reciproca nascerà l’azione concreta di costruzione.
Lo Stato socialista esiste già potenzialmente negli istituti di vita sociale caratteristici della classe lavoratrice sfruttata.
- Collegare tra di loro questi istituti, coordinarli e subordinarli in una gerarchia di competenze e di poteri, accentrarli fortemente, pur rispettando le necessarie autonomie e articolazioni, significa creare già fin d’ora una vera e propria democrazia operaia, in contrapposizione efficiente ed attiva con lo Stato borghese, preparata già fin d’ora a sostituire lo Stato borghese in tutte le sue funzioni essenziali di gestione e di dominio del patrimonio nazionale.
Il movimento operaio è oggi diretto dal Partito socialista […].
Lavorare proficuamente per l’avvento del comunismo in gruppi e individui finora assenti dalla lotta politica. E’ necessario […] fare della classe proletaria e semiproletaria una società organizzata che si educhi, che acquisti una consapevolezza responsabile dei doveri che incombono alle classi arrivate al potere dello Stato.
Il Partito socialista e i sindacati professionali non possono assorbire tutta la classe lavoratrice
- Il Partito deve continuare ad essere l’organo di educazione comunista, il focolare della fede, il depositario della dottrina, il potere supremo che armonizza e conduce alla meta le forze organizzate e disciplinate della classe operaia e contadina. […]. Il Partito non può spalancare le porte all’invasione di nuovi aderenti, non abituati all’esercizio della responsabilità e della disciplina.
[…] Le commissioni interne sono organi di democrazia operaia che occorre liberare dalle limitazioni imposte dagli imprenditori, e ai quali occorre infondere vita nuova ed energia.
Oggi le commissioni interne limitano il potere del capitalista nella fabbrica e svolgono funzioni di arbitrato e di disciplina. Sviluppate ed arricchite, dovranno essere domani gli organi di potere proletario che sostituisce il capitalista in tutte le sue funzioni utili di direzione e di amministrazione.
- Già fin d’ora gli operai dovrebbero procedere alla elezione di vaste assemblee di delegati, scelti fra i migliori e più consapevoli compagni, sulla parola d’ordine: “Tutto il potere dell’officina ai comitati d’officina”, coordinata all’altra: “Tutto il potere dello Stato ai Consigli operai e contadini”. […]
Un sistema di democrazia operaia darebbe una forma e una disciplina alle masse, sarebbe una magnifica scuola di esperienza politica e amministrativa, inquadrerebbe le masse fino all’ultimo uomo, abituandole alla tenacia e alla perseveranza, abituandole a considerarsi come un esercito in campo che ha bisogno di una ferma coesione se non vuole essere distrutto e ridotto in schiavitù. […]
Attraverso i comizi, tenuti all’interno dell’officina, con l’opera incessante di propaganda e di persuasione sviluppata dagli elementi più consapevoli, si otterrebbe una trasformazione radicale della psicologia operaia, si renderebbe la massa meglio preparata e capace all’esercizio del potere, si diffonderebbe una coscienza dei doveri e dei diritti del compagno e del lavoratore, concreta ed efficiente perché generata spontaneamente dall’esperienza viva e storica.
- […] La soluzione concreta e integrale dei problemi di vita socialista può essere data solo dalla pratica comunista: la discussione in comune, che modifica simpaticamente le coscienze unificandole e colmandole di entusiasmo operoso. Dire la verità, arrivare insieme alla verità, è compiere azione comunista e rivoluzionaria.
La formula “dittatura del proletariato” deve finire di essere solo una formula, un’occasione per sfoggiare fraseologia rivoluzionaria. Chi vuole il fine, deve volere anche i mezzi. La dittatura del proletariato è l’instaurazione di un nuovo Stato, tipicamente proletario, nel quale confluiscono le esperienze istituzionali della classe oppressa, nel quale la vita sociale della classe operaia e contadina diventa sistema diffuso e fortemente organizzato.
- Questo Stato non si improvvisa: i comunisti bolscevichi russi per otto mesi lavorano a diffondere e far diventare concreta la parola d’ordine: tutto il potere ai Soviet, ed i Soviet erano noti agli operai russi fin dal 1905.
I comunisti devono far tesoro dell’esperienza russa ed economizzare tempo e lavoro: l’opera di ricostruzione domanderà per sé tanto tempo e tanto lavoro, che ogni giorno e ogni atto dovrebbe poterle essere destinato”.
Dittatura del proletariato
I socialisti contestano la deriva gramsciana
Fabbrica palestra di dittatura
I contributi liberali al giornale
Nel frattempo che le posizioni tra socialisti riformisti e ordinovisti rivoluzionari si allontanavano sempre più, con l’articolo “Per un rinnovamento del Partito socialista” del marzo 1920 che disarcionava con più decisione le due linee, il giornale Ordine Nuovo continuava la sua vita editoriale, rinforzata da numerose collaborazioni, alcune delle quali di gran spessore, come quella di Gobetti (liberale), Ferrero, Rosselli, Capriolo, Recchia, Morandi, che davano corpo e diversificavano la linea editoriale smarcandola dalla monotonia degli articoli politici.
Non solo operai, anche contadini
Altri passi in avanti verso l’emancipazione del giornale dalla esclusività dei temi che si incentravano sulle realtà degli operai nelle fabbriche torninesi, furono fatti quando Gramsci e Togliatti sollecitarono i collaboratori ad allargare le visioni anche alle questioni internazionali (Gramsci) e alle problematiche dei contadini (Togliatti).
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Dai consigli di fabbrica al PCd’I
Dopo oltre trent’anni di socialismo embrionale, la coscienza politica si espandeva sempre di più nelle fila degli operai e maturava una consapevolezza della propria forza che poteva portare, se giustamente incanalata, al ribaltamento dei rapporti forza tra operai e padroni.
Sulla scia dei venti rivoluzionari che arrivavano, seppur deboli a causa delle barriere geografiche, dalla Russia, anche in Italia cominciavano a svilupparsi movimenti operai più motivati e sicuri dell’obiettivo da raggiungere: il potere.
Nel 1919 nelle industrie torinesi nacque il movimento dei Consigli di fabbrica, che erano degli organismi rappresentativi più incisivi delle Commissioni interne. E a queste si sostituirono in un percorso di evoluzione che avrebbe portato, in un futuro prossimo, alla creazione di un partito dei lavoratori vero e proprio.
Riformismo socialista troppo morbido
A stimolare il nuovo movimentismo era anche la linea editoriale dell’Ordine Nuovo che cominciò a paragonare i Consigli di fabbrica ai Soviet russi, dando quindi agli operai una rappresentazione politica più incisiva e movimentista del socialismo bordighiano, ritenuto ormai troppo paludato verso un morbido riformismo.
Gramsci voleva che nella nuova linea movimentista fossero inclusi anche lavoratori anarchici e non allineati, in modo che si passasse da un movimento settario a un movimento di massa. Il solo questo in grado di poter fare peso specifico contro la forza diromente della classe padronale.
Gramsci riconosciuto a livello internazionale
La linea gramsciana fu apprezzata e riconosciuta più idonea ai principi della III Internazionale.
Tale riconoscimento doveva essere confermato, secondo le linee guida del Congresso del Comintern, nel Congresso di Livorno del 1921.
I socialisti italiani bocciano la linea gramsciana
Le riconoscenze internazionali della linea gramsciana tuttavua non ebbero la stessa corrispondenza in Italia.
Nel paese natale del pensatore sardo i socialisti contestarono apertamente la scelta di aprire il movimentismo operaio ai non iscritti e frenarono i tentativi di sciopero che ricalcavano la linea gramsciana. Inoltre, alcuni altri dirigenti socialisti ipotizzavano una collaborazione col prossimo governo Nitti.
Nessuna rivoluzione italiana
Man mano che l’appoggio socialista alle lotte sindacali veniva smorzato sempre più, ogni possibile deriva rivoluzionaria emerse chiaramente anche in Italia, sebbene non vi fossero ancora non le condizioni sociali e politiche (mancava un partito) per un salto di qualità del movimentismo che andasse oltre lo sterile riformismo.
A questa conclusione erano arrivati sia Gramsci che Bordiga.
Monarchici e liberali temono la deriva rivoluzionaria
Siamo ormai nel 1920 quando in Italia lo squadrismo fascista ha cominciato seriamente ad attaccare con la violenza fisica qualsiasi tentativo dei lavoratori di avere una rappresentazione poltica, sindacale o movimentista.
Ai fascisti il compito di reprimere con la violenza
Nel timore che anche in Italia possa partire un focolaio rivoluzionario, le squadracce fasciste sostenute finanziariamente da apparati monarchico-liberali fanno il “lavoro sporco” di intimidazione ed eliminazione fisica di qualsiasi iniziativa proletaria volta a creare movimenti rivoluzionari o simili.
Giolitti protegge i fascisti
A garantire protezione politica e libertà di azione ai fascisti che bruciavano le Camere del Lavoro, assaltavano municipi, facevano sciogliere consigli comunali, aggredivano e talvolta uccidevano avversarii politici (socialisti sopratutto) era il Governo Giolitti (Sinistra Storica) che non interveniva sugli innumerevoli episodi di violenza per prevederli, contenerli o punirli.
** La Sinistra Storica
La Sinistra storica – governò il Regno d’Italia dal 1876 al 1896 – rappresentava gli interessi delle nuove classi borghesi e professionali del Nord e Centro Italia, e condivideva una visione più progressista rispetto alla Destra storica, che era composta principalmente da aristocratici, latifondisti e rappresentanti dell’élite conservatrice.
La Sinistra storica iniziò a perdere consenso verso la fine dell’Ottocento, soprattutto a causa di una crescente opposizione politica e delle difficoltà economiche e sociali, che favorirono l’ascesa di movimenti politici più radicali e l’emergere del socialismo.
** Giovanno Giolitti
Giovanni Giolitti è stato uno dei politici italiani più importanti e influenti tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, noto per aver governato durante un periodo di grandi cambiamenti sociali, economici e politici che prese il nome di Età Giolittiana. È stato presidente del Consiglio dei ministri italiano in cinque occasioni, tra il 1892 e il 1921, e fu una figura centrale nella trasformazione dell’Italia liberale prima della Prima Guerra Mondiale.
Giolitti è noto per aver implementato un sistema di governo molto pragmatico, teso a mantenere stabilità sociale ed economica e a evitare conflitti con il movimento operaio.
A Livorno nasce il PCd’I
A questo punto, i settori più radicali del movimento operaio, resisi conto che il Partito Socialista faticava a prendere una posizione in loro difesa e rappresentanza, decisero di fondare un proprio partito, il Partito Comunista d’Italia.
E’ il 21 gennaio 1921, al Congresso del Partito Socialista Italiano al teatro San Marco di Livorno, che la corrente più radicale abbandona i lavori e forma un partito indipendente.
Subito rivoluzionari
Tra gli ordinovisti Antonio Gramsci entrò subito a far parte del Comitato Centrale e la linea del partito fu immediata: schierarsi con la Rivoluzione d’Ottobre.
Era chiaro dunque che il Partito Comunista d’Italia scelse senza indugi di abbandonare il riformismo cerchiobottista dei socialisti e di abbracciare una linea chiaramente rivoluzionaria.
Partito militante
L’organizzazione del partito fu quindi militare e non politica. Ciò significava che aderendo al partito bisognava rispettare l’ordine gerarchico e subordinarsi ad ordini superiori dimostrando fedeltà.
Gramsci critica la deriva militaresca del partito
Gramsci contestò questo inquadramento e questa modalità di formazione della classe dirigente del partito perché, secondo lui, non la si costruiva sulla base delle qualità personali dei militanti, bensì sull’atteggiamento di subordinazione.
Inoltre, il dirigente sardo contestava il pressapochismo culturale della frazione comunista a cui attribuì la responsabilità indiretta per l’affermazione del fascismo.
Lenin contesta la deriva settaria del PCd’I
Intanto a Mosca Lenin contestò la posizione estremista di Terracini che aveva portato alla scissione dal Partito Socialista e invitò il dirigente italiano a valutare un ripensamento.
Gramsci isolato nel partito
Lenin contestava sopratutto che il neonato Partito Comunista d’Italia si trasformasse in un partito settario, rinunciando a priori alla forza della massa.
Ottica che anche Gramsci contestava e per questo fu isolato dalle alte dirigenze comuniste.
L’incontro con Lenin
L’isolamento del politico sardo si tradusse diplomaticamente anzichè in una inopportuna espulsione, in un affidamento di rappresentanza del partito all’estero, in particolare in veste di delegato nell’Esecutivo dell’Internazionale Comunista a Mosca.
Nella Russia neosovietica Gramsci ebbe modo di entrare direttamente in contatto con il bolscevismo più autentico, incontrando personalmente anche Lenin nell’ottobre del ’22 con cui ebbe un proficuo confronto sulle prossime strategie da adottare in seno al partito italiano.
Ottobre 1922, Gramsci incontra Lenin
- Lenin, nascita 1870
- Gramsci, nascita 1891
I fascisti arrestano comunisti e socialisti
Durante la permanenza all’estero Gramsci poté scampare alle retate fasciste che in pieni anni ’20 iniziarono a decapitare le alte dirigenze comunista e socialista.
Furono arrestati esponenti del calibro di Grieco e Bordiga, ma lo stesso Gramsci fu inserito nella lista dei ricercati, anche perché era uno dei pochi alti dirigenti comunisti rimasti ancora a piede libero.
Del resto la posizione gerarchica del sardo all’interno del Partito Comunista d’Italia dopo lo smantellamento della dirigenza italiana, lo collocava per esclusione ad essere il “prossimo della lista”.
Lotte intestine ai bolscevichi
Altre notizie terribili per il movimentismo comunista arrivarono direttamente da Mosca, con il peggioramento delle condizioni di salute di Lenin che lo avrebbero portato di lì a poco alla morte.
Questo fatto alimenterà le lotte intestine al partito bolscevico per la sua successione.
A Vienna maturò per la terza via
Gramsci in questo turbinio di notizie disastrose dall’Italia e dalla Russia visse un periodo di isolamento geografico trasferendosi a Vienna dove poté riflettere sulle soluzioni da adottare.
Dal suo punto di vista maturò così una terza via comunista, che non fosse quella russo bolscevica e che non fosse quella settaria del PCd’I.
Il rientro nell’Italia fascista
Nel maggio del 1924 Antonio Gramsci rientrà finalmente in Italia, ma trovò una situazione politica e sociale totalmente cambiata per l’avvento del Fascismo al potere.
L’apporto del Vaticano al Fascismo
Durante la sua permanenza all’estero i fascisti avevano marciato su Roma (28 ottobre 1922) e si erano insediati ufficialmente al potere. Anche perché, oltre al sostegno celato di monarchici e liberali, il fascismo riceveva pure le simpatie del Vaticano.
La repressione fascista scoraggia le adesioni al PCd’I
La repressione fascista aveva poi iniziato a fare i suoi effetti intimidatori: e così anche gli iscritti al Partito Comunista d’Italia cominciavano a diminuire per paura di aggressioni fasciste.
Gramsci fonda l’Unità
Per Gramsci a questo punto, al fine di ricostruire un peso specifico sul fronte antifascista, era necessario che comunisti e socialisti ritrovassero un nuovo baricentro unitario.
Sulla base di questa esigenza gramsciana nacque il nuovo quotidiano chiamato appunto “l’Unità” (1924).
Gramsci e Matteotti in parlamento
Le elezioni politiche del 1924 che portarono i fascisti ad impadronirsi del parlamento con oltre 4 milioni di voti a favore, consentirono nonostante tutto a oppositori del calibro di Giacomo Matteotti e di Antonio Gramsci di entrare nei banchi della massima assemblea.
- Matteotti, nascita 1885
- Gramsci, nascita 1891
Assassinio Matteotti
Il 10 giugno del 1924 il deputato socialista Giacomo Matteotti, uno dei primi a denunciare pubblicamente l’illegalità che aveva portato la Lista Nazionale di Benito Mussolini al governo, fu rapito da una squadra fascista e assassinato.
Il corpo verrà ritrovato solo il 16 agosto dello stesso anno.
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Gramsci boccia l’Aventino
Gramsci in risposta a questo omicidio fece scrivere sull’Unità il titolo “Abbasso il governo degli assassini” e si attivò perché i suoi colleghi in parlamento rientrassero in aula interrompendo l’Aventino, ovvero quel ritiro in massa dai banchi del parlamento per protestare contro la deriva autoritaria e violenta del fascismo.
Per Gramsci la questione doveva essere affrontata politicamente.
Fronte unico con socialisti e laici
Gramsci in quegli anni di ascesa del Fascismo verso la dittatura riorganizzò la dirigenza del neonato partito comunista smarcandola ulteriormente dalle posizione intransigenti di Bordiga e aprendola al dialogo con le altre forze laiche e socialiste del parlamento (Gobetti, Lussu, Miglioli) al fine di organizzare un fronte unico contro la deriva autoritaria.
Gobetti – Piero Gobetti (1901–1926) era un giornalista, scrittore e intellettuale italiano, noto per le sue idee politiche liberali e il suo fervente antifascismo.
Lussu – Emilio Lussu (1890–1975) è stato uno scrittore, politico e antifascista italiano, noto per il suo impegno nella lotta contro il fascismo e per le sue opere letterarie che raccontano l’esperienza della guerra e la lotta per la libertà.
Miglioli – Guido Miglioli (1879–1954) è stato un politico, sindacalista e leader del movimento contadino italiano, noto per il suo impegno a favore dei diritti dei lavoratori agricoli e delle classi popolari.
A Lione il congresso clandestino dei comunisti
Dal 20 al 26 gennaio 1926 i dirigenti del PCd’I espatriarono clandestinamente in Francia per organizzare il 3° congresso dei comunisti italiani.
Nonostante la polizia fascista avesse messo sotto sorveglianza i vertici del partito, molti di questi riuscirono con appoggi, amicizie e un pò di furbizia (passaporti falsi) a varcare il confine alpino e riunirsi liberamente per definire le nuove linee guida del partito davanti alla nascente dittatura italiana.
Riunione di tutti i massimi esponenti italiani
Al congresso di Lione parteciparono tutti i maggiori esponenti del Partito Comunista d’Italia, tra cui Gramsci, Togliatti, Tasca, Scoccimarro, Grieco, Bordiga, a cui si aggiunse un altro grande fuoriuscito dal Partito Socialista, Serrati che a lungo era stato alto dirigente.
Le visioni comuniste sul fascismo
Alla luce della nuova situazione politica italiana, sopratutto davanti alla presa del potere da parte di Mussolini e dei fascisti, le tesi che emersero nella discussione confluirono verso alcune considerazioni comuni:
- il capitalismo è in crisi
- l’agricoltura è la base economica del paese
- tra industriali del Nord e latifondisti del Sud si è creata un’allenza che porta la maggior parte della popolazione italiana a rimanere esclusa dalla spartizione del benessere
- il proletariato può diventare una forza sociale in grado di unire la società
- la piccola borghesia urbana e agraria rimasta delusa dallo sterile riformismo di Nitti e Giolitti, nonché dal mancato sbocco rivoluzionario, ha preferito credere nel fascismo che ha promesso loro una risposta energica a tale esigenza
- è necessario anche in Italia creare un partito bolscevico che, partendo dalle cellule nelle fabbrica, potrebbe creare un punto di coesione tra proletari del Nord e contadini del Sud
Partito Bolscevico d’Italia
Da questo congresso la tesi di Bordiga venne messa definitivamente in minoranza e si organizzò il partito con una linea tipicamente bolscevia, ovvero:
- creazione di un Comitato centrale
- imposizione di una disciplina a tutti i membri
- esclusione a priori di tutti i frazionismi che avrebbero minato la coesione e la forza del partito (come già avveniva nei partiti socialdemocratici)
Il Comitato Centrale fu così formato da Tasca, Ravera, Grieco, Scoccimarro, Terracini, Togliatti, Gramsci e lo stesso Bordiga che fu salvato proprio da Gramsci che ne riconobbe il valore. A questi fu tuttavia imposto di evitare qualsiasi deriva frazionista pena l’espulsione.
Bolscevismo
Il Bolscevismo prevede la centralizzazione del potere: e sostiene una dittatura del proletariato, con il potere concentrato nelle mani di un partito unico, il Partito Comunista, che avrebbe guida la transizione verso il comunismo.
Morto Lenin, i comunisti russi entrano in rotta
Dopo la morte di Lenin il partito bolscevico entra in crisi per la feroce lotta tra gli alti dirigenti su chi avrebbe dovuto succedergli.
Stalin e Bucharin da un lato, costituisce la maggioranza, Trockij, Kamenev e Zinov’ev invece è la minoranza.
Per Gramsci in Russia, da parte di Trockij si assisteva a un pericoloso quanto inutile tentativo di frazionismo che indeboliva la forza del partito.
La linea di Trockij la paragonava a quella di Bordiga in Italia.
Gramsci appoggia Stalin con riserva leninana
Gramsci e il PCd’I si schieravano quindi contro Trockij ma invitarono la maggioranza a non schiacciare la controparte. Nella lettera al Comitato centrale bolscevico, fatta recapitare a mezzo di Togliatti che in quegli anni era delegato italiano a Mosca, Gramsci dichiara la posizione del PCd’I rispetto a questa transizione.
La contrapposizione di Stalin e Trockij era per Gramsci una minaccia alla coesione del partito.
Tuttavia tenne conto di quanto Lenin aveva appena scritto nel suo testamento, il quale diceva fermamente che Stalin per la sua rozzezza non era adatto a ricoprire il ruolo di massimo dirigente.
Gramsci e Togliatti divergono su Stalin
Togliatti invece, davanti a questa posizione, assunse una linea chiaramente stalinista, sostenendo che il partito doveva allinearsi alla volontà della maggioranza.
L’arresto di Gramsci
Nell’estate del 1926 la dirigenza e i militanti del PCd’I erano ormai agli ultimi esponenti rimasti ancora in libertà. La polizia stava stringendo sempre di più il cerchio e Gramsci era uno di coloro ancora in libertà: per il partito l’unica soluzione era una rischiosa clandestinità o una ancor più rischiosa semiclandestinità.
Tra la fine dell’estate e l’autunno di quell’anno vennero arrestati Terracini (12 settembre) e Scoccimarro (15 settembre).
Arresto di Gramsci
8 novembre 1926
L’8 novembre invece ad essere catturato fu Antonio Gramsci che, insieme ad altri deputati comunisti si era riuinito a Roma per organizzare un possibile trasferimento di ciò che rimaneva della dirigenza in Svizzera.
Nonostante Gramsci e gli altri deputati godessero teoricamente dell’immunità parlamentare, la polizia li rinchiuse tutti al Regina Coeli.
Dal carcere romano l’esponente sardo fu poi trasferito a Ustica dove trovò come compagni di confino anche il compagno Bordiga e il sardista Lussu.
Mussolini vieta la scarcerazione
A gennaio del 1927 Gramsci fu poi trasferito a Milano, al carcere San Vittore.
Nel frattempo dall’Unione Sovietica iniziarono le ricerche di contatti col Vaticano per intervenire affinché il dirigente comunista fosse liberato.
Mussolini tuttavia venne a conoscenza della trattativa e mise il suo veto personale alla prosecuzione della prigionia per Gramsci.
I Sovietici dietro la soffiata ai fascisti
Durante la prigionia milanese Gramsci ricevette una lettera da parte di un alto dirigente comunista italiano, Ruggero Grieco che scriveva “in chiaro” alcune questioni di carattere politico.
Gli argomenti e la tecnica di scrittura spudorata oltre a diventare un’aggravante alla carcerazione, fu ritenuto da alcuni osservatori postumi come una trappola interna al partito ai danni di Gramsci, a causa della sua posizione critica verso la dirigenza sovietica, in particolare da quando l’ascesa di Stalin era ormai diventata certa.
La condanna del Tribunale speciale
Il 28 maggio del 1928 si svolse il processo del regime fascista ad Antonio Gramsci e ad altri numerosi parlamentari oppositori al fascismo, tra cui, oltre ai comunisti Scoccimarro e Terracini, anche Ezio Ferrari Luigi Alfani, Giovanni Roveda, Ezio Riboldi.
Per la condanna fu applicata una legge speciale con effetto retroattivo che bypassava le norme del diritto fino ad allora riconosciute e tutti gli imputati vennero giudicati colpevoli.
Antonio Gramsci fu condannato a vent’anni, quattro mesi e cinque giorni con le seguenti motivazioni:
- attività cospirativa
- istigazione alla guerra civile
- apologia di reato
Condanna a
20 anni, 4 mesi e 5 giorni
Il carcere in Puglia
Viste le precarie condizioni di salute di Gramsci che non consigliavano di portarlo in carceri di confino (era previsto inizialmente rinchiuderlo a Portolongone, nell’isola d’Elba), si optò per Turi, a pochi passi da Bari, in Puglia.
La salvezza con la scrittura
Alle precarie condizioni fisiche Gramsci dovette a questo punto sommare la frustrazione di passare il tempo in carcere senza avere nulla da fare.
Per una intelligenza così complessa e bisognosa di stimoli, la prigionia significava il rischio di perdere anche la salute mentale.
Dopo un anno di detenzione a Gramsci fu così concesso il permesso di scrivere e questo gli permise di alleviare il peso della detenzione organizzando il tempo con un’attività intellettuale.
Quaderni dal carcere
Dal febbraio 1929 Antonio Gramisci inizia così la scrittura dei suoi “Quaderni dal carcere” che furono una raccolta di riflessioni, studi e pensieri su vari argomenti di suo interesse, in particolare linguistica e letteratura.
Nonostante queste distrazioni e questi riempimenti tuttavia lo stato di salute fisica del dirigente comunista continuò a peggiorare.
Critica staliniana
Gramsci anche durante la prigionia continuò a mantenere la sua posizione critica verso la deriva rigida e settaria del Partito Comunistia sovietico, sopratutto da quando Stalin ne aveva definitivamente preso la guida.
Questa sua divergenza rispetto all’ortodossia sovietica a cui dovevano allinearsi tutti gli altri partiti comunisti europei, lo portò ad isolarsi e ad essere isolato dagli altri dirigenti e ciò accadeva prima di tutto tra i compagni di carcerazione con cui aveva tentato, senza successo, di convincerli a dissentire dai sovietici.
L’amicizia con Pertini
L’isolamento dai suoi compagni comunisti portò a Gramsci grande sofferenza interiore ma gli diede anche l’occasione di interagire anche con altri politici antifascisti di altri partiti, come fu il caso della polemica con Sandro Pertini che tuttavia si tradusse ben presto in un’amicizia.
- Gramsci, nascita: 1891
- Pertini, nascita: 1896
Mussolini lo condanna a cure inadeguate
La salute di Gramsci nel carcere pugliese continò la sua caduta.
La visita di un medico suggerita dalla famiglia dichiarò che il dirigente sardo doveva essere trasferito in una clinica e messo sotto controllo medico. Il Duce intervenne sulla questione e gli fece assegnare la clinica Cusumano di Formia che però non fu adeguata a curare la problematica di Gramsci.
La morte di Gramsci
Dopo un nuovo e fallito tentativo di scarcerazione, che avvenne nel 1934 quando diplomatici sovietici e italiani cercarono un’intesa per uno scambio di prigionieri in cambio della libertà dell’intellettuale sardo, la clemenza del governo fascista arrivò a consentire la libertà condizionata viste le gravissime condizioni di salute.
A Gramsci tuttavia ormai rimanevano ancora tre anni di prigione da scontare, in quanto la sua scarcerazione era prevista per l’aprile del 1937.
Sembrava questa una data a portata di mano ma la sua salute lo tradì definitivamente proprio il giorno della sua scarcerazione, il 25 aprile 1937, quando fu colpito da un’emorrargia cerebrale. Gramsci morì due giorni dopo.