Miniera di Montevecchio – Storia e riconoscimenti
La Miniera di Montevecchio è uno storico complesso minerario della Provincia del Medio Campidano, situato al confine tra i territori comunali di Guspini e Arbus, in Sardegna. Durante la Seconda Guerra Mondiale, sotto la denominazione di Montevecchio SIPZ (Società Italiana del Piombo e dello Zinco), raggiunse il massimo livello di produzione di minerali, in particolare piombo e zinco.
Oggi, l’ex miniera è uno dei più importanti siti di archeologia industriale della Sardegna, riconosciuto a livello internazionale per il suo valore storico e culturale. Nel 2011 Montevecchio è stata premiata con il Premio EDEN (European Destinations of Excellence), iniziativa dell’Unione Europea che promuove modelli di sviluppo turistico sostenibile in località di eccellenza.
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Miniera di Montevecchio
Cronologia Storica
Dalle prime tracce d’età romana alla chiusura del 1991 e al riconoscimento turistico contemporaneo:
le tappe principali della storia mineraria di Montevecchio.
Anno / Periodo | Evento |
---|---|
Età romana | Primi sfruttamenti sistematici dell’area; rinvenuti lucerne, secchi e pompe in piombo con bocchelle in bronzo; uso di meccanismi lignei. |
Medioevo | Attività estrattiva modesta e occasionale, tecniche poco produttive. |
1750 | Fonderia di Villacidro (Carl Gustav Mandel): considerata la prima industria della Sardegna, lavora minerali di Montevecchio. |
1842 ca. | Il sacerdote Giovanni Antonio Pischedda avvia scavi esplorativi e cerca soci a Marsiglia per avviare una società mineraria. |
28 apr 1848 | G.A. Sanna fonda la Società per la Coltivazione della Miniera di Piombo Argentifero di Montevecchio; concessioni Montevecchio I–II–III (quadrate 2 km/ lato), poi ampliamento verso Ingurtosu. |
1856 | Nasce il nucleo abitato di Gennas Serapis; prima laveria Rio (a vapore) e apertura della Galleria Anglo-Sarda. |
1865 | 1.100 operai: Montevecchio è la più grande miniera del Regno d’Italia. |
1873–1878 | Costruzione della ferrovia Montevecchio Sciria – San Gavino Monreale (in esercizio dal 1878). Sul versante occidentale nasce la laveria Eleonora d’Arborea (già “Sanna”). |
1874 | Apre il ricovero ospedaliero minerario: due piani, quattro sale da 9 posti letto, ricambio d’aria, binario interno per i degenti. |
1877 | Inaugurata la Laveria Principe Tomaso. Visita del principe di Casa Savoia; banchetto nella Galleria Anglo-Sarda. La laveria Rio va in dismissione. |
1886 | Costruzione del Palazzo della Direzione con cappella di Santa Barbara; successive modifiche per dispute ereditarie post-Sanna (†1875). |
1933 | Montecatini acquisisce le miniere; Monteponi la metallurgia. Costruita la Fonderia di San Gavino Monreale. |
1939–1945 | Anni di massimo splendore: la società diventa Montevecchio SIPZ (Società Italiana del Piombo e dello Zinco) e raggiunge il picco produttivo. |
dopo il 1945 | Calo e fermo temporaneo nel dopoguerra; ripresa e buoni livelli fino agli anni ’60, quando Monteponi assume l’intera gestione. |
1965 | Accorpamento della miniera di Ingurtosu, ormai esaurita. |
1971 | Passaggio a Sogersa; avvio del declino e smantellamento progressivo delle linee produttive. |
1984 | Sovvenzioni statali temporanee: non invertendo la tendenza negativa. |
17 mag 1991 | Chiusura definitiva della miniera dopo 27 giorni di occupazione del Pozzo Amsicora da parte dei lavoratori. |
2011 | Montevecchio premiata con EDEN – European Destinations of Excellence per il modello di turismo sostenibile in un sito di archeologia industriale. |
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Il Palazzo della Direzione di Montevecchio
Il Palazzo della Direzione si trova nella frazione di Gennas Serapis, nel comune di Guspini (Sardegna), conosciuta semplicemente come Montevecchio. L’edificio sorge sull’altopiano che domina i due versanti della storica miniera: Levante e Ponente.
Oggi il borgo conta poche centinaia di abitanti stabili, ma nel periodo di massimo splendore dell’attività mineraria – nel 1939 – raggiunse circa 3.000 residenti. Il complesso architettonico comprendeva non solo il palazzo della direzione, dotato di cappella dedicata a Santa Barbara, ma anche gli appartamenti dei dirigenti, le residenze delle alte cariche delle compagnie minerarie e gli alloggi per gli operai.
Il centro abitato era attrezzato con numerosi servizi, alcuni dei quali ancora operativi: caserma dei Carabinieri, ospedale, scuole, ufficio postale, laboratorio chimico, ufficio geologico, cinema e perfino un campo da calcio, sede delle partite della squadra locale di Montevecchio.
Cantieri di Levante – Montevecchio
Scheda Storico-Tecnica
I Cantieri di Levante costituivano il cuore produttivo della miniera di Montevecchio, dove si concentravano le principali
attività estrattive e di lavorazione del minerale. Oggi, l’area è uno dei punti più suggestivi del percorso di visita, con strutture storiche
che testimoniano l’intensa attività mineraria sviluppatasi tra XIX e XX secolo.
Caratteristica | Dettaglio |
---|---|
Funzione storica | Centro operativo principale della miniera di Montevecchio |
Diga Fanghi | Struttura per il contenimento dei residui di lavorazione |
Edifici di Sciria | Partenza del treno per San Gavino con il minerale estratto |
Laveria Principe Tommaso | Vasche rettangolari ancora piene d’acqua che riflettono la facciata della laveria |
Abitazioni minatori | Case operaie per i lavoratori della miniera |
Pozzo Sartori | Punto di estrazione e collegamento con altri cantieri |
Pozzo San Giovanni | Profondo 200 metri, in pietra a vista, collegava sei gallerie e il cantiere di Piccalinna; macchinari ancora funzionanti |
Cantiere di Piccalinna | Area produttiva collegata al Pozzo San Giovanni |
Officine | Laboratori per manutenzione e riparazioni |
Pozzo Sant’Antonio | Torre merlata in stile neogotico (fine ’800 – inizio ’900) |
Fonderie | Impianti per la lavorazione dei metalli estratti |
Depositi minerari | Aree di stoccaggio del minerale in attesa di lavorazione o trasporto |
La storia umana e sociale delle miniere di Montevecchio
La storia delle miniere di Montevecchio, sotto il profilo umano e sociale, ricalca quella della maggior parte dei siti minerari di ieri e di oggi. L’attuale condizione di sito turistico e polo culturale, dotato di servizi per i visitatori e ricco di spunti di riflessione, è il risultato di una lunga trasformazione che segue secoli di sfruttamento minerario.
Quella che fu la prima vera industria della Sardegna vide il lavoro di centinaia di migliaia di persone, spesso impiegate in condizioni durissime: minatori, donne con paga dimezzata, bambini assunti in nero, e lavoratori ridotti talvolta a una condizione quasi servile. Il tutto a beneficio di pochi individui – talvolta fortunati per nascita, talvolta imprenditori di talento – che segnarono la storia economica e produttiva di Montevecchio.
A distanza di decenni dalla cessazione delle attività estrattive, le ricadute economiche sul territorio restano limitate e non proporzionate agli enormi sacrifici umani, sociali ed energetici compiuti per estrarre zinco e piombo destinati al mercato mondiale.
I Romani: i primi sfruttatori sistematici
La storia mineraria dell’area di Montevecchio, nella Sardegna centro-meridionale, affonda le radici nell’antichità. Furono i Romani i primi a sfruttarla in modo sistematico: durante gli scavi ottocenteschi sono stati rinvenuti oggetti da lavoro di epoca latina, come lucerne e secchi usati per ispezionare e trasportare i minerali.
Si trattava di pozzetti superficiali a cielo aperto, ma già allora venivano utilizzate pompe in piombo con bocchelle in bronzo e complessi meccanismi lignei (un esemplare sarebbe stato trasferito e conservato a Parigi). Per l’epoca, questa tecnologia di estrazione era avanzata, sebbene il lavoro più duro fosse affidato agli schiavi, impegnati direttamente nella roccia.
1750 – La fonderia di Villacidro: la prima industria della Sardegna
Dopo il periodo romano, l’attività estrattiva proseguì nel Medioevo, ma con produzioni modeste e tecniche poco produttive. La vera svolta industriale arrivò nel 1750 quando l’imprenditore svedese Carl Gustav Mandel fondò la fonderia di Villacidro, considerata la prima industria della Sardegna.
La fonderia lavorava minerali provenienti da Montevecchio, allora sfruttata in modo rudimentale e sotto la gestione statale sabauda (la Belly). Solo occasionalmente venivano concesse piccole licenze di estrazione a privati.
Miniera di Montevecchio: il prete che fiuta l’affare
Fino alla metà dell’Ottocento, l’estrazione nelle colline di Arbus e Guspini rimase limitata rispetto alle potenzialità. La svolta arrivò grazie all’iniziativa del sacerdote sassarese Giovanni Antonio Pischedda, che intorno al 1842 iniziò scavi esplorativi e si recò a Marsiglia per cercare soci con cui costituire una società e richiedere una concessione mineraria.
Miniera di Montevecchio: Giovanni Antonio Sanna e la Società mineraria
A Marsiglia, Pischedda incontrò per caso il suo concittadino Giovanni Antonio Sanna, imprenditore emigrato in Francia. L’idea piacque a Sanna, che si recò in Sardegna per valutare l’investimento. Il 28 aprile 1848 nacque la Società per la Coltivazione della Miniera di Piombo Argentifero di Montevecchio, alla quale vennero affidate tre concessioni quadrate (2 km per lato) denominate Montevecchio I, II e III, successivamente ampliate verso est fino a Ingurtosu. Pischedda, però, lasciò presto la società.
1856 – Nasce Gennas Serapis: le prime case per i dirigenti
Inizialmente i lavori interessarono i filoni di Gennas Serapis e Casargiu, per poi spostarsi verso est con l’apertura della Galleria Anglo-Sarda. In questa fase fu costruita la prima laveria, la laveria Rio, alimentata dal torrente omonimo e azionata da un motore a vapore.
Nello stesso periodo nacque il centro abitato di Gennas Serapis, ma le prime abitazioni furono destinate esclusivamente a dirigenti e figure apicali della compagnia. Gli oltre 1.100 operai impiegati nel 1865 – che rendevano Montevecchio la più grande miniera del Regno d’Italia – dovettero attendere ancora prima di avere alloggi vicino al luogo di lavoro.

1873-1878 – La ferrovia e la Laveria Eleonora d’Arborea
Nel 1873 iniziarono i lavori per la ferrovia Montevecchio Sciria – San Gavino Monreale, progettata per trasportare il minerale estratto verso gli impianti di lavorazione e i porti di imbarco. La linea ferroviaria fu completata nel 1878, anno in cui entrò in funzione anche la seconda laveria sul versante occidentale del rio Montevecchio.
Inizialmente chiamata Laveria Sanna, fu poi ribattezzata Laveria Eleonora d’Arborea per motivi diplomatici legati a dissidi interni tra i dirigenti. Più moderna della precedente grazie a macchinari e motori sofisticati, la laveria acquisì però una triste fama: si trovava in una stretta valle poco ventilata, difficile da raggiungere e infestata dalle zanzare, condizioni che rendevano il lavoro particolarmente duro e insalubre.
1874 – L’apertura dell’ospedale minerario
Nel 1874 Montevecchio si dotò di un ricovero ospedaliero all’avanguardia per l’epoca, destinato a fronteggiare le frequenti emergenze dovute agli incidenti sul lavoro.
Secondo lo scrittore Carlo Corbetta, autore di Sardegna e Corsica, l’ospedale di Montevecchio era probabilmente la struttura sanitaria più moderna dell’isola. Costruito su due piani, disponeva di quattro ampie sale con nove posti letto ciascuna, sistemi di ricambio d’aria e un binario interno che facilitava il trasporto dei degenti senza arrecare loro eccessivi disagi.

1877 – La Laveria Principe Tomaso e il banchetto reale
Nel 1877 fu inaugurata la terza laveria di Montevecchio, dedicata al Principe Tomaso di Savoia, in visita ufficiale al sito minerario. In occasione della sua presenza, venne organizzato un sontuoso banchetto nella Galleria Anglo-Sarda, celebre per le concrezioni argentifere che decorano la volta. Il luogo fu probabilmente scelto per la sua suggestione e per offrire un contesto scenografico adeguato a un membro della Casa Savoia.
Con l’apertura della Laveria Principe Tomaso, la più moderna tra le strutture presenti, la Laveria Rio venne gradualmente dismessa.
1886 – Il Palazzo della Direzione
Nel 1886 venne realizzato il Palazzo della Direzione, pensato inizialmente come un complesso di dimensioni ancora maggiori, con annessa una grande chiesa dedicata a Santa Barbara, patrona dei minatori. Nella sua forma definitiva, la struttura ospitava gli uffici amministrativi, l’appartamento del direttore e una grande cappella interna.
Nel corso degli anni, l’edificio subì diverse modifiche, anche a causa delle dispute ereditarie tra i parenti per la gestione e la divisione della società dopo la morte di Giovanni Antonio Sanna nel 1875.
Dalla fine dell’Ottocento fino alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, la miniera di Montevecchio conobbe un periodo di massimo splendore, affermandosi sui mercati internazionali per l’alta qualità del piombo e dello zinco estratti.


1933 – L’arrivo della Montecatini e la nascita della SIPZ
Dopo la Prima Guerra Mondiale, la miniera di Montevecchio entrò in difficoltà a causa della Grande Depressione del 1929. Nel 1933, la costruzione della Fonderia di San Gavino Monreale e il peso di ingenti debiti portarono alla divisione delle attività in due tronconi:
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alla Montecatini andarono le miniere,
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alla Monteponi la metallurgia.
Seguirono gli anni di massimo splendore, a cavallo della Seconda Guerra Mondiale, quando la società assunse il nome di Montevecchio SIPZ (Società Italiana del Piombo e dello Zinco) e raggiunse il picco di produzione mineraria.
Il dopoguerra e l’espansione fino a Ingurtosu
Nel dopoguerra, l’estrazione si fermò temporaneamente a causa delle difficili condizioni economiche della nazione. Tuttavia, l’attività riprese rapidamente, raggiungendo nuovamente alti livelli produttivi che si mantennero fino agli anni ’60, quando la Monteponi assunse il controllo dell’intera gestione.
Nel 1965, la miniera di Ingurtosu – ormai priva di risorse – venne accorpata a Montevecchio, segnando l’inizio della progressiva riduzione delle attività estrattive nell’area.

1971-1991 – L’inizio del declino e la chiusura definitiva
Nel 1971 la miniera di Montevecchio passò alla Sogersa (Società Statale e Regionale di Gestione delle Risorse Minerarie Sarde). Il giacimento, tuttavia, era ormai in fase di esaurimento e lo smantellamento delle linee produttive, insieme al licenziamento di numerosi operai, appariva inevitabile.
Per vent’anni la situazione rimase precaria: neppure le sovvenzioni statali del 1984 riuscirono a invertire il trend negativo. Infine, nel 1991, le proteste dei lavoratori culminarono nell’occupazione permanente del Pozzo Amsicora. Dopo 27 giorni di presidio, il 17 maggio 1991, venne decretata la chiusura definitiva della miniera di Montevecchio, ponendo fine a oltre un secolo di attività estrattiva.
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