Gli ebrei in Palestina a fine ‘800
In Palestina nel 1800 c’erano circa 5 mila ebrei, che rappresentavano il 3% della popolazione della regione. Dal 1880 gli ebrei diventano 25 mila e rappresentano l’8% della popolazione della regione. Questo incremento fu dovuto a una forte immigrazione.
Il Sionismo
Nel 1897 il movimento sionista palesò ufficialmente l’intenzione di tornare a Gerusalemme e di andare a fondare uno stato nazionale ebraico al Congresso di Basilea.
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La nazione di Israele
Il sionismo era nato per trovare una soluzione all’antisemitismo dilagante nei paesi europei, ma era anche una spinta politica alla creazione di un’identità nazionale forte oltre le monarchie, come stava avvenendo un pò in tutta Europa nell’Ottocento.
La diaspora
La maggior parte degli ebrei fino ai primi del ‘900 aveva vissuto lontano dalla Palestina perché aveva scelto la via della “diaspora”, ovvero l’allontanamento voluto a seguito della distruzione del Tempio di Gerusalemme (70 d.C.) ad opera dei Romani.
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Fino al ‘900 la Palestina era araba
In Palestina erano dunque rimaste per secoli solo alcune piccole comunità di ebrei, mentre la popolazione arabo-palestinese aveva invece occupato stabilmente l’area sia durante l’espansionismo arabo, tra il 632 e il 750, che durante l’Impero ottomano, anch’esso un grande stato di fede musulmana.
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La Palestina agli Inglesi
Con la caduta dell’Impero ottomano durante la Prima Guerra Mondiale, la Palestina viene assegnata all’Inghilterra che ha l’incarico di “mandato” da parte della Società delle Nazioni. Ha cioè il compito di supervisionare la nascita di uno Stato-Nazione attraverso un “protettorato” che mirava a individuare la classe dirigente del popolo che vi abita e “aiutarla” a costituire uno Stato nazionale.
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Secoli di sottomissione ottomana
La Palestina e il Medioriente in generale, dopo la fine dell’Impero ottomano, erano entrati in una fase di disorientamento politico-istituzionale perchè le popolazioni, non avendo più la sottomissione ottomana che le amministrava, non avevano maturato un’identità nazionale definita all’interno di precisi confini geografici ed etnico-culturali.
La gestazione made in England
Per ovviare a questa mancanza, la neonata Società delle Nazioni, l’antesignana dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, aveva affidato all’Inghilterra, dopo la Prima Guerra Mondiale, il compito di preparare il terreno politico affinché quelle genti iniziassero a costituirsi uno Stato-Nazione.
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Il Principio di Nazionalità
La costituzione di Stati-Nazione in Medioriente doveva avvenire – secondo quanto indicato dalla Socierà delle Nazioni – rispettando i principi di nazionalità elencati dal presidente degli Stati Uniti, Thomas Woodrow Wilson, che l’8 gennaio del 1918 li aveva definiti.
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Palestinesi ed Ebrei
Andamento della popolazione tra la fine dell’800
e l’inizio della Seconda Guerra Mondiale
Palestina 1919 – 1940
Nel 1800 gli ebrei sono il 3% della popolazione della Palestina.
A inizio del ‘900 gli ebrei sono 25 mila, ovvero l’8% della popolazione della Palestina.
Tra 1900 e 1940 gli effetti del sionismo
portanoad un aumento significativo
della popolazione ebraica in Palestina.
Questo aumento di ebrei in Palestina avviene sulla scia della spinta sionista a considerare parte della Palestina Terra Promessa da Dio e terra della Patria di tutti gli ebrei.
Tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale (1919 – 1940) la popolazione ebraica in Palestina subisce un nuovo aumento, anche grazie al supporto politico del governo inglese che appoggia l’iniziativa sionista.
Intanto in Europa cominciano a riaccendersi focolai antisemiti (Europa Orientale, Francia, Inghilterra) che si trasformeranno in un incendio con l’ascesa di Hitler al comando della Germania.
30 gennaio 1933
Il presidente della Repubblica, Paul Hindenburg,
nomina Hitler cancelliere, ovvero capo del governo della Germania.
All’inizio della Seconda Guerra Mondiale in Palestina ci sono:
- 1.250.000 palestinesi
- 550.000 ebrei
L’Italia in quel periodo fa già 60 milioni di abitanti.
Iniziano forti tensioni tra Palestinesi ed Ebrei
Con l’aumento delle concentrazioni di ebrei in Palestina, tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, cominciano a sorgere forti tensioni tra i due popoli.
Il rapporto di sfiducia dell’uno verso l’altro, l’intolleranza reciproca, la diversità culturale e religiosa, nonché le diverse economie (i palestinesi nomadi pastori abituati a vivere liberi da vincoli nelle immense piane desertiche della loro terra; gli ebrei orientati all’agricoltura e allo stanziamento in pianta stabile in un’area definita anche da confini territoriali) portano ebrei e palestinesi a scontrarsi per contendersi un’area del mondo con poche risorse a disposizione e spazi ristretti.
La ristrettezza degli spazi
aumenta il rischio di conflitti
Seconda Guerra Mondiale
L’ascesa di Hitler, la Seconda Guerra Mondiale e i campi di concentramento nazisti portano la questione ebraica alla massima ribalta internazionale: il senso di colpa della comunità internazionale verso la tragedia ebraica diventa uno sprone ad appoggiare economicamente e politicamente il tenativo ebraico di avere uno Stato.
Gli ebrei insomma devono avere uno Stato che li rappresenti e li tuteli giuridicamente e politicamente.
La Palestina diventa improvvisamente
un terreno problematico
Inizia la seconda massiccia ondata ebraica in Palestina
Nel frattempo, dagli anni ’30 alla fine della Seconda Guerra Mondiale, grosse comunità ebraiche si formano negli Stati Uniti. Mentre, gli ebrei superstiti del tentativo di genocidio nazista, rimasti in Europa, cominciano a trasferirsi in Palestina rispondendo alla proposta sionista.
Gli inglesi abbandonano la Palestina al suo destino
La Palestina alla fine della Seconda Guerra Mondiale è ancora un protettorato inglese. Ma gli inglesi non sono più in grado di gestire la situazione, perché il peso geopolitico ed economico della Gran Bretagna è diminuito dopo il secondo conflitto, tanto più che adesso, la conflittualità tra i due popoli, ebrei e palestinesi, sta crescendo in maniera incontrollabile.
Partono gli Inglesi e nasce lo Stato di Israele
Il 14 maggio del 1948 viene proclamata la nascita dello Stato di Israele. Il giorno dopo gli Inglesi lasciano la Palestina e la questione passa definitivamente all’Onu.
La palla passa agli Stati Uniti
Da questo momento, a prendere le redini di “supervisore esterno” della situazione palestinese, in sostituzione degli Inglesi, saranno – seppur informalmente – gli Americani, i più forti vicintori della Seconda Guerra Mondiale che hanno, in pancia al loro patrimonio demografico, anche una importante fetta di ebrei – molti dei quali scappati dalla Germania poco prima delle leggi naziste – che occupano già posizioni politiche ed economiche di rilievo.
Prima però, la palla passa alla neonata Onu.
Nasce l’ONU
Il 24 ottobre 1945, a San Francisco in California (Stati Uniti), nasce l’Onu, l’Organizzazione delle Nazioni Unite, un organismo internazionale che si prefigge il compito di promuovere la pace e la sicurezza internazionale, dopo la immane tragedia globale della Seconda Guerra Mondiale.
Gli Inglesi affidano alla neonata Onu,
il compito di risolvere la questione israelo-palestinese.
La risoluzione del 1947
Nel 1947 l’ONU presenta il piano che prevede la nascita di due Stati: uno, lo Stato di Israele, popolato dagli ebrei e uno, lo Stato della Palestina, popolato dagli arabi.
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Il Piano di partizione della Palestina riprende lo schema divisorio che allora l’Onu utilizzava per tentare di risolvere le conflittualità tra popolazioni limitrofe che in altro modo non era stato possibile affrontare.
Oltre alla Palestina fu questo il caso delle due Coree, divise in Corea del Sud e Corea del Nord; delle due Germanie, divise in Germania Est e Germania Ovest; dell’India a cui viene scorporata la regione del Pakistan.
La strana forma che avrebbe dovuto assumere la Palestina con l’attuazione del Piano di Partizione stabilito nel 1947 dal Comitato UNSCOP (United Nations Special Committee on Palestine = Consiglio speciale delle Nazioni Unite per la Palestina) era dovuta al fatto che fu presa in considerazione la densità abitativa degli arabi in alcune zone piuttosto che degli ebrei in altre.
Il risultato fu il seguente:
I tre no dei Palestinesi
I Palestinesi non accettano il Piano di partizione della Palestina proposto dall’Onu per i seguenti tre motivi:
Non accettano la nascita di uno Stato ebreo in Palestina – I Palestinesi del 1947 non accettano che un nuovo Stato composto di immigrati da qualche decennio, possa nascere su quella terra dove hanno sempre vissuto da secoli.
Squilibrio territoriale a favore della minoranza immigrata – I Palestinesi del 1947 non accettano lo squilibrio territoriale inversamente valutato in base alla quantità di popolazione ebrea e araba, per cui gli ebrei, che rappresentano il 33% della popolazione non possono avere la maggior parte delle terre della Palestina per giunta le più fertili e ricche.
Poco accesso al Mediterraneo e precluse le altre aree umide – Gli arabo-palestinesi non accettano che il loro Stato abbia accesso al Mediterraneo solo per 1/3 dell’estensione della costa della Palestina e che siano preclusi il Mar Rosso e il Mar di Galilea, quest’ultimo la principale riserva idrica della regione.
Gli inglesi abbandonano la Palestina al suo destino
La Palestina alla fine della Seconda Guerra Mondiale è ancora un protettorato inglese. Ma gli inglesi non sono più in grado di gestire la situazione, perché il peso geopolitico ed economico della Gran Bretagna è diminuito dopo il secondo conflitto, tanto più che adesso, la conflittualità tra i due popoli, ebrei e palestinesi, sta crescendo in maniera incontrollabile.
Partono gli Inglesi e nasce lo Stato di Israele
Il 14 maggio del 1948 viene proclamata unilateralmente la nascita dello Stato di Israele. Il giorno dopo gli Inglesi lasciano la Palestina e la questione passa definitivamente all’Onu.
La palla passa agli Stati Uniti
Da questo momento, a prendere le redini di “supervisore esterno” della situazione palestinese, in sostituzione degli Inglesi, saranno – seppur informalmente – gli Americani, i più forti vicintori della Seconda Guerra Mondiale che hanno, in pancia al loro patrimonio demografico, anche una importante fetta di ebrei – molti dei quali scappati dalla Germania poco prima delle leggi naziste – che occupano già posizioni politiche ed economiche di rilievoin grado di orientare la politica estera a stelle e strisce.
La Lega Araba contro Israele
La nascita dello Stato di Israele non viene accettata dai Palestinesi e dai paesi che li difendono.
Il 22 marzo del 1945 era appena nata la Lega Araba, un’alleanza politica, economica e militare che riuniva i principali paesi arabi del Medioriente, tra cui: Arabia Saudita, Iraq, Transgiordania, Egitto, Libano e Siria.
Gli Arabi dichiarano guerra ad Israele
Una parte dei paesi della Lega Araba dichiarano guerra al neonato Stato di Israele. E’ la cosiddetta “Prima Guerra israelo-palestinese” che inizia il 15 maggio 1948, il giorno dopo la nascita dello stato di Israele.
Guerra civile nella Palestina mandataria
del 1947-48
La Guerra civile nella Palestina mandataria del 1947-48, scoppiò tra ebrei e arabo-palestinesi a seguito dichiarazione dell’Onu che riconosceva la nascita dello Stato di Israele da ufficializzare dopo la fine del mandato britannico, il 15 maggio 1948.
A confrontarsi in questo conflitto furono:
- le comunità ebraiche
- gli arabi di Egitto, Transgiordania e Siria
La forza di interposizione britannica rimase neutrale nei conflitti tra i due popoli. Vi furono tuttavia episodi di alcuni soldati britannici disertori che si schierarono sia dalla parte ebraica che palestinese, partecipando in certi casi alle azioni più violente.
Le azioni “belliche” erano prevalentemente attentati, cecchinaggi, bombardamenti e incursioni.
I palestinesi furono organizzati in gruppi armati di guerriglia organizzati dalla Lega Araba. Gli ebrei invece rispondevano con organizzazioni paramilitari, di cui le più famose divennero l’Irgun, la Lehi, l’Yishuv e l’Haganah.
Durante questo periodo di guerra erano già conosciti da entrambi i popoli le future linee di confine dello Stato di Israele, pertanto, le forze israeliane puntarono sopratutto a cacciare le comunità palestinesi ancora stanziate all’interno di quel perimetro. Molti conflitti si svolsero lungo la strada che collegava Tel Aviv a Gerusalemme.
Durante questa guerra Transgiordania e gruppi paramilitari ebraici presero accordi affinché si ostacolasse la nascita dello Stato di Palestina. Questi accordi prevedevano che l’esercito arabo ammorbidisse le ostilità contro gli ebrei e alla Transgiordania la possibilità di ottenere nuovi territori al termine del conflitto a spese della Palestina.
Conflittualità costante
Il rapporto tra i due popoli, ebrei e palestinesi, dal 1948 in poi, si caratterizza dunque per una condizione di conflittualità perenne che vede la manifestazione di guerre vere e proprie, con la mobilitazione di esercito strutturato da parte israeliano e di guerriglia da parte palestinese, oppure, nei periodi di minore tensione nel verificarsi di attacchi terroristici, sopratutto da parte palestinese verso Israele per rispondere alla politica di espansione di Israele attraverso l’acquisto di terreni e la formazione di nuove colonie, nonchè per assumere una posizione più radicale e protestare contro la nascita dello Stato di Israele.
Le radici ideologiche di un conflitto
I rapporti di vicinanza tra popoli che vivono in terriori attigui si caratterizzza in vari modi:
- rapporti di vicinanza pacifica – fatta di relazioni politiche, commerciali, scambi culturali, allentamento o annullamento dei vincoli doganali
- rapporti di vicinanza non pacifica – fatta di conflitti, nazionalismo, imposizione di vincoli doganali forti o barriere fisiche come muri, trincee o cancellate.
Ad alterare i rapporti di vicinanza tra popoli che vivono uno vicino all’altro è la volontà di avere il controllo e la supremazia sugli interessi economici.
Tali alterazioni vengono poi enfatizzate dalle ideologie nazionaliste che alimentano in una popolazione la avversità verso il vicino e convincono la stessa di una presunta superiorità (morale, culturale, di diritto).
La spinta propulsiva all’entrata in guerra è data invece dalla pressione dell’industria bellica mondiale che ha un interesse speculativo specifico nei periodi di guerra, in quanto rappresenta il momento di maggiore possibilità di guadagno.
Le radici ideologiche del conflitto israelo-palestinese
La radicie ideologica del conflitto israelo-palestinese è rappresentata da due forze politiche, insite nei rispettivi popoli, che vogliono l’eliminazione fisica dell’altro, inteso unicamente come nemico e rivale assoluto.
Queste due forze politiche sono:
- il sionismo israeliano
- il nazionalismo palestinese
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Espandersi comprando territori
Dalla nascita dello Stato di Israele (1948) si amplifica anche il processo di espansionismo territoriale a danno della Palestina che avviene, tuttavia, per via legale, ovvero acquistando pezzi di territorio da famiglie palestinesi e trasformando queste nuove terre in presidio permanente e legittimo di israeliani in Palestina.
Attraverso un acquisto legittimo gli ebrei sottraggono territorio ai palestinesi.
La divaricazione tra Israele e Palestina
Con la nascita dello Stato di Israele, inizia ad accentuarsi ulteriormente la divaricazione economica con la Palestina.
Israele e Palestina da questo momento iniziano ad avere prospettive economiche nettamente diverse.
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I riconoscimenti universali di Israele e Palestina
A dicembre del 2023 Israele e Palestina non hanno un riconoscimento internazionale unanime. In questo momento storico tale è la situazione internazionale:
- 193 Paesi riconoscono Israele
- 138 Paesi riconoscono la Palestina
I Paesi che non riconoscono Israele sono per la maggior parte musulmani, solo Egitto e Giordania fanno eccezione e riconoscono ufficialmente la statualità di questo popolo. Anche l’Arabia Saudita ha avviato un processo di riconoscimento di Israele nel 2022.
** La Palestina intanto non viene riconosciuta dall’Onu perché ha rifiutato il Piano di partizione del 1947. Raggiunge solo un parziale riconoscimento ufficioso nel 2012 come Stato non membro Osservatore Permanente.
1948, due popoli uno Stato e mezzo
Il rapporto tra i due popoli, ebrei e palestinesi, dal 1948 in poi, si caratterizza per un’inversione dei rapporti di forza: gli ebrei da coloni sparsi trasformano la loro presenza in uno Stato vero e proprio, con una struttura politica-amministrativa definita e un territorio geopoliticamente stabilito. Anche dal punto di vista demografico gli ebrei ribaltano i rapporti di forza e da minoranza circoscritta, diventano pian piano una maggioranza etnica in Palestina.
I palestinesi subiscono invece un processo di smembramento del loro territorio originario, non raggungono un’identità statale definita e diventano una minoranza in Palestina.
Guerra vs guerriglia
Dal 1948 la situazione di conflittualità tra i due popoli si intensifica ulteriormente ma, proprio alla luce dei cambiamenti politici avvenuti in seno alle rispettive classi dirigenti, Israele è già in grado di mobilitare un esercito strutturato, la Palestina ricorrre invece alle fazioni che come risposta paramilitare possono adottare solo la guerriglia.
Inoltre, da questo momento storico, iniziano ad intensificarsi gli attacchi terroristici da parte palestinese verso Israele per rispondere alla sua politica di espansione nonchè per protestare contro la nascita dello Stato di Israele.
1948, espansionismo di Israele per via legale
Da questo momento storico Israele comincia un processo di espansionismo territoriale a danno della Palestina che avviene anche per via legale, ovvero acquistando pezzi di territorio da famiglie palestinesi e trasformando queste nuove terre in presidio permanente e legittimo di israeliani in Palestina.
Conflitti arabo-israeliani
- 1948-1949 – Prima guerra arabo-israeliana
- 1956 – Guerra israelo-egiziana
- 1967 – Guerra dei 6 giorni
- 1973 – Guerra del Kippur
- 1978 – Prima invasione israeliana del Libano
- 1982 – Prima guerra del Libano
- 1987 – Prima Intifada
- 1993 / 2000 – Processo di pace di Oslo
- 2000 / 2005 – Seconda Intifada
- 2005 – Conflitto a Gaza
- 2006 – Seconda guerra del Libano
- 2023 – Conflitto Israele – Hamas
Movimenti arabi anti-occidentali
Tra la fine degli anni 40 e gli anni 50 si diffondono in vari paesi arabi due principali movimenti politici. Da un lato ci sono i Fratelli Musulmani e altri piccoli movimenti simili, ma meno rilevanti che si alleano. Dall’altro c’è il cosiddetto “nazionalismo arabo”.
Questi due movimenti sono entrambi fortemente antioccidentali: ce l’hanno con l’Europa e con gli Stati Uniti che sfruttano i paesi impoverendoli, cercando di rubare loro le risorse.
Anni’40, gli arabi capisco di avere risorse
I paesi arabi a metà del ‘900 si rendono conto di avere delle risorse importanti, hanno il petrolio, hanno un’importanza geopolitica, hanno alcune vie di comunicazione (Canale di Suez) ma si rendono conto di non avere la giusta ricaduta sulle loro tasche dallo sfruttamento di queste risorse.
Questo perchè – sostengono i movimenti arabiantoccidentali – le potenze colonialiste europee e in parte americane le sfruttano per i loro interessi.
Il sospetto del sostegno occidentale a Israele
Secondo i movimenti arabi antioccidentali l’Occidente finanzia Israele. Questo sostegno economico ha fatto sì che Israele reggesse sopratutto il primo urto delle aggressioni arabe, quelle avvenute attorno alla nascita ufficiale dello Stato di Israele, ovvero: la Guerra civile nella Palestina mandataria del 1947- 48, la Prima guerra arabo del1948-1949, la guerra israelo-egiziana del 1956, la Guerra dei 6 giorni del 1957 e la Guerra del Kippur del 1973.
I Fratelli Musulmani
Tra i movimenti antioccidentali che nascono dopo la nascita dello Stato di Israele, spicca quello dei Fratelli Musulmani che insiste sull’aspetto religioso perché vorrebbe creare degli stati ispirati al Corano, ovvero dei governi teocratici.
L’Islam nei Fratelli Musulmani ha dunque un peso rilevante nella loro dottrina politica.
Nazionalismo arabo
L’altro movimento anti israeliano, a tratti antitetico nell’impostazione ideologica rispetto al radicalismo religioso dei Fratelli Musulmani è quello del nazionalismo arabo.
Si tratta di un movimento che ha un’identità più laica, meno legata alla religione e spesso ha un grande successo negli ambienti dell’esercito.
E infatti, in questo periodo, tra gli anni ’40 e ’60, vanno al potere delle giunte militari che aderisono al nazionalismo arabo che vorrebbero slegare il loro paese dalle influenze occidentali, ma senza rafforzare troppo l’influenza dell’Islam.
Nasser
Il più importante leader dei nazionalisti mediorientali è il presidente dell’Egitto Gamalabd El-Nasser che, dalla metà degli anni 50, dà il via ad una serie di politiche anche aggressive nei confronti degli interessi occidentali che sembrano segnare una novità importante.
Nel 1956 Nasser sfida addirittura apertamente Francia e Gran Bretagna chiudendo il Canale di Suez.
Scoppia così nel luglio del 1956 la Crisi di Suez, un confronto militare che vede coinvolte le potenze europee di Francia e Gran Bretagna da un lato e l’Egitto dall’altra.
Da questo confronto Nasser, seppur solo formalmente e non militarmente, alla fine ne esce vincitore.
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Israele in questo breve che si chiude il 7 novembre dello stesso anno, con l’intervento dell’Unione Sovietica che minaccia di intervenire in difesa dell’Egitto e gli Stati Uniti, che, per timore di un conflitto con la potenza rivale, obbliga Inghilterra e Francia a cessare il fuoco e rinunciare, di fatto, alla proprietà del Canale di Suez.
Israele in questo conflitto si era schierato a favore delle potenze occidentali con l’obiettivo di indebolire ulteriorimente la minaccia egiziana che, anch’essa, dalla nascita dello Stato di Israele, rappresenta una minaccia esistenziale del paese ebraico.
Guerra dei Sei Giorni
Nasser, dopo aver risolto la questione sul controllo del Canale di Suez cacciando definitivamente Francia e Inghilterra, decide di rivolgersi direttamente contro Israele che vede sempre come un nemico.
Tenta quindi di cercare alleati per muovere guerra ad Israele e si allea con la Giordania e con la Siria. L’Egitto in quel periodo storico è una potenza regionale in ascesa nel Medio Oriente e ha dalla sua anche la protezione dell’Unione Sovietica che le garantisce una copertura seppur solo formale dalle “incombenze” degli occidentali.
L’Egitto nel 1967 ha la sua bella flotta aerea e ha le sue armi pronte che ed è convinto che, anche grazie all’aiuto degli altri paesi arabi (Siria e Giordania), riuscirà a vincere israele.
Israele nel 1967 dunque, a meno di vent’anni dalla sua nascita si trova nuovamente a dover confrontarsi militarmente con nuove minacce. Minacce che stavolta hanno una dislocazione a tenaglia: a nord la Siria, a est la Giordania, a sud l’Egitto.
Il casus belli arriva quando, a maggio di quell’anno, l’Egitto chiude a Israele l’accesso al Mar Rosso. Per il paese ebraico è il momento di agire e, prima ancora che l’Egitto e i suoi alleati possano dichiarargli guerra, attacca preventivamente i nemici.
La vittoria fulminea di Israele
L’offensiva di Israele durante la Guerra dei Sei Giorni si svolse nel modo seguente:
- il 5 giugno 1967, Israele attaccò e distrusse le forze aeree di Egitto, Siria e Giordania
- il 6 giugno 1967, le forze di terra israeliane entrarono nella Penisola del Sinai e ricacciarono gli egiziani oltre il Canale di Suez.
- il 6 giugno 1967, sul fronte giordano Israele ricacciò i nemici da Gerusalemme
- il 7 giugno 1967, Israele bombarda il Golan e annienta i timidi tentativi siriani di ingaggiare un confronto
- l’8 giugno 1967, Israele arriva a Sharm el-Sheikh, annienta ciò che resta dell’esercito egiziano e costringe Nasser ad accettare la proposta ONU del cessate il fuoco. L’Egitto, se avesse rifiutato questa proposta avrebbe perso il Canale di Suez.
- il 9 giugno 1967, accettato il cessato il fuoco di Egitto e Giordania, Israele attacca nuovamente sul fronte siriano e si impossessa delle alture del Golan.
- il 10 giugno 1967, si chiude la Guerra dei Sei giorni con il territorio di Israele quadruplicato e il consolidamento definitivo del suo peso geopolitico nel Medio Oriente.
Le conseguenze della Guerra dei Sei Giorni
La Guerra dei Sei Giorni ebbe sul piano geopolitico, uno sconvoglimento imprevisto e di un’entità storica, tale, come detto, da dover riconsiderare gli equilibri in funzione del nuovo soggetto dell’area, lo Stato di Israele che, fino ad allora, oltre a non essere considerato uno Stato, non se ne conosceva la forza militare ed economica.
In particolare, questi sono i cambiamenti che apportò al Guerra dei Sei Giorni:
- Israele passa da un’estensione di 21.000 kmq a 102.000 kmq
- Israele conquista le alture del Golan ai danni della Siria
- Israele conquista la Striscia di Gaza ai danni dell’Egitto che le occupava dal 1948
- Israele conquista la penisola del Sinai
La Risoluzione 242
Le Nazioni Unite nella speranza di ottenere una pacificazione dell’area propongono ad Israele di ritirarsi dalle zone conquistate e in cambio, ai paesi sconfitti (Egitto, Siria e Giordania) di accettare una “pace duratura” nei confronti dello stato ebraico.
Questa nuova situazione accettata da Israele, Egitto e Giordania, mentre Siria e i palestinesi la rifiutarono.
Anni ’70, il Fronte del rifiuto
Caduto il nasserismo e fallito il tentativo, per via militare convenzionale, di annientare Israele per ristabilire un equilibrio panarabo nella regione, nasce il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (sostenuto questa volta da Libia e Iraq).
Organizzazione per la Lotta per la Liberazione della Palestina
Il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina aderisce nel 1968 all’OLP (Organizzazione per la Lotta per la Liberazione della Palestina) e diventa la seconda organizzazione paramilitare anti-israeliana dopo Al Fatah di Yasser Arafat.
L’OLP nasce nel 1964 e riconsce alla Palestina il territorio corrispondente al Protettorato Britannico della Palestina escludendo categoricamente l’esistenza dello Stato di Israele in quell’area.
Le basi dell’OLP sono in Giordania.
Arafat inizia a organizzare una lotta di stampo terrorisico perché all’inizio l’OLP è un’organizzazione terroristica.
L’OLP fa attentati contro Israele e contro potenze occidentali, l’obiettivo è costringere le potenze occidentali ad occuparsi della questione palestinese.
Le basi dell’OLP in Giordania non vengono viste di buon occhio dai giordani, perché i campi profughi palestinesi creano una sorta di “stato nello stato”, che si organizza da solo, non rispetta le leggi giordane e ha un suo centro di potere autonomo.
Nel 1970, quindi poco dopo la Guerra dei Sei Giorni, il re giordano Hussein decide di intervenire e fa scattare l’operazione Settembre nero che di fatto espelle i palestinesi dal territorio giordano.
La maggior parte dei palestinesi quindi si rifuggiano in Libano. Da lì l’OLP continua a minacciare Israele e continua gli attacchi terroristici.
Tra gli attacchi terroristici dell’OLP in giro per il mondo è da ricordare sicuramente quello alle Olimpiadi di Monaco di Baviera nel 1972 dove un gruppo di terroristi palestinesi prima rapisce, poi tortura e uccide alcuni atleti israeliani che erano lì per le Olimpiadi.
L’OLP diventa nel 1974 viene considerata dalla Lega Araba la legittima rappresentante del popolo palestinese.
La situazione tra Israele e Palestina rimane identica: Israele domina ovunque nei territori assegnati dall’Onu e in quelli occupati. Per i palestinesi non c’è sostanzialmente posto.
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L’OLP chiede nel 1988 riconosce ufficialmente la soluzione a due Stati con Israele e Palestina
La guerra civile in Libano
All’arrivo in Libano dei palestinesi in fuga dalla Giordania, nel piccolo paese dei cedri già convivevano con difficoltà varie etnie molto diverse: ci sono cristiani, musulmani sciiti e sunniti (i palestinesi sono sunniti). Gli equilibri si alterano e nel 1975 in Libano scoppia una guerra civile tra cristiani, sciiti e sunniti.
Guerra del Kippur
Intanto in Egitto c’è un cambio alla guida del paese: morto Nasser gli succede Sadat che, nel 1973, di fare ad Israele una nuova guerra, questa volta senza dare preavviso al nemico come era successo nella Guerra dei Sei Giorni. Per muovere questo attacco l’Egitto si allea con la Siria.
L’attacco viene sferrato il 6 ottobre 1973, il giorno della festa israeliana dello Yom Kippur. Durante questa ricorrenza, il paese ebraico letteralmente si “ferma”, nel senso che per 25 ore tutte le attività lavorative, sociali, economiche, politiche e militari sono sospese per omaggiare il “Giorno dell’espiazione”.
La scelta dell’Egitto di approfittare di questo momento dell’avversario, pare essere una soluzione vantaggiosa in quanto potrebbe coglierlo impreparato. Sappiamo infatti che Israele ormai, dalla fine della Guerra dei Sei Giorni, è diventata a tutti gli effetti la potenza militare più importante della regione, capace di mettere fuori uso gli eserciti di Siria, Giordania ed Egitto.
La Guerra del Kippur inoltre è nuovo confronto a distanza tra Stati Uniti e Unione Sovietica, in quanto, i principali fornitori di armamenti dei rispettivi fronti sono proprio le due protagoniste della Guerra Fredda: l’Egitto è sostenuto miliitarmente dall’Unione Sovietica, mentre Israele è sostenuto dagli Stati Uniti.
La Guerra del Kippur si protrasse fino al 25 ottobre 1973 e fu definita la “quarta guerra arabo israeliana“. Sul fronte arabo, oltre a Egitto e Siria, vi furono anche gli apporti finanziari e militari minori di Giordania e Iraq.
Israele fu attaccata da sud nel Sinnai (dall’Egitto) e da nord-est nelle alture del Golan (dalla Siria).
L’esito della guerra fu determinato da un accordo pacificatore tra le due grandi superpotenze, USA e URSS, che riuiscirono a contenere il rischio di deflagrazione in un conflitto diretto tra loro due. L’esito della Guerra del Kippu, dal punto di vista geopolitico però fu a favore della controparte araba, con la perdita del Sinnai da parte di Israele (non per via militare, come vedremo) e la ritorsione dei paesi arabi esportatori di petrolio (l’OPEC) che vendettero il greggio a un prezzo rincarato sui mercati che avevano ricadute filoisraeliane. Fu questo l’inizio della crisi petrolifera che portò ad un aumento del costo del petrolio per tutto il decennio ’70.
Gli accordi di Camp David
Un’altra conseguenza della Guerra del Kippur fu l’incontro a Camp David nel 1978 tra Israele ed Egitto in cui quest’ultimo, per la prima volta nella storia araba, riconobbe ufficialmente lo stato di Israele, in cambio di riavere tutto il Sinnai (che Israele cede volentieri).
Questo riconoscimento, che costerà la vita Sadat al ritorno in patria, portò ad un nuovo successo geopolitico di Israele. Dopo quello insediativo dei primi anni del ‘900; dopo quelli militari specialmente con la Guerra dei Sei Giorni, arrivava adesso un primo riconoscimento ufficiale di essere uno Stato legittimo da parte di un paese arabo.
Le proteste per questo passo egiziano non si fecero attendere tra gli arabi. Per molti di loro infatti Israele rimaneva ancora un corpo estraneo al Medioriente che doveva essere spazzato via.
- Sadat nel 1981 viene ammazzato da un fanatico arabo che lo considera un traditore
- In Libano la situazione degenera in una guerra civile e nel 1982 Israele è costretto a invaderlo per calmare i fermenti antisraeliani sopratutto quelli di matrice palestinese. Qui Israele si allea con i cristiani libanesi.
Gli anni ’80
Negli anni ’80 anche in seno alla comunità palestinese nasce un movimento di opinione più dialogante e tollerante verso Israele. E’ il caso di Arafat e la sua OLP, che abbandonano la lotta armata e rinunciano a “distruggere Israele”.
Avanza dunque l’idea di un compromesso territoriale per far convivere i due popoli, israeliani e palestinesi: la nascita di uno stato palestinese nei territori previsti dall’Onu, ovvero la Cisgiordania e la Striscia di Gaza.
1987, la prima intifada
Nel 1987 nei territori palestinesi occupati dagli israeliani dalla fine della Guerra dei Sei Giorni, si scatena la prima Intifada, ovvero una protesta popolare che si trasforma in guerriglia. A fronteggiarsi sono i civili palestinesi armati di sassi e armi leggere di fortuna e l’esercito israeliano regolare.
L’Intifada non serve ad ottenere obiettivi militari, ma è una protesta per la frustrazione dei palestinesi di vivere in una condizione di sottomissione, controllo e sottrazione di libertà. La Prima Intifada durò dal 1987 al 1993.
I due partiti di maggioranza in Israele
In Israele ci sono tanti partiti che si contendono il potere. Tra questi il Likud e il Partito Laburista sono i maggiori.
Il primo è un partito di destra, notoriamente intransigente verso la questione palestinese. Il secondo è un partito di centro-sinistra più tollerante e dialogante verso la causa palestinese.
Oslo, 1993
Partito Laburista e la nuova linea dialogante di Arafat entrano in contatto, anche grazie alla mediazione degli Stati Uniti. Dopo una serie di incontri in varie città del mondo del Partito Laburista e la delegazione palestinese guidata da Arafat, c’è finalmente la possibilità concreta di una svolta pacifista al vertice di Oslo, nel 1993.
A rappresentare la Palestina c’è l’OLP con Arafat, a rappresentare Israele ci sono Rabin e Peres, i due leader del partito laburista.
L’accordo prevede che:
- Israele si ritira da alcune zone della Cisgiordania e dalla Striscia di Gaza;
- che nasca un’Autorità Nazionale Palestinese che dovrebbe essere l’anticipazione del futuro stato di Palestina
A mediare sull’accordo c’è il presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton. Nonostante le buone premesse, l’incontro norvegese non porta le parti ad apporre nessuna firma su un accordo definitivo.
Camp David, 2000
Clinton però non abbandona l’idea e tenta di fare un secondo incontro tra le parti e riesce a portare, tra l’11 ed il 24 luglio 2000, a Camp David, negli Stati Uniti il primo ministro Barak (Partito Laburista israeliano) ed il presidente Arafat (OLP).
Proposta di uno Stato Palestinese
A Camp David, Barak su forti pressioni di Clinton offre un accordo che sembrerebbe molto favorevole: offre la nascita dello stato della Palestina con capitale Gerusalemme Est. Quindi, non più l’Autorità nazionale con un autogoverno in Cisgiordania e in Striscia di Gaza, ma uno Stato Palestinese vero e proprio.
Si tratta della massima vicinanza politica mai raggiunta tra Palestina e Israele dall’inizio dei conflitti.
Arafat però rinuncia alla proposta e Barak è costretto ad accettare il nuovo fallimento del vertice.
Arafat, criticato all’estero dagli osservatori internazionali per la sua intransigenza, viene criticato anche in Palestina per la sua moderazione, in quanto, dagli accordi, le aree più radicali palestinesi spingevano per ottenere molto di più.
Ascesa di Hamas
Dopo la deludente esperienza di Arafat negli Stati Uniti, con l’ultimo tentativo di accordo definitivamente fallito, che ha dimostrato, agli occhi dei palestinesi più intransigenti, quanto la via del dialogo con Israele sia inutile, in Palestina comincia ad emergere un nuovo movimento radicale che sostiene l’indipendenza e l’annullamento di Israele. Si tratta del partito di Hamas, un partito legato ai Fratelli Musulmani ed è quindi di stampo più fortemente religioso che non vuole scendere a patti e che dichiara Israele nemico assoluto da abbattere.
Hamas è un’organizzazione politica islamista, sunnita e fondamentalista che, nata ufficialmente nel 1988, conquista un posto di rilievo nella questione israelo-palestinese nei primi anni 2000 con il declino e l’uscita di scena di Arafat. Hamas accetta la costituzione di uno Stato palestinese transitorio con i confini del 1967, senza riconoscere lo stato di Israele.
Hamas è un partito che riprende la linea violenta e intransigente del primo Arafat e dell’ANP, avendo però una matrice terroristica che non disdegna la guerriglia e addirittura la guerra. Hamas è’ un partito che in certi casi propone la Jahd, la Guerra Santa contro Israele, e per questo è ritenuto un gruppo terroristico in molte nazioni nel mondo.
Fatah prende il testimone dell’OLP
Siamo a cavallo tra la fine del 1900 e l’inizio del nuovo secolo. Arafat morirà nel 2004, ma la sua linea moderata impressa negli ultimi anni della sua vita all’OLP sarà continuatta dal partito di Al-Fatah o Fatah, che rimarrà l’interlocutore privilegiato con i paesi occidentali (Stati Uniti sopratutto) e si schiererà ovviamente all’opposizione rispetto ad Hamas.
Fine della moderazione
E così, mentre Arafat si spegne, Fatah perde vigore e anche i laburisti israeliani escono di scena, Hamas cresce e si rafforza, arrivando a radicarsi sopratutto a Gaza.
Passeggiata sulla spianata
Nel frattempo, anche in Israele, finita l’era progressista di Barak, Rabin e Peres, ritorna il tempo della destra, quella vera, quella intransigente, ipernazionalista, intollerante, inflessibile.
Il leader del Likud è adesso Ariel Sharon che il 28 settembre del 2000, in veste di capo dell’Opposizione nel Parlamento israliano, decide di compiere un gesto clamoroso e dimostrativo: accompagnato da un migliaio di uomini armati, entra platealmente nella Spianata dele moschee a Gerusalemme.
In questo luogo, dove si trova, tra gli altri monumenti la Cupola della Roccia, in cui, secondo la tradizione musulmana Maometto compì il miracoloso “viaggio notturno” .
Il gesto venne considerata una provocazione verso i palestinesi e gli arabi islamici in genere, ma anche una dimostrazione di forza di Israele che definiva in quel modo la sua sovranità anche in quel luogo tradizionalmente controllato dai palestinesi.
Per la destra israeliana è invece suo momento. La Spianata delle moschee, a Gerusalemme est – che dovrebbe essere controllato dalle truppe giordane – è una zona che viene ritenuta sacra sia dai palestinesi che dagli israeliani. Ma ci sono moschee ed è frequentata sopratutto da palestinesi.
Si trova nella parte di Gerusalemme che dovrebbe stare alla Palestina. Il gesto di Sharon è una provocazione che porterà lustro e popolarità al partito di cui fa parte, il Likud che stravincerà di lì a poco le elezioni israeliane, ma dall’altro lato è una provocazione per i Palestinesi.
La Seconda Intifada – 2000/2005
L’episodio della passeggiata sulla Spianata delle moschee di Ariel Sharon, scatenò la rabbia dei palestinesi, che si trasformò subito nella Seconda Intifada (2000 – 2005).
Le conseguenze politiche e sociali di questa seconda Intifada, costata la vita a quasi 5 mila persone (3858 furono palestinesi) fu l’esilio forzato del leader dell’OLP ora Fatha, Arafat, che dal 2001 fino alla sua morte nel 2004 fu confinato in Cisgiordania e soprattutto, aprì la strada alla vittoria della destra israeliana, che di lì a pochi giorni dalla passeggiata sulla Spianata di Sharon, vinse le elezioni. E Sharon divenne capo del governo.
La colonizzazione israeliane tramite l’acquisto delle terre
Dopo la passeggiata di Sharon sulla Spianata delle moschee, un altro gesto provocatorio della destra israeliana a Gerusalemme Est e in Cisgiordania fu la liberalizzazione delle operazioni di acquisto di terreni e case da parte dei coloni israeliani in territorio palestinese. Questa operazione, formalmente legale, serviva ad aumentare chiaramente la presenza ebraica in nuove terre.
Si trattava di una colonizzazione graduale, provocatoria, fatta con la forza dei soldi. A fare questi acquisti sono sopratutto i gruppi della destra israeliana che vorrebbero cacciare i palestinesi. E questo porta a reazioni anche scomposte dei palestinesi, con azioni terroristiche.
2004/2005 – Piano di disimpegno unilaterale israeliano
Ad agosto del 2005, il governo israeliano di Areiel Sharon applica iil Piano di disimpegno unilaterale di Israele dalla Cisgiordania e della Striscia di Gaza.
L’obiettivo di questo piano è migliorare la sicurezza di Israele creando delle zone di sicurezza e al contempo migliorare lo status internazionale di Israele.
L’operazione non viene accettata da tutti i coloni e gli sgomberi in alcuni casi vengono fatti con la forza dalle stesse forze israeliane.
La “strana” decisione di Sharon, messa in atto quando avveniva in contemporanea la Seconda Intifada, era probabilmente quello di spostare la concentrazione di forze verso la colonizzazione della Cisgiordania e dividere più nettamente i due territori palestinesi. Inoltre, questo ritiro, mettendo in luce l’impreparazione della Autorità Palestinese a mantenere il controllo della popolazione sotto una parvenza di Stato, l’avrebbe indebolita ulteriormente.
Riconoscimento Onu della Palestina
Il 15 novembre 1988 il Consiglio palestinese della Palestina, in esilio in Algeria, proclama la nascita dello Stato Palestinese. Solo nel 2012 arriva un riconoscimento parziale dell’Onu di tale Stato, con la risoluzione 67/19 che assegna alla Palestina un posto di Stato osservatore non membro all’Assemblea dell’Onu.
Guerra Hamas – Fatha
In Palestina, nelle elezioni del 2006, il partito radicale estremista Hamas vince, seppur di poco, le elezioni e si conferma primo partito del paese davanti al rivale di sempre Fatha, che per la prima volta si trova senza potere.
Hamas tuttavia concentra il suo elettorato a Gaza, mentre Fatha lo conserva in Cisgiordania.
2014, Hamas si concretizza come vero nemico di Israele
Ma nella Striscia di Gaza tra Hamas e Fatha si arriva ai ferri corti e si arriva sull’orlo di una guerra civile. Hamas tuttavia riesce a cacciare Fatha e prende pieno possesso della Striscia. Da questo momento inizia dunque ad applicare la sua politica indirizzata ad annientare Israele. Hamas inizia a lanciare missili contro Israele e diventa il suo primo nemico.
Israele risponde con la missione “Margine di protezione” che porta all’uccisione di 2000 palestinesi, 2/3 dei quali civili.
Dalla Striscia di Gaza tuttavia partono continuamente razzi e Israele con un embargo cerca di strozzare i rifornimenti internazionali di materiale bellico ad Hamas, in particolare quelli provenienti dall’Iran.
I tunnel sotterranei
I canali di approvviggionamento tuttavia non sono solo quelli terrestri superficiali, ma anche quelli sotterranei. E’ così che Hamas organizza una fitta rete di tunnel sotto tutto il territorio di Gaza, arrivando a mettersi in comunicazione addirittura con l’Egitto, da cui, secondo gli israeliani, arriverebbero le armi iraniane.
Israele si difende dai missili di Hamas, missili di fabbricazione artigianale e assai imprecisi, dotandosi del sistema di protezione Iron Dom, capace di intercettare fino al 90% di attacchi.
Hamas / Sunnita
Iran / Sciita
Nuovi sfratti israeliani
A maggio del 2021 alcune famiglie palestinesi vengono sfrattate da parte di coloni israeliani che comprano nuovi terreni e nuove case a Gerusalemme Est. Le famiglie palestinesi fanno ricorso alla Corte penale internazionale ma non ricevono rsposta.
Granate israeliane nelle moschee
Viene poi organizzata una marcia nella Spianata delle moschee in ricordo della Guerra dei Sei Giorni, sono i giorni del ramadan. La popolazione palestinese protesta e l’esercito israeliano preoccupato da questo ammasso di persone che potevano forse dar vita a reazioni violente reagisce con la forza: con gas lacrimogeni e granate stordenti, buttate anche dentro le moschee, un gesto ritenuto ancora più offensivo per i palestinesi.
7 ottobre 2023, attacco di Hamas ad Israele
Il 7 ottobre 2023, gruppi armati di Hamas, provenienti dalla Striscia di Gaza, mettono in atto l’Operazione Alluvione Al-Aqsa.
Si tratta dell’uccisione di 1200 israeliani, civili e militari e il rapimento di 250. L’operazione, pianificata con il supporto di altri gruppi terroristici palestinesi riesce anche grazie all’abbassamento dei livelli di guardia da parte dell’esercito di confine e della vicinanza geografica tra le aree colpite e la Striscia di Gaza.
Nell’attacco di Hamas sono stati presi di mira i kibbutz di confine e le basi militari vicine alla Striscia di Gaza che, in un solo giorno, ha portato all’uccisione di 859 civili, 278 soldati e 57 appartenenti alle forze dell’ordine.
La motivazione ufficiale di questo attacco terroristico da parte di Hamas, è una risposta alle provocazioni israeliane avvenute tempo prima nella Moschea al-Aqsa, nonché alle violenze nei campi profughi in Cisgiordania. Anche la scelta della data non è casuale, perché ricade 50 anni dopo lo scoppio della guerra arabo-israeliana del 1973.
L’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 rappresenta la prima vera incursione straniera in territorio israeliano dalla guerra arabo-israeliana del 1948.
La risposta di Israele all’attacco è la dichiarazione di guerra a Gaza.
Israele il secondo paese più ricco del Medio Oriente
Per raggiungere il suo obiettivo di creazione di uno Stato Israeliano in Palestina, il movimento sionista sin dall’inizio ha agito muovendosi su tre strategie fondamentali:
- la colonizzazione agricola della Palestina
- il ritorno ai valori culturali e religiosi dell’ebraismo con il tentativo di costituire uno spirito nazionale fondato
- il tentativo di ottenere delle dichiarazioni diplomatiche internazionali che legittimassero l’immigrazione in Palestina
Molto antisemitisimo dalla fine dell’800 si era diffuso a quel tempo nell’Europa dell’Est e l’idea del movimento sionista era che gli ebrei sono perseguitati perché non hanno nessuno Stato che li possa difendere, quindi, per porre fine alle violenze avevano bisogno di uno Stato che li rappresentasse.
Così gli ebrei sionisti iniziarono a raccogliere donazioni da tutto il mondo, godendo anche dell’appoggio di ricche famiglie ebree come i Rotchill che riuscivano ad avere rapporti stabili con regnanti e governi di tutto il mondo.
Il fondo permanente israeliano
I primi passi concreti del movimento si poccono collocare nel 1901, anno in cui viene creato il KEREN KAYEMETH LEISRAEL, ovvero il fondo permanente per Israele, che oggi si chiama Fondo nazionale israeliano o Fondo nazionale ebraico.
Il fine dell’ente alla nascita è di raccogliere fondi per colonizzare alcune aree della Palestina. Con questi soldi i sionisti vogliono cominciare a costruire villaggi e infrastrutture agricole per rendere coltivabile e abitabili anche terreni nel deserto.
Tutto con l’obiettivo dichiarato di istituire un nuovo Stato.
L’ente si propone inoltre di supportare le comunità già presenti nella zona, ma anche di incentivare l’immigrazione con la creazione di nuovi insedamenti di ebrei.
I Kibbutz socialisti
Si dà inizio al modello dei Kibbutz , che sono comunità di ebrei uniti dalla tradizione e dal socialismo.
I Kibutz svolgeranno un ruolo chiave sopratutto nel rendere coltivabili porzioni di deserto, ma ben presto, con l’arrivo di grossi progetti industriali e l’introduzione della proprietà privata, il socialismo sarà progressivamente abbandonato.
Il modello dei Kibutz sopravvive fino ad oggi, anche se ormai rappresentano solo una piccola minoranza (l’1% della popolazione israeliana). I Kibbutz controllano ancora oggi buona parte della produzione agricola nazionale, circa il 40%, sia perché molti si trovano in zone di confine.
Gli aiuti internazionali
Ai primi del ‘900 gli arabi si trovano un gruppo di coloni sparsi trasformati in un vero e proprio stato sul loro territorio. Territorio in cui abitano da secoli.
A garantire la sopravvivenza di Israele davanti alle prime concrete risposte degli arabi che non vogliono questa realtà politica straniera realizzarsi sul loro territorio, sono gli aiuti internazionali, provenienti sopratutto dagli Stati Uniti, che daranno oltre 300 miliardi di dollari tra il 1948 e il 2023.
Gli ebrei di tutto il mondo intensificano le loro donazioni al Fondo internazionale di Israele.
Israele nasce dunque con fondi significativi e dopo la vittoria del 1949 contro la Lega Araba, Israele diventa una realtà consolidata pur essendo lontanti dal farsi accettare dagli arabi come uno stato legittimo.
Fondi riparatori tedeschi dopo l’Olocausto
In Israele c’è un forte controllo dello Stato nell’economia. Il governo israeliano può contare infatti su un enorme budget statale dove, ai soldi di ebrei di tutto il mondo e a soldi di altri governi, si aggiungono i fondi di riparazione richiesti alla Germania Ovest.
Fondi che la Germania paga ancora oggi ad Israele e 50 e a ebrei vittime dell’Olocausto che vivono in altri paesi.
1950, primo boom economico
Nel 1950 la popolazione di Israele supera il 1.200.000 persone e si appresta a conoscere il primo boom economico della sua storia.
Grazie alle ingenti donazioni Israele ha dunque subito i soldi per avviare lo sviluppo. Gli investimenti nella fase iniziale si concentrano sopratutto nella costruzione di infrastrutture e nel potenziare la produzione industriale.
Attualmente i maggiori paesi dove esporta sono Cina, Stati Uniti e India; mentre i maggiori paesi da cui importa sono Stati Uniti, Cina e Svizzera.
Protezionismo e isolazionismo locale
Inoltre utilizza politiche protezioniste, quindi con grossi limiti alle importazioni. E si comporta similmente ai paesi coloniali, non facendo affari coi paesi vicini. In questo modo si impediranno di avere rapporti commerciali con i paesi arabi.
Crisi di Suez, Israele tenta lo scambio internazionale
Nel 1956, dopo un tentativo di aprirsi a scambi commeciali coi vicini paesi arabi, nel 1957 arriva la doccia gelata dell’Egitto che nazionalizza il Canale di Suez. Per questo l’Egitto fu attaccato dagli eserciti del Regno Unito e della Francia a cui poco dopo si unì anche Israele determinando la Seconda guerra arabo-israeliana (la prima è del 1948).
Non ci sarà nessun vincitore da questo conflitto perché fu bloccato dall’Onu, ma l’Egitto ne uscì rafforzato acquisendo credito nella comunità internazionale.
La guerra però ha dato conferma ai paesi arabi il loro presentimento, ovvero che Israele fosse un avamposto dei paesi occidentali in Medio Oriente, pronto da usare per controllarli o minacciarli all’occorrenza.
E questo porterà ad un forte aumento delle tensioni.
Il guadagno dalla vendita di armamenti
Tra il 1960 e il 1970 Israele entra in una lunga fase di stagnazione e a inizio anni ’80 entra in una vera e propria crisi, con il debito pubblico raggiungendo il picco del 154% del Pil nel 1980 e il 199% del Pil nel 1985, due volte tanto il pil
Isarale quindi comincia a vendere le tecnologie sviluppate per scopi militari che saranno poi convertite in ambito civile. Quindi, da queste mercificazioni, comincia ad avere un reddito.