Il Pecorino Sardo è uno dei prodotti classici della gastronomia sarda. La sua storia affonda negli ovili di montagna dei nuragici e oggi ha un ruolo fondamentale nella cultura identitaria della Sardegna, legandosi indissolubilmente al rapporto che i suoi abitanti hanno da sempre stabilito con gli animali e la terra.
La più vasta produzione di pecorini d’Europa
Il Pecorino Sardo dalla metà degli anni ’80 è diventato un prodotto di largo consumo con esportazioni interessanti in tutto il mondo che fanno peso specifico nell’economia della regione: la Sardegna offre infatti la più vasta produzione di formaggi pecorini d’Europa esportati in molti mercati, soprattutto in Nord America, dove peraltro è soggetto a pirateria alimentare e viene venduto piratato con il nome di Sardo Cheese.
Molte varianti locali, un solo Pecorino Sardo
Nonostante ciò, produttori e consumatori hanno riservato al Pecorino Sardo un’esistenza protetta dalle contraffazioni nel rispetto della tradizione unica che lo lega a questa terra. Sebbene si trovino in commercio svariate produzioni che si differenziano in alcune particolarità di lavorazione e in alcune sfumature di sapore che caratterizzano un territorio piuttosto che un altro, esistono sostanzialmente due tipologie di pecorino sardo:
- Il Pecorino Giovane (o fresco) – 1 o 2 mesi di stagionatura prima del consumo
- Il Pecorino Maturo (o vecchio) – oltre 6 mesi di stagionatura prima del consumo
Il Pecorino Fresco – Ha un peso che varia da 1 e 2,5 chilogrammi. La crosta è liscia, sottile e di colore giallo paglierino. La pasta ha il sapore dolce, è aromatica e talvolta acidula. La sua consistenza è morbida, elastica, compatta e sottile. Il Pecorino Fresco è un ottimo formaggio da tavola.
Il Pecorino Maturo – Questo formaggio ha un peso variabile da 1,7 a 4,0 chilogrammi. La crosta anche qui si presenta liscia, ma è decisamente più consistente del Fresco e il colore può passare dal paglierino al giallo scuro quasi arancio-marron per i formaggi più vecchi. La pasta è compatta, a tratti granulosa, con qualche occhiatura. Colore chiaro. Il sapore è tendente al piccante al punto che in cucina si può utilizzare con ottimi risultati come esaltatore di sapori su tutti i piatti, dalle paste, ai secondi, ai contorni, alla frutta. Ottimo anche da solo come secondo, oppure come formaggio da grattugiare.
Il rigido disciplinare di tutela del Pecorino Sardo
Il pecorino è il risultato di una particolare lavorazione del latte ovino, che viene sottoposto a un rigido disciplinare stabilito dal Consorzio di Tutela: pastorizzazione, caglio, sale, fermenti lattici ed esclusivamente latte sardo. Esistono in vendita numerose altre varianti del pecorino sardo (Formaggio Sardo, Formaggio di Pecora Sardo) ma non rientrano nelle condizioni dettate dal disciplinare di produzione. Il Pecorino Sardo, è titolare della Denominazione d’Origine dal 1991 e della Denominazione d’Origine Protetta dal 1996. La tracciabilità prevede l’apposizione in sede di produzione del contrassegno “PS DOP” con il casello identificativo dell’azienda di produzione e, prima di essere definitivamente messo in commercio, si appone l’etichetta con il logo PECORINO SARDO DOP a cui si aggiunge un contrassegno verde per le forme di “pecorino sardo dolce” o blu per quelle di “pecorino sardo maturo”.
La forma del Pecorino Sardo
Il Pecorino Sardo DOP ha forma cilindrica con scalzo dritto (o leggermente convesso) e facce piane.
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La lavorazione del Pecorino Sardo
La creazione del Pecorino Sardo comincia ovviamente dalla materia prima, il latte intero di pecora, che viene inoculato con fermenti lattici della zona d’origine e coagulato con caglio di vitello: il risultato è una cagliata sottoposta a parziale cottura, quindi sistemata in appositi stampi cilindrici, spurgata dal siero, salata e messa a stagionare per da 20 fino a 60 giorni per ottenere il Pecorino Sardo Dolce, oppure oltre 6 mesi per ottenere il Pecorino Sardo Maturo.
La pecora sarda
La pecora sarda è l’animale da cui si ottiene la materia prima per la realizzazione del Pecorino Sardo DOP. Tra le sue caratteristiche principali una delle più interessanti che riguardano proprio la produzione dei formaggi, è l’elevata capacità lattifera che può arrivare in certi casi anche a 300 litri l’anno. L’animale è richiesto pure per la qualità delle sue carni, specialmente l’agnello quando arriva a pesare tra gli 8 e i 10 kg. Marginale è invece la produzione della lana, di tipo grossolano, è impiegata soprattutto nella realizzazione di tappeti e materassi.
La storia del Pecorino Sardo
La storia del Pecorino Sardo ricalca grosso modo la Grande Storia della Sardegna ed è una chiara espressione della cultura mediterranea, frutto di contaminazioni di popoli, terre, profumi e sapori.
I Nuragici erano pastori
Gli antichi sardi, ovvero i nuragici, erano abili pastori piuttosto che agricoltori e, quando dovettero confrontarsi con i popoli invasori, tra cui Cartaginesi e Romani, che introdussero (soprattutto i secondi) la coltivazione massiccia del grano, furono costretti a cambiare le loro abitudini nomadi. La fitta macchia della Sardegna venne così sottoposta a una prima importante distruzione, specialmente nelle aree pianeggianti (Campidano).
I Romani introducono l’agricoltura
Il risultato fu un cambiamento di abitudini anche da parte del popolo indigeno, che trovò nuove terre da far pascolare il gregge, abbandonando in parte gli sporadici e spesso inaccessibili prati di montagna. L’allevamento della pecora passò così da un sistema primitivo che si adattava all’ambiente, ad uno più evoluto, in cui era l’uomo a cambiare l’ambiente per soddisfare le sue esigenze: ciò garantiva maggiori spazi di sfruttamento al fianco di condizioni climatiche sempre ideali, dove i grandi prati naturali rappresentavano una fonte alimentare ideale per gli ovini.
Il formaggio sardo nelle tavole dei ricchi romani
Cominciava così una produzione casearia da poter essere commercializzata: nelle tavole dei senatori romani comparivano già da allora i formaggi sardi, mentre, bisognerà aspettare il medioevo e i quattro giudicati di Sardegna (Torres, Gallura, Arborea e Cagliari) per vedere un sistema di esportazione più efficiente. A quel tempo la Sardegna esportava alcune varietà di pecorino, tra cui il Sardesco, formaggio del Giudicato di Torres, il formaggio bianco (Arborea) e il formaggio di Gallura.
Medioevo
Il Sardesco progenitore del Pecorino Sardo
Il Sardesco sui mercati genovesi
A Genova, il Sardesco si piazzava sui mercati con valori superiori a molte altre produzioni italiche, come il Paramensis (progenitore del notissimo Parmigiano Reggiano). Per avere notizie più certe sulle antichi origini del Pecorino Sardo, bisognerà però aspettare i secoli della cultura e della scrittura popolare anche per la Sardegna.
Il formaggio lavorato nell’ovile di montagna
Nel ‘700 le notizie sui progenitori del Pecorino Sardo si facevano sempre più assidue. Si parlava di formaggi cosiddetti bianchi, rossi o affumicati. La lavorazione già prevedeva l’utilizzo del latte crudo, riscaldato con le pietre roventi che venivano immerse direttamente nel liquido. Il luogo di lavorazione era solitamente il pinnetto di montagna, la classica abitazione del pastore sardo, dotata di focolare e ambiente protetto dalle intemperie dove poter lavorare nei mesi freddi quando il bestiame era a riposo nei recinti.
I Savoia tartassano i pastori sardi
Si giunge così all’epoca del Regno di Sardegna, quando i Savoia, diventano ben presto grandi estimatori dei formaggi sardi tanto che i pastori che li producevano erano sottoposti a forti pressioni fiscali così come i rispettivi commercianti che pagavano profumate gabelle per esportare pecorini a Marsiglia, a Napoli, a Livorno o a Genova.
Fine ‘800
La scienza arriva all’ovile
Igiene, chimica e fisica
le nuove conoscenze per fare il pecorino
Fine ‘800, il Pecorino Sardo sbarca in America
Per avere un prodotto vicino a quello attuale, il salto di qualità avviene con l’introduzione della conoscenza scientifica, specialmente in materie chimiche e biologiche, per migliorare le condizioni igieniche di lavorazione e del prodotto finale, la sicurezza del casaro e la durata del prodotto. Tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 pure negli ovili sardi cominciano così a essere introdotti l’uso del termometro o a sottoporre il latte a filtrazione. Seguono l’introduzione degli innesti naturali di batteri lattici e del caglio. Le esportazioni oltre oceano iniziano a metà dell’Ottocento e nel frattempo cresce il numero degli ovini che passano da circa 850 000 capi del 1881 a oltre 2 milioni di capi nel 1918. Il resto è storia moderna.