Il 4 settembre del 1904, presso gli impianti di estrazione della miniera di Malfidano, venne inviato l’esercito per sedare la rivolta di oltre duemila lavoratori che protestavano contro l’azienda per il trattamento economico e lavorativo a loro riservato. I militari, appena giunti sul posto, furono bersagliati assieme ad altri minatori favorevoli alle operazioni della dirigenza, da una violenta sassaiola da parte dei minatori. La reazione dell’esercito fu sproporzionata: venne aperto il fuoco contro i manifestanti uccidendo subito due di loro (un terzo morirà poco dopo per le ferite riportate) e ferendone altri 13.
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La protesta di Buggerru era stato solo l’ultimo evento di una serie concatenata di episodi simili avvenuti poco prima in Sardegna. Tra questi vi fu la Rivolta de su Connottu (Nuoro, 1868) in cui i barbaricini si ribellarono all’Editto delle chiudende (1820) che, consentendo nuove e definitive recinzioni, assegnava il godimento della proprietà perfetta al ceto medio possidente, escludendo nel contempo i non abbienti dal libero accesso e sfruttamento degli stessi. Questo provvedimento, anche se da un lato allineava la Sardegna alle normative già applicate sui territori della penisola e in molte altre regioni d’Europa, furono alla base di un malumore popolare che sfociò in azioni violente contro le istituzioni e le forze dell’ordine. Sulla scia di quei malumori si innescò la miccia alla rivolta di Buggerru in quanto la motivazione di fondo era la stessa: le classi subalterne sarde, siano essere proletarie dedite alla pastorizia o all’allevamento; siano essere proletarie impiegate nell’industria e nelle miniere, godevano di una condizioni economica precaria tra sfruttamento della mano d’opera e assenza di prospettive di riscatto.
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SFRUTTAMENTO SCHIAVISTICO
A Buggerru come in tutte le miniere sarde le condizioni di sfruttamento dei minatori era al limite del collasso. Orari di lavoro che non permettevano una conduzione di vita salutare; condizioni di sicurezza degli impianti finalizzate allo svolgimento delle operazioni di estrazione in tempi brevi senza che venissero rispettate i tempi di lavorazione umanamente accettabili, esponendo il personale a frequenti rischi per la loro incolumità e che si traducevano spesso in incidenti invalidanti o mortali. A fronte di ciò il trattamento economico era al limite della miseria.
Ai minatori non rimaneva che tentare di resistere e di protestare organizzandosi in sindacati di rappresentanza, come ad esempio la Lega di resistenza di Buggerru che in poco tempo raggiunse le oltre 4 mila adesioni. I lavoratori, coadiuvati dalla Lega riuscirono più volte a organizzare scioperi importanti che attrassero le attenzioni dell’opinione pubblica, della dirigenza politica (almeno regionale) e soprattutto dell’azienda proprietaria dell’impianto.
LA RICERCA PARZIALE DI VERITA’ VOLUTA DALLO STATO
A certificare questa condizione furono gli esiti della stessa commissione parlamentare di inchiesta che nel 1869 fece luce (parziale, perché escluse il comparto agro-pastorale) sulla penuria di vita che subivano i lavoratori delle miniere e delle industrie sarde. A presiedere quella commissione fu l’ingegnere minerario e deputato Quintino Sella, a cui venne affiancato il collega Eugenio Marchese già direttore del distretto minerario sardo. Dalla ricerca emerse chiaramente la disparità di trattamento dei minatori sardi rispetto a quelli del resto d’Italia.
Il 7 maggio del 1904 a seguito dell’ennesimo incidente mortale in miniera, che causò la morte di quattro persone, la protesta dei minatori raggiunse il culmine di rabbia. A ciò si aggiunse la riduzione della pausa pranzo che venne resa ufficiale il 2 settembre dello stesso anno a mezzo di una circolare firmata dallo stesso ingegner Georgiades, direttore. La rivolta dunque riprese con ancora più vigore e due giorni dopo la dirigenza chiese l’aiuto dell’esercito: i militari, giunti sul posto, dovevano essere ospitati in un edificio appositamente allestito dall’azienda per mano degli operai stessi (quelli appartenenti al reparto falegnameria). Al rifiuto della maggior parte dei lavoratori di svolgere la mansione e all’accettazione per contro di alcuni, seguì una sassaiola dei primi nei confronti dei secondi che innescò la risposta dei militari a mezzo armi da fuoco.
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BUGGERRU APRI’ ALLO SCIOPERO NAZIONALE
L’eco dell’Eccidio di Buggerru, seppur nella precarietà dei sistemi di comunicazione di massa, ancora lontani dalla capillarità odierna, arrivò fino a Milano, dove, l’11 di quello stesso mese, la Camera del Lavoro dette il via ad uno sciopero generale che doveva riguardare tutta l’Italia. La risposta dello Stato fu ancora una volta all’insegna della violenza: a Castelluzzo (Trapani) il 14 settembre i carabinieri aprirono il fuoco contro i contadini che protestavano per lo scioglimento di una riunione sindacale. Fu così che dal 16 al 21 settembre venne svolto in Italia, per la prima volta, uno sciopero generale che coinvolse lavoratori di diversi settori.