La raffinata produzione di tessuti in seta che caratterizza il costume tradizionale sardo, è una storia secolare di scambi commerciali, innovazione tecnologica e vocazione artistica delle classi contadine e pastorali. In Sardegna, come nel resto dell’Occidente europeo, la coltivazione del baco da seta è una tecnica d’importazione orientale, ma oggi, i tessuti derivati dalla sua lavorazione sono il patrimonio identitario di questa regione. A rappresentare questo fenomeno c’è sicuramente “Su Lionzu”, il fazzoletto giallo del costume di Orgosolo.
IL BACO DA SETA IN SARDEGNA
Ad introdurre la seta in Sardegna furono i padri gesuiti che, nel 1665, si stabilirono a Oliena e operarono come bachicoltori nel territorio del vicino villaggio di Orgosolo. Con l’avvento pure in Europa della nuova industria tessile, la Spagna (dominatrice della Sardegna dal 1479), insieme all’Italia, divenne la grande produttrice continentale di seta grezza. Fu così che i gesuiti furono i primi in Sardegna che provvidero a impiantare l’albero di gelso bianco che ben si adattò alle zone fresche e ricche d’acqua della Barbagia montana.
LA PARABOLA DEL GELSO BIANCO
Le foglie della pianta di gelso bianco, dal ‘400 fino, furono impiegate, secondo una filiera proto-industriale, come alimento dei bachi da seta col fine di realizzare come prodotto finito i tessuti pregiati in seta impiegati nell’abbigliamento. Da allora fino alla metà degli anni ’50 del Novecento la seta fu una delle fibre tessili più usate per produrre di abbigliamento, almeno fino quando, con l’introduzione nel mercato di tessuti sintetici, il settore è entrato definitivamente in crisi e, mentre la tessitura in seta si è riservata una sopravvivenza solo per la produzione di capi o accessori di lusso, il gelso bianco ha perduto la sua importanza economica ed è stato relegato a pianta ornamentale di parchi, giardini e alberature stradali.
MANIFATTURE SARDE D’IMPORTAZIONE
Per la tessitura sarda, il lungo periodo a cavallo tra il 1665 e il 1950, fu fondamentale l’impiego di una manodopera specializzata, in grado di concepire lavori in seta pregiatissimi da immettere nel difficile mercato del tessile. In Sardegna la sete fece il suo ingresso come materiale per i capi del vestito tradizionale (i costumi sardi) e, in parte, fu direttamente esportata in Europa come prodotto finito. Como fu il principale centro di smistamento della seta sarda nella tratta continentale, dove, i capi realizzati dagli artigiani sardi, venivano venduti a caro prezzo, alle classi più abbienti delle società francesi, svizzere, austriache e tedesche.
AL SUD IL COMPARTO, IN BARBAGIA IL FAI DA TE
Sulla scia di questo nuovo settore commerciale, Muravera e Quartucciu, furono tra le prime località sarde che al sud aprirono numerose scuole professionali per giovani artigiane dalla spiccata manualità che venivano impiegate nella manifattura della seta: erano queste infatti le figure più ricercate da professionalizzare nella difficile manodopera. Ad Orgosolo invece, nel cuore della Barbagia, nacquero maestranze di estrazione domestica che però non furono meno qualificate, ma anzi, anch’esse furono capaci di realizzare capi di abbigliamento di notevoli qualità artistiche. Subito ricercati per la spiccata artigianalità che ne accresceva enormemente il valore commerciale.
LA SETA NEL COSTUME TRADIZIONALE
In Sardegna, i costumi locali, diversi da paese a paese, descrivono da sempre l’identità di specifiche comunità . Nel corso dei secoli, tessitori e tessitrici di tutta l’isola, si sono cimentati in una gara ideale alla ricerca del bello, nel reperimento delle materie prime e nella lavorazione del prodotto finale. Ecco allora che nei vestiti della tradizione è possibile ritrovare le tracce di tutte le influenze straniere che si sono avvicendate nel controllo dell’isola: da quelle romane, a quelle mediorientali, a quelle ispano-moresche. Ma, con l’arrivo della seta, l’abbigliamento tradizionale, subì una svolta nella qualità dei tessuti e nella finezza artistica: accanto ai velluti e al panno in orbace o lana, alla mussole per le camicie e ai bottoni in filigrana, apparirono i pizzi e i merletti di decorazione, i filati in seta, i fazzoletti e le gonne in seta.
SU LIONZU
“Su Lionzu” (“il fazzoletto”) è l’accessorio più noto del costume di Orgosolo che rappresenta l’uso della seta in Sardegna nella realizzazione di tessuti di alta qualità . Questa benda di colore giallo che ricopre la testa della ragazza è l’elemento distintivo che, secondo alcuni critici, può assurgere al tratto più caratterizzante del costume sardo in genere. In questo elemento chiave della vestizione tradizionale, la lavorazione della seta, parla chiaramente di una manualità raffinata in secoli di esperienza. Ecco a seguire, i passi salienti della realizzazione de “Su Lionzu”, dalla materia prima al prodotto finito:
- allevamento dei bachi da seta sulle foglie di piante di gelso;
- produzione dei bozzoli ricoperti di seta;
- prelievo della seta immergendo i bozzoli in acqua calda;
- lavaggio accurato in acqua fredda;
- filatura a mano attraverso movimenti sinuosi e lenti;
- preparazione di una treccia densa attraverso il passaggio dei fili su una serie di paletti piantati nel terreno;
- lavorazione al telaio per la formazione del tessuto finito.
DA CRETA A ORGOSOLO
Il risultato di questo lungo processo che può durare oltre un mese, è “Su Lionzu”, il capo esclusivo del costume di Orgosolo. Il quale, secondo alcune osservazioni accademiche non ancora ufficialmente suffragate, avrebbe riferimenti artistici riconducibili addirittura alle tombe di Cnosso: una testimonianza dei primi scambi commerciali e culturali tra gli antichi sardi e i cretesi.
L’ESCLUSIVITÀ DEL COSTUME DI ORGOSOLO
Il costume femminile di Orgosolo è noto per la vitalità delle sue parti fondamentali, come il rosso del corpetto, le stilizzazioni del grembiule, il giallo della benda che esalta la carnagione tipicamente olivastra della donna mediterranea. Il costume di Orgosolo è fatto interamente a mano e “Su Lionzu” è il risultato di una selezione dei tessuti che ha portato all’individuazione di una specie di baco unica e battezzata “Orgosolo”, allevata nel rispetto del più assoluto rigore biologico dalle famiglie del paese, le stesse che secoli fa si sono cimentate nell’avventura della nuova tessitura.
IL BACO DA SETA
Bombyx mori è la specie di farfalla, originaria dell’Asia centro-orientale, la cui larva è conosciuta come “baco da seta” ( baco = Primo stadio di insetti lepidotteri soggetti a metamorfosi. Stadio detto di larva). La bachicoltura è l’allevamento del baco da seta per scopi industriali.
CHE COS’È LA SETA
La seta è il prodotto di scarto, formato soprattutto da proteine, escreto da alcune ghiandole dette “seritteri“. Il composto chimico fuoriesce attraverso due orifizi (dette “bavelle”) corrispondenti a ciascuna ghiandola e, attraverso l’aria, si raggruma in un unico filo detto “bava“.
Oltre al baco da seta, altre fibre, provenienti da altri insetti, appartengono alla categoria della seta. Essi sono: coleotteri, ditteri, embiotteri, imenotteri, lepidotteri, neurotteri, rincoti diaspini, tricotteri. Anche questi entomi costruiscono con la seta ooteche, bozzoli, nidi o protezioni del corpo. Lo stesso baco da seta utilizza la bava per confezionare il bozzolo che, nell’arco di 70 ore circa, viene completamente chiuso, dopo di che, all’interno, l’insetto, compie le altre fasi della metamorfosi fino allo stato di farfalla. La fibra tessile a filamento continuo che si ottiene dal bozzolo del baco da seta, è il materiale di lavorazione per l’ottenimento dei tessuti in seta. La seta si presenta di colore giallo o marrone-oro e assume lucentezza particolare a seconda delle caratteristiche chimiche. La lunghezza della bava arriva fino 700-800 metri e ha la peculiarità , rispetto ad altre fibre, di legarsi ai coloranti con un’affinità superiore.
LA SETA FORTE COME L’ACCIAIO
A dispetto della sua leggerezza e della sua morbidezza, la seta è la fibra naturale più resistente: un filo di seta, a parità di diametro, ha una resistenza paragonabile al filo d’acciaio. In più, è completamente anallergica; è igroscopica quanto la lana, cioè ha un’eccellente capacità di assorbimento dell’acqua, indicativamente intorno al 30% del suo peso.
IL BACO BIO-REATTORE PROTEICO
Il baco da seta, di recente, è stato studiato come bio-reattore per la produzione di proteine: introducendo geni esogeni nel genoma del baco, è infatti possibile far sintetizzare dall’insetto la proteina voluta. Queste scoperte hanno avuto ricadute importanti in ambito farmaceutico (produzione di alfa-interferone umano) e veterinario (proteine ricombinanti per combattere infezioni di cani e gatti).
- La seta ottenuta dalla filatura dei bozzoli del baco domestico (Bombyx mori) è un biopolimero le cui proprietà chimiche, fisiche, meccaniche e strutturali, possono essere utilizzate in numerose applicazioni biomedicali e biotecnologiche.
- La forza meccanica della seta ad esempio la si sfrutta in ambito medico-chirurgico come filo di sutura non riassorbibile in chirurgia, mentre, attraverso la coltura cellulare su “scaffold” di seta è possibile riprodurre, sia in vitro sia in vivo, tessuti di cartilagini, legamenti o ossa. Alcuni studi stanno infine battendo la “via della seta” per la formazione di membrane cornee, protesi vascolari, bendaggio per le ferite, matrici di farmaci a rilascio lento. Sempre sul filone biomedico si sta sviluppando il settore dei materiali compositi seta-idrossiapatite da impiegare nelle protesi osseo rigenerative, nelle garze per le ustioni e nei tessili bioattivi antimicrobici.
L’INDUSTRIA DELLA SETA
Con l’avvento della meccanizzazione industriale, il settore tessile, da alcuni secoli, utilizza la seta nella produzione di abbigliamento di lusso: biancheria, cravatte, tappezzeria. Alcuni capi (camiceria di alta gamma) o tessuti presentano un misto di seta, lana e/o fibre artificiali.
ORIGINI E DIFFUSIONE DELL’INDUSTRIA DELLA SETA
L’industria della seta ha origini antichissime e, secondo le ricostruzioni storiche ufficiali, è nata in Cina quando le grandi civiltà europee (Greci e Romani) identificavano il paese dell’Estremo Oriente proprio come il “Paese della Seta”. La seta, sin dalle prime epoche commerciali, ha avuto un ruolo determinante nel confronto tra conoscenze e culture altrimenti isolate dalle enormi distante. Cina ed Europa (in particolare l’Impero Romano) si scambiarono le merci attraverso la conosciutissima “Via della Seta“, il collegamento, articolato in un complesso reticolo stradale che si snodava per oltre 8.000 km, tra itinerari terrestri, marittimi e fluviali. Questo fondamentale sistema di comunicazione, denominato per la prima volta nel 1877, collegava Xi’an (Cina) con Bisanzio (Medio Oriente). I tragitti erano vari: a Nord si snodavano sulle sponde del Mar Nero (Crimea) e accedevano alle pianure russe; in mezzo, si estendevano sui territori del Vicino e del Medio Oriente, l’India e la Corea. Verso Sud invece erano interessate le tratte marittime sul Mar Rosso, l’Oceano Indiano, i porti arabi e africani, l’India, la Thailandia, il Vietnam e il Giappone.
LA SETA NELLA STORIA ECONOMICA EUROPEA
Per lungo tempo s’importava la seta solo attraverso prodotti finiti (tessuti già confezionati) che, in epoca romana, diventarono ben presto di uso e consumo delle classi più abbienti, identificandosi come bene di lusso. Ma affinché la lavorazione della seta iniziasse anche in Occidente bisognerà aspettare il 552 quando, due monaci, furono inviati in Cina da Giustiniano per cercare di conoscere il segreto di tale procedimento. Al loro rientro i religiosi portarono in Europa i bozzoli e fu così che poté iniziare la sericoltura mediterranea, ovvero la filiera che legava l’allevamento del baco da seta (bachicoltura) alla lavorazione della seta vera e propria, la quale, si concludeva con la realizzazione del prodotto finito: i pregiati tessuti in seta. Contribuirono alla diffusione di questa economia in Europa anche gli Arabi che divennero specialisti nella coltivazione del gelso bianco, la varietà di gelso le cui foglie furono utilizzate nell’allevamento del baco da seta.
LA SERICOLTURA ITALIANA INIZIA NEL 1146
In Europa l’arte serica cominciò ad Atene e a Corinto, mentre, quella italiana, iniziò di rimbalzo solo nel 1146, in Sicilia. Nei paesi della ex Magna Grecia tuttavia si svilupparono maestranze e ed economie legate alla seta che raggiunsero il primato europeo dal 13° al 17° secolo. All’Italia, nello scenario mondiale della produzione di tessuti in seta, seguirono la Francia, l’Olanda e l’Inghilterra e, nell’arco di alcuni secoli, l’intera filiera europea poteva contare di produttori della materia prima (paesi mediterranei che usufruivano di un clima temperato necessario all’allevamento dell’insetto, come Italia e Spagna) e di realizzatori di prodotti finiti (Inghilterra e Olanda).
SERICOLTURA EUROPEA:
LA PRIMA GLOBALIZZAZIONE EUROPEA
Dopo alcuni secoli dalla sua introduzione la tessitura della seta nel Vecchio Continente si sviluppò con un’industria che poteva contare di una filiera paneuropea. Le aree geografiche si erano specializzate in alcune fasi ed altre in altre ancora. I paesi a clima temperato (Spagna, Italia e Grecia) divennero soprattutto produttori di seta grezza, mentre, i paesi nordici (Inghilterra e Olanda) divennero esperti della manifattura. In seguito, dopo che, in pieno ‘800, il picco di produzione europea fu raggiunto in Inghilterra con oltre 100.000 telai battenti, l’abolizione dei dazi d’importazione, le grandi guerre del secolo successivo e le nuove politiche agricole che preferirono puntare su altre colture, determinò, per la seta, la perdita di centralità come materia prima nella realizzazione di tessuti.
IL SINTETICO HA RADDOPPIATO IL VALORE COMMERCIALE DEL NATURALE
Ad oggi, per i prodotti in seta rimane un ruolo di nicchia esclusiva per articoli di grande prestigio in grado di coprire solo qualche frazione di punto percentuale sul consumo totale di fibre tessili. Vestiti, lenzuola, complementi tessili di arredamento sono realizzati utilizzando fibre tessili. Il 2009, per l’ONU, è stato l’anno internazionale delle fibre naturali. Esse però rappresentano appena il 40% del totale della produzione mondiale di fibre tessili, mentre, solo nel 1960, erano il 78%. Con la diffusione delle fibre manmade, artificiali e sintetiche, la quota delle fibre tessili è scesa drasticamente senza però intaccare al ribasso il valore assoluto delle fibre naturali. Anzi, con l’ingresso sul mercato del sintetico, per contraccolpo, il valore commerciale del naturale è raddoppiato rispetto agli anni ’50 del ‘900, perché la pregiatezza in termini di salubrità e qualità intrinseca dei prodotti da esso derivato non è mai stato raggiunto dalle nuove lavorazioni tecnologiche.
FIBRA NATURALE È ANCHE CIBO
Secondo la FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura), le fibre tessili naturali oltre ad essere prodotto di nicchia dell’industria tessile, è una fondamentale fonte di reddito per gli agricoltori dei paesi in via di sviluppo: cotone per l’Africa occidentale, la juta per il Bangladesh e l’India, il sisal per la Tanzania e il Brasile.
LA SETA NON LA PRODUCE QUASI PIÙ NESSUNO
Dal 2000 la seta, su scala mondiale rappresenta appena una produzione che si aggira intorno alle 135 mila tonnellate annue. La Cina è il primo produttore mondiale con oltre il 70% del totale, seguono, con piccole quantità , altri Paesi dell’Asia Orientale come l’India, il Vietnam e la Thailandia, dell’Asia Centrale, come il Turkmenistan e l’Uzbekistan, mentre, l’unico produttore significativo non asiatico è il Brasile.