L’estrazione, il consumo e la commercializzazione del sale in Sardegna è iniziata 2500 anni fa quando i Fenici hanno approfittato della condizione di insularità per raccogliere e commercializzare questa abbondante risorsa orientandola in breve ad una produzione importante.
L’ESTRAZIONE IN SARDEGNA
Tra le zone della Sardegna in cui l’estrazione, la lavorazione e la commercializzazione del sale era assai diffusa sin dalle epoche più antiche vi erano da nord a sud: la Nurra (Alghero), Terranova (Olbia), Tharros (Oristanese), le coste del Sulcis e ovviamente gli stagni dell’odierno cagliaritano.
Oltre alle vicende commerciali dei conquistatori (fenici, punici, greci e ai romani) la produzione di sale in Sardegna era legata anche a quella degli indigeni che fornirono mano d’opera e ingegno.
DA CAGLIARI ALLA NORVEGIA
Il sale sardo fin dall’antichità godeva di una certa fama, grazie alle sue peculiarità di dolcezza e delicatezza e veniva richiesto soprattutto dai pescatori del nord Europa che lo usavano per conservare il pescato. Il porto che faceva da catalizzatore alla distribuzione del sale sardo nel continente europeo era quello di Marsiglia.
IL SALE DI CAGLIARI ERA ORO BIANCO
Le saline del cagliaritano dunque fin dall’antichità godettero del favore del mercato per le caratteristiche intrinseche del prodotto che lo rendevano superiore a quello della concorrenza.
GLI SPAGNOLI SI IMPADRONIRONO DEL SALE CAGLIARITANO
Il business del sale sardo entrò così fra gli appetiti conquistatori degli Spagnoli che, una volta presidiata gran parte della Sardegna, fecero del sale di Cagliari un monopolio. Più tardi i Savoia accentuarono questo accentramento statalista schiavizzando le popolazioni locali con la cosiddetta “comandata“, ovvero l’obbligo degli abitanti del posto di fornire forza lavoro per l’estrazione, lo stoccaggio e il trasporto del sale.
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LO SCHIAVISMO DEI PIEMONTESI
Fino al 1850 le saline di Cagliari erano ancora del tutto naturali: il sale veniva raccolto nei bacini o negli stagni dove si aspettava la naturale cristallizzazione. Nel frattempo erano cominciati i lavori di razionalizzazione degli impianti, con importanti interventi di sistemazione dei bacini di evaporazione, delle caselle salanti e l’apertura del grande canale: il Canale di San Bartolomeo che partiva dalle saline e correva verso il mare, dove si divideva in due rami, il Canale del Lazzaretto e il Canale della Palafitta. I mercantili invece rimanevano attraccati al Molo Sabaudo, dove si caricava il sale per essere trasportato in Italia e all’estero. Nel 1836 finalmente Carlo Alberto abolì l’odioso sistema delle comandate, mentre Cavour invece introdusse gli appalti per la gestione degli impianti.
NEL NOVECENTO LA DIVERSIFICAZIONE
Nel Novecento sempre a seguito di grossi interventi di miglioria industriale, si diversificò la produzione: oltre al sale comune, fu avviata anche la produzione dei sali potassici, del solfato di magnesio, dei sali misti e del bromo. Dal secondo dopoguerra invece iniziò la crisi: la richiesta dei sottoprodotti del sale diminuì, si rafforzò la concorrenza di altre saline, sia nazionali che internazionali, che rubò fette di mercato.
ANN’80 ARRIVA L’INQUINAMENTO, NEL 2000 IL PARCO
A questa crisi si aggiunse l’inquinamento dei bacini che portò alla sospensione delle attività nel 1985. Nel 1988, lo Stato decise lo stanziamento di 120 miliardi di lire per la bonifica generale, seguì nel 1999 l’istituzione del Parco Naturale Regionale Molentargius Saline Poetto che previde tra le finalità del Parco anche quella dello sviluppo delle attività economiche compatibili tra cui la produzione del sale. Oggi infatti il sale marino di Cagliari è diventato un prodotto tipico riconosciuto e ricercato dalla gastronomia nazionale e internazionale come prezioso e ineguagliabile insaporitore di ogni tipo di pietanza, carne, pesce, patate, ecc.