Nel giugno del 1945 il medico igienista e malariologo italiano Alberto Missiroli (1883-1951) annunciò pubblicamente che l’Italia, entro cinque anni, sarebbe stata liberata dalla malaria (da “mal aria”, così era chiamato il morbo che si credeva trasmesso dall’aria malsana). In Sardegna nel 1951 la malattia fu sconfitta sebbene non fu stato possibile eradicare la zanzara-vettore responsabile del contagio all’uomo, l’Anophele labranchiae. Il costo dell’operazione fu in gran parte sostenuto dalla Rockefeller Foundation che registrò l’ultimo caso di terzana maligna nel 1952 e, tre anni dopo, l’Oms richiese la dichiarazione della Sardegna libera dalla malaria, formalità ufficialmente espletata nel 1970.
Fino al 1945 la malaria, assieme alla tubercolosi, era una delle malattie più temute nel mondo, i motivi erano semplici, questi morbi avevano indici di mortalità altissimi:
- nel 2006, nella popolazione degli ultrasessantacinquenni, la mortalità per tubercolosi in Italia registrava ancora valori superiori al 30%;
- nel periodo 2000-2008, ci sono stati 9 decessi di malaria di origine autoctona.
(Fonte: Centro nazionale per la prevenzione delle malattie e la promozione della salute dell’Istituto superiore di sanità )
In Italia il quadro sanitario della popolazione al termine della Seconda Guerra Mondiale era precipitato. Povertà generale della popolazione, sistema sanitario collassato, condizioni igieniche precarie e abbandono delle campagne da parte degli agricoltori, avevano determinato l’aumento vertiginoso di casi di malaria in tutto il paese. Sud Italia, Lazio e Pianura Padana erano le zone più colpite. Prima della Seconda Guerra Mondiale tuttavia, c’erano state politiche di lotta al morbo (vedi Chinino di Stato), ma la messa sotto controllo della malaria non era affatto riuscita. Tuttavia, l’ottimismo di Missiroli ridava nuovo impulso alla ricerca che avrebbe dato esiti positivi negli anni successivi. Del resto, appena due anni prima, c’erano stati i successi dell’uso del DDT nelle campagne napoletane per combattere sia il tifo che la malaria. Ad impiegare questo composto chimico furono le truppe americane che stavano compiendo la risalita verso nord nel tentativo di liberare l’Italia dal giogo nazista. Per gli Alleati l‘obiettivo era prima di tutto militare: proteggere i soldati dalle malattie peggiori che potessero indebolire l’avanzata.
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CHE COS’È LA MALARIA
La “Mal aria” dal nome del morbo che un tempo si credeva venisse contratto dall’aria malsana emanata dalle acque stagnanti è in realtà una malattia causata da protozoi parassiti che vengono trasmessi all’uomo dalla zanzara anofele. Attualmente, nel mondo, circa 500 milioni di persone si ammalano di malaria e circa un milione ne muoiono. Si stima che il 40 % della popolazione mondiale è oggi esposta a questa grave malattia che, un tempo, era diffusa anche in Europa, mentre, adesso, riguarda principalmente i paesi del Terzo e Secondo Mondo: Asia meridionale, Africa, America Latina e America centrale. Assieme alla tubercolosi e all’Aids, la malaria è ancora dunque un’emergenza sanitaria globale. Nelle zone dove il morbo è stato eliminato è la prima malattia d’importazione.
GLI AGENTI PATOGENI DELLA MALARIA
Da un punto di vista scientifico, la conoscenza degli agenti patogeni che causano la malaria, dopo secoli di ignoranza, è ormai una certezza: a causarla sarebbero 4 protozoi che fanno parte del genere Plasmodim: Plasmodium falciparum, che causa la cosiddetta terzana maligna, la forma più grave di malaria in grado di uccidere la persona infetta. Seguono come indice di pericolosità per l’uomo, il Plasmodium vivax e il Plasmodium ovale, agenti di due forme di tersi a benigna, e il Plasmodium malariae, che causa la quartana. Infine, il quinto plasmodio, il knowlesy, che si concentra più sui primati e raramente può infettare l’uomo in una forma di quartana benigna.
IL PROCESSO DI INFEZIONE DELLA MALARIA
L’infezione da malaria avviene a seguito della puntura della femmina di zanzara, una delle 60 specie presenti in natura e appartenenti al genere Anopheles. La zanzara viene essa stessa infettata suggendo il sangue da un soggetto malarico. Perché la zanzara diventi vettore e possa essere infettante, il plasmodio compie un ciclo di sviluppo della durata compresa tra qualche giorno a una o due settimane all’interno dell’insetto. Trasferito nel corpo umano, il parassita, che è ancora allo stato endocellulare, attraversa diversi stadi di sviluppo senza essere intercettato e contrastato dalle difese immunitarie e si va a stanziare, prima nel fegato dove si riproduce invadendo gli stessi epatociti, quindi attacca i globuli rossi dove avviene una seconda diffusione ogni 3 (terzana) o 4 (quartana) giorni. A questo punto il Plasmodio è pronto a infettare una nuova zanzara.
La sconfitta della malaria in Italia
Ancora oggi, l’uso di zanzariere trattate con insetticidi, assieme all’integrazione di farmaci antimalarici, può ridurre l’incidenza della malattia nelle zone endemiche, ma, nell’Italia del secondo dopoguerra, con l’arrivo degli americani, per alcuni decenni fu l’uso intensivo del DDT il principale strumento di lotta alla malaria. Com’è noto dalle cronache e dalle polemiche suscitate dall’opinione pubblica di quel periodo, il DDT, fu applicato senza valutarne l’impatto ambientale a lungo termine e senza fare un intervento integrato tipico della tradizione terapeutica italiana che prevedeva, piuttosto che un uso esclusivo e sbrigativo della chimica, l’avviamento, in contemporanea all’impiego del DDT, di una serie di riforme sociale, di bonifiche dei territori, nonché di un piano di educazione igienico sanitaria che riguardasse soprattutto le fasce più deboli della società italiana: contadini, pastori, soldati e nullatenenti.
CHININO DI STATO
Il “Chinino di Stato” fu la legge approvata il 4 luglio 1895 che consentì la vendita a prezzi controllati presso gli spacci di sali e tabacchi italiani di chinino, il principale farmaco usato per la cura della malaria fino alla fine dell’800 quando fu scoperta la clorochina. Il chinino era prodotto su licenza del Monopolio di Stato ed era considerato un’efficace arma contro la malaria, il flagello che decimava la popolazione rurale italiana. In Sardegna la malaria era così diffusa che nel 1890 colpiva 361 su 364 (il 99%)). Particolarmente interessate erano le zone paludose del Cagliaritano, l’alto Campidano, la bassa Gallura e la Nurra. La malaria, assieme alla tubercolosi, metteva in ginocchio non solo il debolissimo sistema sanitario dell’epoca, ma aveva ripercussioni dirette sull’economia agricola di vaste aree, che, a causa della presenza della zanzara, venivano totalmente abbandonate.
FINE ‘800: IL CHININO DAL TABACCAIO
Il chinino, da “china” il termine generico che in botanica indica alcune specie di piante del genere Cinchona (famiglia delle Rubiacee), si estrae dalle bacche di grandi alberi che vivono sulle alture dell’America del Sud, dell’Asia e dell’Africa. In Italia, fino a quando il Ministero delle Finanze decise di affidare la diffusione del farmaco tramite i Monopoli di Stato, si trovava raramente in commercio. Il primo intento dello Stato, tuttavia, non fu sanitario, bensì economico-finanziario: aumentare le entrate. A fine ‘800, gli studiosi Ronald Ross e Giovanni Battista Grassi, avevano ormai confermato che la malaria si diffondeva grazie al binomio “palude + zanzara anofele” e che, il morbo, colpiva soprattutto le classi umili che vivevano in campagna. La “Società per gli Studi della Malaria” si batté allora perché lo Stato adottasse una politica di diffusione capillare del chinino e che l’operazione fosse senza scopo di lucro perché, ad essere colpite dal morbo, erano prevalentemente la gente povera. Il provvedimento sanitario ebbe una ricaduta positiva sulla lotta alla malaria tanto che, in dieci anni, dal 1895 al 1905, i decessi per questa malattia passarono da 16 000 a 7 838.
SCONFIGGERE LA MALARIA PER CONQUISTARE IL MONDO
Dopo la fine dei due eventi bellici (Prima e Seconda Guerra Mondiale) che misero in ginocchio la politica preventiva e terapeutica contro la malaria, l’Italia, sulla scia delle nuove scoperte scientifiche americane fu interessata dalle nuove sperimentazioni del DDT perché, dall’esito dell’ultimo conflitto, il Bel Paese rientrava nel quadro della politica espansionistica post bellica della nuova potenza globale: gli Stati Uniti d’America. Dopo la “pace condizionata” in Europa, il piano americano prevedeva, infatti, l’insediamento delle basi militari anche nelle regioni più tropicali del pianeta (isole pacifiche appena sottratte al Giappone, Africa subsahariana, America del Sud). Per fare ciò, era necessario inquadrare la lotta alla malaria non tanto come una questione sociale, quanto come un problema entomologico. Si trattava di un approccio nuovo rispetto a ciò che si era visto qualche decennio prima col chinino. Stavolta, al posto delle riforme sociali di più lenta realizzazione, si preferiva l’uso quasi esclusivo della sola tecnologia, la quale (secondo le previsioni propagandistiche americane), avrebbe accorciato drasticamente i tempi di soluzione. Una soluzione che gli europei ritennero parziale, in quanto, rinunciando all’impegno ufficioso di medici, letterati e civili per l’istruzione delle masse indigenti, le principali vittime della malattia, si prediligeva solo l’uso massiccio e indiscriminato dell’insetticida. Fu così che, dopo l’eradicazione dell’Anopheles gambiae in Brasile e in Egitto, nonché la messa sotto controllo su bassa scala in Campania, in Veneto e sull’Agro Pontino, ora, si pensava ad una risoluzione radicale anche in tutto il Mediterraneo.
IL SARDINIA PROJECT
Al termine della Seconda Guerra Mondiale, in Sardegna, la malaria era diffusa in quasi tutti i territori, specialmente nelle aree palustri del Cagliaritano, dell’Alto Campidano (Terralba, Santa Giusta, Oristano), della Bassa Gallura (San Teodoro) e della Nurra (Sassari, Alghero, Stintino). Gli Americani decisero che, considerando l’estensione della Sardegna, la ridotta presenza dell’uomo e l’insularità stessa del territorio, questa regione italiana poteva essere il banco di prova definitivo per una sperimentazione dall’esito positivo dell’uso del DDT su vasta scala. L’obiettivo iniziale era pertanto quello dell’eradicazione della malattia e non solo il controllo come già era avvenuto con successo in Campania e nel Lazio.
CONTROLLO O ERADICAZIONE?
Come è noto agli addetti ai lavoro, per gli epidemiologi, controllo ed eradicazione di una malattia, erano (e sono) due strategie alternative: il primo concetto si basa infatti sulla riduzione dell’incidenza, il secondo mira alla cessazione totale di ogni nuova possibile trasmissione. Al tempo stesso, un piano di controllo ha una durata anche indefinita, mentre, l’eradicazione, prevede tempi di attuazione e termine stabiliti con la massima approssimazione. Infine vi è una differenza sui costi: una politica di controllo ha una spesa costante ma bassa, una di eradicazione, invece, ha costi immediati e alti.
IL COLLASSO DEL SISTEMA SANITARIO LOCALE
In Sardegna tutte le politiche antimalariche si erano interrotte durante la Seconda Guerra Mondiale. Nel 1945, a fine conflitto, bisognava riorganizzare tutta l’assistenza. Nel 1943 i morti per malaria erano già passati dagli 88 del 1940 a ben 527. I fattori che determinarono questa nuova recrudescenza erano tutti legati all’evento bellico: la crisi alimentare, la sospensione delle bonifiche, l’esodo degli sfollati a seguito dei bombardamenti, l’esaurimento delle scorte dei farmaci antimalarici.
LA FONDAZIONE ROCKFELLER
Al collasso del sistema sanitario nazionale e locale del secondo dopoguerra venne in aiuto, per ciò che riguardava la Sardegna, la proposta di eradicazione degli anofeli con l’uso del DDT da parte della Fondazione Rockfeller (Stati Uniti). Questa organizzazione filantropica fu creata nel 1913 da John Davison Rockefeller e da suo figlio John Davison Rockefeller jr che erano i proprietari della società petrolifera Standard Oil. Lo scopo dell’istituzione era di ” […] promuovere il benessere del genere umano in tutto il mondo”. La Rockfeller nel corso della sua storia aveva già operato ovunque con programmi di ricerca nella sanità , nell’agricoltura, nelle scienze sociali e nelle arti. Fino al 1951 si era battuta per l’eradicazione di alcune malattie da determinate aree del pianeta che erano state di notevole rilevanza sociale come: la tubercolosi, il tifo, la febbre gialla, la malaria o l’anchilostomiasi. La politica della fondazione si basava soprattutto sulla promozione della salute e dell’informazione igienica così da stimolare i governi locali a creare strutture sanitarie più efficienti.
LA ROCKFELLER IN SARDEGNA
In Italia la Fondazione Rockefeller dette il suo contributo determinante per l’eradicazione della malaria. Nel 1925 già era nata la Stazione Sperimentale per la Lotta Antimalarica, affidata alla direzione del malariologo Alberto Missiroli che fu all’avanguardia mondiale nella lotta a questo morbo. Nel 1946, sulla scia del finanziamento americano Piano Marshall, la Fondazione Rockfeller, partecipò all’eradicazione della malaria in Sardegna, mediante l’uso del DDT.
LE CAVALLETTE DEL ’46
La scelta della Sardegna come sede dell’esperimento di eradicazione su vasta scala della malaria nel Mediterraneo, avvenne dopo una consultazione dei rappresentanti della Rockfeller, il malariologo Missiroli e i governi italiano e americano. In un primo tempo era stata valutata l’ipotesi di realizzarlo sull’isola di Cipro, ma lo scienziato italiano, forte della sua credibilità mondiale, influenzò la decisione finale verso la Sardegna. Lo stanziamento fu di 50 milioni di dollari e l’intervento venne fatto appena dopo un altro disastroso episodio che colpì le campagne sarde: l’invasione di cavallette del 1946 che rase al suolo ettari di terreno coltivato nel Campidano centrale. La lotta alle locuste mise in crisi la debole logistica dei trasporti della Sardegna meridionale, perché furono necessarie tonnellate di gammexine spruzzate con gli aerei e nuvole di monocloridrina diffuse con impianti nebbiogeni direttamente montati sui treni.
ESPERIMENTO O MISURA SANITARIA?
Sul Sardinia Project fin dalla sua presentazione agli enti governativi, vi furono tuttavia pareri contrastanti: il biologo Marston Bates pose subito il dubbio che la programmazione nascondesse più che un intervento di natura sanitaria, una vera e propria sperimentazione sul campo; Marcus Hall fu più esplicito: «Today Sardinia, Tomorrow the World» (” Oggi la Sardegna, domani il resto del mondo”). Per il sovraintendente del Progetto J.A. Logan invece, al momento dell’applicazione mancavano informazioni e studi circostanziati e attendibili sulla specie indigena di zanzara che si voleva eradicare. Addirittura non erano conosciuti la distribuzione territoriale del vettore, l’habitat ideale e il comportamento stagionale. Sullo sfondo di queste incertezze rimaneva chiaro invece che le disponibilità finanziarie avevano un tempo limitato e infine, stando alle posizioni degli entomologi della Rockefeller “le preoccupazioni per gli aspetti ecologici erano inutili prima della prova sul campo del DDT perché alcuni dati era possibile acquisirli solo ad eradicazione iniziata”.
IL CAMBIO DI DIREZIONE ALL’AVVIO DEI LAVORI
Dopo un anno di ritardo dalla data preventivata, il 6 novembre 1946 (cinque mesi dopo la battaglia contro le cavallette), partì finalmente la campagna di eradicazione dell’Anopheles labranchiae, coordinata da John Austin Kerr reduce dalla vittoriosa lotta contro la zanzara in Egitto. Ecco in sintesi i passaggi più importanti dell’operazione di irrorazione col DDT:
- novembre 1946/ giugno 1947 – Obiettivo: sterminare le zanzare adulte – le abitazioni di 284 comuni su 326 furono investite dal potente insetticida. Lo spruzzo interessò stanze da letto, cucine, zone comuni, stalle domestiche;
- aprile 1947/ ottobre 1947 – Obiettivo: sterminare le larve. Impiego massiccio di una miscela di DDT e nafta nelle principali zone umide della Sardegna;
- estate del 1947 – Attivazione dei corsi per gli addetti alla campagna antilarvale con lezioni di entomologia, lettura delle mappe, individuazione e segnalazione dei focolai, statistica, rifornimenti e pratiche burocratiche. Durante quest’operazione di selezione del personale sardo, gli americani avanzarono alcune riserve sull’affidabilità della manodopera locale, la quale, ” poteva essere reclutata più attraverso raccomandazioni dei politici locali che sulle capacità e competenze curricolari”.
LA STRAORDINARIA RESISTENZA DELL’ANOFELE
Durante l’intenso periodo di lotta alla malaria in Sardegna era emerso chiaramente dalle indagini di entomologia che l’ Anopheles labranchiae era la zanzara-vettore responsabile della diffusione del morbo (la zanzara è a tutt’oggi l’animale che miete più vittime al mondo perché uccide ancora 1 milione e 200 mila persone all’anno). L’insetto era infatti una specie indigena che si era insediata nell’isola già prima dell’uomo (la zanzara compare in Sardegna nel Mesozoico, l’uomo arriva solo nel Neolitico) e questo vantaggio evoluzionistico si era tradotto nella capacità di riprodursi e vivere al di fuori del contesto umano, fattore questo che la rendeva ineliminabile. L’Anopheles aveva trovato in Sardegna un ambiente adatto alla sua proliferazione sia in montagna che in pianura e, a differenza delle campagne di lotta effettuate in Brasile e in Egitto, qui, non era sufficiente effettuare un trattamento selettivo agendo prevalentemente su ambienti antropizzati. Teoricamente, infatti, ogni pozza d’acqua era potenzialmente in grado di ospitare le larve dell’insetto killer. La Sardegna era, del resto, allora più di oggi, una terra molto spesso inaccessibile, con grandi aree coperte da fittissima macchia mediterranea che ospitavano gole e raccolte d’acqua nei posti più nascosti. Davanti a tale constatazione, la mastodontica macchina di disinfestazione, approntata dai tecnici della Rockfeller, apparve in difficoltà . I costi sarebbero stati proibitivi.
LA PROPAGANDA LASCIA IL POSTO AL REALISMO
Lo stesso J.A. Kerr, vistando lo stato dei lavori nel giugno del ’46, propose di ridefinire il programma di lotta alla malaria in Sardegna, rimodulando l’obiettivo: dalla “distruzione della zanzara” si doveva passare all’ “eliminazione della malaria”, due concetti tecnicamente diversi rispetto alla propaganda miracolistica degli scienziati americani. Fu così che lo stesso Kerr – convinto che l’eradicazione di una specie indigena sarebbe stato impossibile – chiese il cambio di programma. Richiesta che non fu accolta e che portò l’eroe dell’Egitto ad abbandonare l’incarico alla sovraintendenza. Nel frattempo, scricchiolii sulla credibilità del progetto, arrivarono prima dalla California, dove, numerosi agricoltori lamentarono pubblicamente che le alte concentrazioni di DDT si erano poi ritrovate nel latte degli animali alimentati a foraggio trattato con l’insetticida. E poi, in Italia, dove, i comunisti esclusi dal governo del 1947, attaccarono l’ERLAAS, l’Ente regionale per la lotta anti-anofelica in Sardegna, definendola un’organizzazione neofascista che, dietro l’operazione malaria, in realtà , voleva avviare l’occupazione americana della Sardegna.
GLI AMERICANI VOGLIONO UN RISULTATO
Ma gli americani e la stessa Rockfeller erano ormai decisi ad andare avanti. Fu sostituito il sovraintendente (incarico affidato a John Alexander Logan) e si avviò una radicale rivisitazione dell’impianto tecnico-amministrativo. Furono sanate le influenze parentali negli incarichi d’ufficio con una struttura gerarchica e piramidale; fu ridefinito il mappale d’intervento con la suddivisione della Sardegna in micro-aree e distretti e, soprattutto, furono creati due reparti ad hoc: uno per la zanzara adulta e uno per le larve. Fu Logan stesso, in una dichiarazione, a confermare la nuova linea dicendo chiaramente che “[…] la distruzione della malaria in Sardegna sarebbe stata un banco di prova definitivo per la storia della medicina preventiva nel mondo”.
- LA CAMPAGNA CONTRO LE ZANZARE ADULTE (7. 11. 1947 / 15. 02. 1948)
Questo intervento consistette nell’irrorazione massiccia di DDT presso: case private, edifici pubblici, fabbriche, stalle, cave, grotte, tombini. Furono esclusi da questa operazione i centri delle città più grandi (Cagliari e Sassari). Al termine delle disinfestazioni sugli ingressi veniva impresso un numero di contrassegno.
- LA CAMPAGNA CONTRO LE LARVE (15. 02. 1948)
Ultima parte della strategia fu la battaglia definita decisiva per le sorti dell’intera operazione. Il DDT fu spruzzato con pompe a mano, a spalla o con mezzi aerei tipo monoplani messi a disposizione dall’Aeronautica Militare in ogni focolaio larvale: furono liberate le distese umide di macchia mediterranea, i letti dei torrenti, aperti canali di scolo e disinfestate anche le coperture delle piante acquatiche. Alcuni varchi più impervi furono aperti con la dinamite.
I LATITANTI IMPEDISCONO LE DISINFESTAZIONI
La lotta senza quartiere alla peste millenaria che aveva generato tanti lutti in Sardegna era in pieno svolgimento ancora a fine 1948. Gli “impicci” al funzionamento della macchina organizzativa furono di ogni tipo: i sindacati che chiesero l’equiparazione dei lavoratori agli operai industriali con relativo aumento di salario; l’assenteismo che continuò a imperversare sia negli uffici che sul campo; le numerose rapine ai lavoratori nei giorni delle paghe; alcuni proprietari terrieri che minacciarono i disinfestatori per paura che l’insetticida inquinasse pozzi e falde acquifere; i latitanti che impedivano con le armi in pugno a chiunque di avvicinarsi alle zone controllate da loro per timore che tra i lavoratori vi fossero pure carabinieri.
1950: L’ANNO DELLA SVOLTA. NESSUN MALARICO
Nel frattempo, dal mese di luglio del 1948, le zanzare cominciarono a diminuire anche se l’eradicazione rimaneva lontana. Tra il 1949 e il 1950, le campagne furono nuovamente aggiornate e furono catalogati 1 milione e 250 mila focolai. I casi di malaria nel ’48 si dimezzarono rispetto all’anno prima e registrarono 121 casi, mentre, nel 1949 passarono a 1314. Nel 1950 invece, per la prima volta nella storia della Sardegna, nessuna persona si ammalò di malaria. Era quasi chiaro che, sebbene la guerra all’eradicazione della malaria in Sardegna non era stata vinta, la riduzione della densità del numero di zanzare aveva portato alla temporanea scomparsa della malattia sull’uomo.
LA SARDEGNA NELLA GRANDE STORIA DELLA MEDICINA MONDIALE
A distanza di alcuni decenni, il “Sardinian Project”, il progetto di controllo e di lotta alla malaria in Sardegna, è entrato a far parte degli eventi storici più importanti del ‘900. Sebbene non sia stato unanime il parere positivo dell’intervento, c’è chi ha tentato di guardare il bicchiere mezzo pieno con dichiarazioni incoraggianti. Dean Rusk, il presidente della Rockefeller Foundation definì il “Sardinian Project” un «successo negativo»; lo storico della malaria in Italia F.M. Snowden, disse più sinteticamente che: «Dal punto di vista dei suoi obiettivi formali, il progetto fallì, ma dal punto di vista della salute della popolazione, fece registrare una vittoria schiacciante».
LA MALARIA OGGI NEL MONDO
Secondo le analisi epidemiologiche pubblicate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità al World Malaria Report 2016, la malaria registra ancora circa 212 milioni di casi nel mondo. Il morbo colpisce il 70% dei bambini in età inferiore ai 5 anni (nel mondo ne muore uno ogni due minuti), specialmente nel continente africano dove nel 2015 ci sono stati ben 292 mila casi.
2014 ULTIMO CASO AUTOCTONO IN EUROPA
Sebbene, siano diminuiti i tassi di incidenza e mortalità , l’Africa, con il 90% di casi di malaria nel mondo precede le regioni del Sud-Est asiatico (7%) e del Mediterraneo orientale (2%). Netti miglioramenti si sono avuti tra il 2010 e il 2015 nel Pacifico Occidentale (-46%), nella Regione delle Americhe (-37%) e nel Mediterraneo orientale (-6%). In Europa invece, solo nel 2014, si è verificato un caso registrato a luglio nel Tajikistan europeo, mentre, nel 2015 non sono stati registrati casi di malaria autoctoni.
IL DDT
La parola DDT è l’acronimo del nome composto incolore “para-diclorodifeniltricloroetano”, fortemente idrofobico e odorante di clorurato. Questo solido ha una buona solubilità a contatto con solventi organici come grassi e oli, mentre, è quasi insolubile nell’acqua. Il DDT è stato il primo insetticida moderno e fu scoperto nel 1939 dal chimico svizzero Paul Hermann Mà¼ller (invenzione che gli valse il Nobel in Fisiologia e Medicina «…per la scoperta della grande efficacia del DDT come veleno da contatto contro molti artropodi»). In realtà Mà¼ller era alla ricerca di un prodotto per combattere efficacemente i pidocchi. Come prodotto chimico, tuttavia, il para-diclorodifeniltricloroetano, era già stato sintetizzato dall’austriaco Othmar Zeidler nel 1873. Il DDT, quando fu scelto come insetticida contro la zanzara anofele responsabile della malaria, si pensò che la forte tossicità verso gli insetti non avesse conseguenze sull’agricoltura e sull’uomo, ma già dopo alcuni anni di uso massiccio sia in ambienti civili che militari, nel 1950, la Food and Drug Administration dichiarò che «… i rischi potenziali del DDT erano stati sottovalutati». Numerosi erano stati nel frattempo i tentativi di eradicazione della malaria nei più impervi angoli del mondo: Brasile, Egitto, Stati Uniti e Sud Europa. In Sardegna la malaria fu messa sotto controllo a fine anni ’40 con uno storico intervento finanziato dalla Rockfeller Foundation, ma, nello stesso periodo, gli agricoltori della California, già lamentavano avvelenamenti di piante e prodotti derivati dall’agricoltura. Inoltre, molti contadini sardi si opposero alle campagne di disinfestazione per timore che l’insetticida avvelenasse acque e terreni. Nel 1962, l’ambientalista americana, Rachel Carson, nel suo libro “Primavera silenziosa“, scriveva che il DDT era cancerogeno per l’uomo e dannoso per la riproduzione degli uccelli, in quanto assottigliava lo spessore del guscio delle uova. Nel 1972, il DDT fu proibito in agricoltura negli Stati Uniti e nel 1978 fu messo fuori legge anche in Italia. Oggi, per l’Unione europea, il DDT ha un fattore di rischio R40, ovvero “Possibilità di effetti cancerogeni”, così come l’Agenzia Internazionale per il Cancro I’ARC lo definisce come “possibile cancerogeno”. Attualmente, dove la malaria è una malattia endemica come il continente africano e l’India, si ritiene che la sua efficacia contro la malaria sia più importante degli effetti collaterali che potrebbe portare all’uomo, quindi, nel 2006, l’OMS, ha ufficialmente dichiarato che il DDT, pur se usato correttamente, non produrrebbe rischi per la salute umana: l’insetticida è parte integrante dei sistema di lotta alla malaria nel mondo, assieme alle zanzariere e ai medicinali.