Gonnosfanadiga, Gonnos in sardo, è un piccolo paese di poco più di 6 mila abitanti (denominati i “gonnesi”) che si trova sul versante centro-occidentale della provincia del Sud Sardegna. L’abitato comprende nel suo comune anche la frazione di Pardu Atzei che si trova a trenta chilometri di distanza, alle pendici del monte Arcuentu, tra Guspini e Arbus. Un tempo il paese era diviso in due villaggi, separati dal Rio Piras: Gonnos, a monte (Gonnos da “Gon” vuol dire “luogo elevato”) e Fanadiga a valle (da “Fanum”, luogo sacro).
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La geografia di Gonnosfanadiga
Il territorio di questa rigogliosa comunità si estende a nord-est sulla pianura del Medio Campidano dove abbondano terreni agricoli con frutteti, agrumeti, orti e oliveti (il territorio è noto produttore di un eccellente olio d’oliva) e a sud-ovest verso il massiccio di Monte Linas ricco di boschi d querce, tassi, lecci e la sempre presente macchia mediterranea. Gonnosfanadiga si adagia su un’area vulcanico-alluvionale ricca di paludi ai piedi della montagna la cui vetta più alta è Punta Perda de sa Mesa (1.236 metri) che, tra le sue rocciosità di scisto e granito, ospita anche storici giacimenti minerari.
L’abitato di Gonnosfanadiga è attraversato dal Rio Piras, un fiume a carattere torrentizio che ha svolto, sin dall’antichità , un ruolo fondamentale per l’insediamento dei primi villaggi. Numerose sono infatti le testimonianze di un passato remoto dell’area, tra cui, in località Pal”e Pardu, si trovano i resti di uno dei più antichi nuraghi della Sardegna che, secondo le descrizioni archeologiche, potrebbe essere collocato addirittura nell’architettura protonuargica.
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I Fenici a Gonnos
Nonostante la vicinanza del mare, che dal paese dista poco più di quaranta chilometri, non vi sono attestazioni di passaggio o presenza fenicia, sebbene, è proprio da quel versante centro-occidentale della costa sarda che approdarono i primi esploratori mediorientali sull’isola (VEDI: CORNUS).
È realistico tuttavia ipotizzare che la vicinanza di Gonnos con due aree che sono state luogo di frequentazione certa da parte dei fenici, come Nabui e Antas, le relazioni tra gli indigeni e i colonizzatori venuti dal mare fossero state possibili.
Dopo l’epoca fenicia, intercettata seppur lievemente, il territorio di Gonnos entrò nella grande storia con l’arrivo dei Romani, che usarono la fertile pianura come sede di accampamenti e fortificazioni militari, sede logistica per le incursioni nelle zone più inaccessibili della Sardegna.
Il feudalesimo a Gonnosfanadiga
Seguirono, tra la dominazione bizantina e la caduta degli aragonesi, alterne vicende di nuovi insediamenti in villaggi sparsi; l’introduzione di nuove culture, come quella evangelica dei monaci greci intorno al VI secolo a.C. e l’appartenenza alla contea di Quirra (LEGGI QUI: Il Castello di Quirra), fino al consolidamento del sistema feudale che consentì alle famiglie gonnesi di beneficiare in proprietà esclusiva di grandi appezzamenti terrieri (fino all’800 oltre il 90% dei nuclei familiari era proprietario di un terreno). Nel frattempo, il piccolo centro, di cui, attestazioni del nome già erano comparse nei documenti del 1700, si preparò, con l’abolizione del sistema feudale, ad entrare negli anni difficili e travolgenti del Secolo Breve, quando, la diffusione del commercio meccanizzato ai primi del ‘900, consentì alle ricche produzioni agricole, casearie e artigianali di essere monetizzate anche con ricchi guadagni.
Il bombardamento alleato di Gonnosfanadiga
Il contributo alla nazione ai grandi conflitti mondiali di Gonnos e della Sardegna poteva essere sufficiente sul finire dell’ultima guerra, ma la sorte, nel 1943 ha deciso che il conto andasse saldato con un credito, un credito pesante di morte e distruzione contrassegnato dallo stupore e dallo sbigottimento prima ancora della spiegazione razionale. È così che nella confusione tipica della guerra, anche Gonnosfanadiga dovesse subire per malasorte il peso di un’umiliazione: l’essere entrata sotto tiro di un bombardamento alleato senza che ci fosse nessuna ragione militare. Era il 17 febbraio del 1943, in piena Seconda Guerra Mondiale, quando Gonnosfanadiga e il suo territorio, furono sottoposti a un violentissimo bombardamento alleato (oltre 400 bombe a frammentazione) da parte delle Forze armate statunitensi. L’evento fu la causa di 96 morti (di cui 25 bambini) tra gli abitanti del piccolo paese, a cui si aggiunsero numerosi feriti e invalidi permanenti. Durante l’assalto, gli aerei presero di mira zone specifiche dell’abitato, come via Porru Bonelli, via Guglielmo Marconi e via Cagliari.
A tutt’oggi il bombardamento risulta un fatto incomprensibile da un punto di vista militare, dal momento che Gonnosfanadiga non era un luogo strategico e neanche sede di stoccaggio di arsenali, ma solo un piccolo centro agricolo. Nessun riconoscimento dell’errore da parte del governo americano; nessun risarcimento alla popolazione e per questi motivi il bombardamento del 17 febbraio 1943 è definito “L’Eccidio del ’43” sebbene neanche il riconoscimento di “crimine di guerra” sia mai stato giuridicamente attestato.
Secondo la dinamica ricostruita da militari italiani che hanno assistito all’evento, come l’ufficiale dell’Esercito Carlo Nurchi (Fonte: Unione Sarda), il bombardamento su Gonnosfanadiga si svolse con un cielo parzialmente nuvoloso, dove lo stormo di aerei americani B-25 Mitchell furono preceduti da un caccia che aprì la strada e che solo un bombardiere fece lo sgancio degli ordigni.
Medaglia di Bronzo al Merito Civile di Gonnosfanadiga
Per il tragico episodio del bombardamento del ’43 è stato riconosciuto alla popolazione gonnesina la Medaglia di Bronzo al Merito Civile, in quanto la popolazione “si adoperò nel soccorso alle vittime e riprese il cammino della ricostruzione”.
La ricostruzione dopo il bombardamento alleato
Dopo il massacro del ’43 Gonnosfanadiga dovette riprendere il suo cammino di centro agricolo e dovette ben presto fare i conti con una faticosa ricostruzione. Per la popolazione, già nota per la sua operosità , fu una fatica in più che durò quindici anni, tempo durante il quale il paese riprese in mano le redini della sua economia a vocazione agricola e pastorale e ridisegnò, senza stravolgerlo, il proprio abitato che doveva essere adattato come in passato all’orografia del terreno. Un terreno contrassegnato dal passaggio del Rio Piras, il grande corso d’acqua che dalle pendici di Monte Linnas scende a valle e la occupa con letto non sempre in grado di stare sugli argini, con cui si era scelto di convivere.
I pozzi pubblici
Il rapporto con l’acqua è stato dunque il fulcro dell’economia (agricoltura e pastorizia) ma anche dell’urbanistica di Gonnosfanadiga. Lo dimostra la cinquantina di pozzi pubblici dislocati per le vie del paese. Si tratta di storiche opere artificiali che rappresentano un’identità del luogo, tanto che alcune danno il nome alle vie su cui giacciono. I pozzi costruiti a cavallo tra ‘800 e ‘900 servivano, come ovvio, per il prelievo dell’acqua sotterranea col fine di distribuirla a tutti. L’accesso era libero. La loro importanza per l’alimentazione e l’igiene della popolazione tuttavia è venuta meno quando l’abitato è stato interessato da un sistema di tubazioni che ha portato l’acqua nelle case, ma, fino alla metà degli anni ’50, erano ancora assiduamente utilizzati per l’approvvigionamento domestico. La memoria storica dei pozzi pubblici è rimasta anche in tempi moderni, in quanto sono utilizzati come luogo di ritrovo e fonte di refrigerio nelle calde giornate estive.
Il Rio Piras
Il Rio Piras è il fiume più importante di Gonnosfanadiga. Il corso d’acqua attraversa l’abitato per tutta la sua estensione dividendolo in due parti: Gonnos e Fanadiga che in origine erano due borghi. Lo si attraversa con numerosi ponti pedonali o carrabili e in alcuni punti è possibile – nei periodi di magra – anche guadarlo con l’auto passando da una sponda all’altra con relativa sicurezza. La costruzione delle case – realizzate con materiale recuperato dal fiume stesso – si trovano a ridosso del corso d’acqua e ciò ha reso l’abitato particolare, tanto che, in alcuni tratti, la bellezza è di un paesaggio pittoresco. Le sponde sono percorse parzialmente da vie pedonali o carrabili; vi è l’opportunità di visitare resti di antichi mulini ad acqua; la vegetazione ovunque si prende lo spazio che il fiume gli consente, aggiungendo al paesaggio cromature varie a seconda della stagione.
Il pane di Gonnosfanadiga
Assieme a Santadi, Ozieri e Villaurbana, anche Gonnosfanadiga è un comune sardo che è entrato a far parte dell'”Associazione Nazionale Città del Pane” che comprende oltre 40 comuni italiani impegnati nel riconoscimento e nella valorizzazione dei pani storici, quelli per intenderci che rispecchiano fedelmente una comunità , il suo territorio e la sua identità .
Il paese di Gonnosfanadiga con la sua variegata produzione agricola non poteva che avere anche un settore legato alla lavorazione del grano e alla produzione del principale alimento umano, il pane.
Sa Moddixina, Sa Lada, Su Civraxiu, Sa Pillunca, il Pane Coccoi di semola e i pani aromatizzati alle olive o con la ricotta, rappresentano il frutto di una sapiente lavorazione del pane che è cominciata già in epoca romana, quando Gonnosfandiga non esisteva ma l’area era un accampamento militare e numerosi erano i villaggi che riunivano le loro genti vicino al fiume Rio Piras.
Su Civraxiu
È un pane speciale la cui origine è probabilmente romana. Si parla di un legionario di nome Vargio che con la semola di grano duro inventò questo tipo di pane, il quale prevede una lavorazione anticipata di un giorno per oltre il 40% dell’impasto e una seconda lavorazione a mano il giorno dopo. Dopo di che si ottiene una pasta lisca ed elastica che deve essere posta dentro un contenitore di terracotta, la xifedda, coperta e lasciata a riposo per farla lievitare a temperatura ambiente per oltre due ore. Il procedimento di lavorazione riprende poi con la realizzazione delle forme anch’esse accompagnate alla lievitazione che avviene stavolta all’interno di contenitori di giunco, la parinedda, sempre coperti da teli rigorosamente puliti. Al termine di questa fase avviene l’infornata.