Salvatore Fancello è considerato uno degli esponenti più significativi della storia dell’arte italiana del Novecento. La sua vicenda artistica riflette in maniera profonda le radici culturali della Sardegna e, in particolare, della comunità di Dorgali, che ne influenzò in modo determinante la sensibilità e l’ispirazione creativa.
Proprio Dorgali, suo paese natale, rappresentò per Fancello non solo il luogo delle origini, ma anche una costante fonte di suggestioni: tradizioni, forme e atmosfere della cultura locale riaffiorano infatti nelle sue opere, rendendolo un punto di riferimento per la storia dell’arte sarda e italiana.
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📌 Scheda informativa – Francesco Ciusa e la ceramica sarda
👤 Nome: Francesco Ciusa (Nuoro, 1883 – Cagliari, 1949)
🏛️ Ambito: Scultura e ceramica artistica
🗓️ Anno chiave: 1919 – fondazione a Cagliari della “Società per l’Industria Ceramica Artistica”
Produzioni: Manufatti in terracotta rustica ispirati alla tradizione popolare sarda
📍 Influenza: Precursore della ceramica artistica in Sardegna
🎨 Eredi: Federico Melis e Vincenzo Farci (Assemini), Ciriaco Piras (Dorgali)
🔗 Legame con Fancello: I disegni di Salvatore Fancello furono utilizzati da Ciriaco Piras, contribuendo alla diffusione della ceramica d’arte sarda
Una famiglia numerosa a Dorgali
Salvatore Fancello nacque a Dorgali nel 1916, penultimo di undici figli di una famiglia numerosa e profondamente radicata nella comunità barbaricina. Le origini umili e il contesto familiare rappresentarono per lui un terreno fertile di ispirazioni: la vita quotidiana, le tradizioni e i valori della sua gente sarebbero riemersi spesso nelle sue opere, trasformandosi in segni e simboli di forte identità culturale.
Le prime collaborazioni con i maestri
Dopo il diploma conseguito nel 1929 presso le Scuole Professionali, Fancello trovò la sua prima “palestra” artistica nel laboratorio di Ciriaco Piras, erede dello scultore Francesco Ciusa. Qui iniziò a confrontarsi con la pratica professionale, realizzando i disegni che sarebbero poi diventati base per la produzione dello stesso Piras.
Già dagli anni della scuola elementare, però, Fancello aveva mostrato un innato talento per il disegno: uno stile rapido, nervoso e frammentato, che si sarebbe consolidato in una personale reinterpretazione della tradizione artistica sarda, aprendo la strada a una poetica originale e innovativa.
Gli anni ’30: la formazione a Monza
Nel 1930, grazie a un premio in denaro vinto con un concorso, Salvatore Fancello lasciò Dorgali per iscriversi all’ISIA di Monza (Istituto Superiore per le Industrie Artistiche). Fu una svolta fondamentale per la sua carriera. Tra i compagni di corso figuravano altri due futuri protagonisti dell’arte e del design sardo: il pittore e designer Giovanni Pintori, originario di Tresnuraghes, e lo scultore Costantino Nivola di Orani.
L’ambiente monzese, cosmopolita e aperto alle avanguardie europee, offrì a Fancello l’opportunità di sviluppare il suo linguaggio artistico, fondendo la tradizione sarda con le nuove tendenze del design e dell’arte applicata.
Prime opere e il legame con Olivetti
In pochi anni, Fancello passò dagli studi alle prime esposizioni nazionali. Nel 1935 realizzò il celebre “Bestiario”, un’opera in terracotta che sintetizzava le tecniche apprese in accademia, unendo elementi di ceramica, lavorazione metallica e composizione plastica. Le figure del Bestiario mescolavano con ironia e immediatezza la fauna tipica della Sardegna — capre, pecore, daini — con richiami al mondo coloniale allora in auge, raffigurando leoni, giraffe e zebre.
Negli stessi anni, Fancello intrecciò rapporti artistici e professionali con il maestro Ferraresso (Padova), con il conterraneo Nivola (Torino) e con l’architetto Giuseppe Pagano (Milano), che ne sostenne la crescita fino al pieno riconoscimento critico.
Come Nivola e Pintori, anche Fancello entrò a far parte del laboratorio razionalista di Olivetti, la storica industria di macchine da scrivere. Proprio in quegli anni l’azienda affidava a un gruppo di artisti e designer sardi il compito di costruire l’immagine del marchio, destinata a diffondersi anche negli Stati Uniti.

La chiamata alle armi (1937)
Nel 1937, proprio mentre si trovava all’apice della sua crescita artistica e stringeva amicizie con importanti ceramisti italiani, Salvatore Fancello dovette rispondere alla chiamata alle armi. L’Italia, reduce dall’occupazione dell’Etiopia, si preparava a nuovi scenari bellici e il giovane artista venne arruolato.
L’esperienza militare, seppur difficile, non fu del tutto infruttuosa: nel 1938 conobbe lo storico e critico dell’arte Cesare Brandi, e il suo nome apparve sulla rivista “Corrente” in un articolo di Giulia Veronesi, che ne riconosceva il talento emergente.
Il dono a Nivola e la Triennale
Sempre nel 1938, Fancello realizzò il celebre “Disegno ininterrotto”, un lungo acquerello a china su carta per telescrivente, che donò come regalo di nozze all’amico Costantino Nivola e a Ruth Guggenheim.
Nel 1940, a Milano, conseguì il diploma d’onore dopo aver lavorato alla VII Triennale di Milano, importante vetrina internazionale del design e delle arti applicate. In quello stesso periodo, una sua opera in ceramica smaltata fu collocata nella sala mensa dell’Università Bocconi di Milano, segno del riconoscimento che stava ottenendo nel panorama artistico nazionale.
La guerra e la morte prematura
L’obbligo militare, che inizialmente non aveva soffocato la sua creatività, segnò però il destino di Salvatore Fancello. Nel 1941 venne inviato sul fronte greco-albanese, dove trovò la morte il 12 marzo 1941 a Bregu Rapit (Albania).
Aveva appena 25 anni. Solo nel 1962 le sue spoglie furono riportate a Dorgali, il suo paese natale, dove ancora oggi riposa e dove la sua memoria continua a vivere attraverso le opere e il ricordo della comunità.
L’eredità artistica di Salvatore Fancello
Nonostante la morte prematura, avvenuta a soli 25 anni, Salvatore Fancello lasciò un segno profondo nella storia dell’arte italiana e sarda del Novecento. Le sue opere, caratterizzate da un tratto rapido e incisivo, uniscono la forza delle radici culturali dorgalesi con le influenze delle avanguardie artistiche frequentate a Monza e Milano.
Il suo “Disegno ininterrotto” è considerato uno dei lavori più rappresentativi delle arti visive italiane del periodo prebellico e testimonia l’originalità del suo linguaggio. L’amicizia e la collaborazione con artisti come Costantino Nivola e Giovanni Pintori contribuirono a creare un vero e proprio laboratorio sardo di creatività che, partendo da Olivetti, arrivò a diffondere nel mondo un nuovo modo di intendere l’arte, il design e la comunicazione visiva.
Oggi, molte delle opere di Fancello sono conservate a Dorgali, nella collezione a lui dedicata, e rappresentano un punto di riferimento per chi voglia comprendere non solo l’evoluzione dell’arte sarda, ma anche il legame profondo tra identità locale e linguaggio universale dell’arte.
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Il riconoscimento postumo e la Pinacoteca di Brera
Il primo grande riconoscimento della sua opera arrivò dopo la morte, con una mostra organizzata presso la Pinacoteca di Brera a Milano, nel 1942. In quell’occasione furono esposte molte delle sue creazioni – disegni, ceramiche e sculture – provenienti da collezioni private.
Tra queste figuravano anche opere appartenute alla famiglia Mussolini, a testimonianza di quanto il talento di Fancello fosse già noto e apprezzato in vita, nonostante la brevità della sua carriera. La retrospettiva di Brera sancì così l’ingresso ufficiale dell’artista dorgalese nella storia dell’arte italiana del Novecento, fissandone per sempre il nome tra i giovani maestri scomparsi troppo presto.
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L’arte di Salvatore Fancello
La produzione artistica di Salvatore Fancello spaziò tra plastica decorativa, disegno, scultura e ceramica. Molti dei suoi lavori rimasero allo stadio di schizzi e bozzetti, ma già in essi emergeva con forza la fantasia visionaria e la straordinaria capacità pittorica che lo caratterizzavano.
Il percorso creativo di Fancello può essere riassunto in tre ambiti principali: disegno, scultura e ceramica.
Dieci anni di genio: il disegno
La ricerca grafica di Fancello si svolse in appena dieci anni, dal 1930 – quando si trasferì a Monza per frequentare l’ISIA – fino al 1941, anno della sua morte prematura ad appena 25 anni.
Si contano oltre settanta opere grafiche, molte purtroppo disperse, che testimoniano la sua versatilità tecnica: dai nudi femminili ai paesaggi di campagna e di città, realizzati con strumenti diversi come inchiostro, china, carboncino, acquerello e perfino graffiti su carta. Questa varietà conferma la ricchezza del suo linguaggio visivo e la sua capacità di sperimentare.
I maestri e le influenze di Salvatore Fancello
Nel suo percorso Fancello si formò con grandi maestri del Novecento: Raffaele De Grada, Arturo Martini, Giuseppe Pagano, Marino Marini, Pio Semeghini. Ma la sua prima guida fu il compaesano Ciriaco Piras, che a sua volta si era formato con Francesco Ciusa, il più importante scultore sardo del secolo.
Da loro assimilò tecniche e sensibilità, ma seppe rielaborarle in uno stile personale, capace di coniugare il mondo sardo tradizionale con le avanguardie artistiche europee.
Scultura e ceramica: tra sogno e ironia
Accanto al disegno, Fancello sviluppò un linguaggio potente nella scultura e nella ceramica. I suoi soggetti raffiguravano spesso animali reali e fantastici, interpretati in chiave surreale, fiabesca e bizzarra, senza mai rinunciare a un sottile senso di ironia sulla vita umana.
Questa capacità di oscillare tra il simbolico e l’umoristico, tra il reale e l’immaginario, rende le sue opere ancora oggi vive e attuali, testimonianza di un talento che seppe superare i confini della sua epoca.
MUSEO SALVATORE FANCELLO
Corso Umberto, 37 – 08022 Dorgali. Tel. 0784.927242 – 0784 927250 – Fax: 0784 94288. Ingresso gratuito.
La mano di Ciusa dietro quella di Fancello
La storia della ceramica artistica in Sardegna viene fatta iniziare nel 1919, quando lo scultore nuorese Francesco Ciusa aprì a Cagliari la Società per l’Industria Ceramica Artistica. La ditta, attiva per soli sei anni, produsse manufatti in terracotta rustica ispirati ai temi della tradizione popolare sarda, lasciando però un’impronta decisiva per lo sviluppo dell’arte ceramica isolana.
Su quel solco si mossero altri protagonisti della scena artistica sarda, come Federico Melis di Assemini, che insieme a Vincenzo Farci fondò la prima scuola-bottega di ceramica, e soprattutto il dorgalese Ciriaco Piras. Quest’ultimo, nella sua intensa attività a Dorgali, si avvalse dei disegni di Salvatore Fancello, trasformandoli in opere ceramiche di grande valore.
Fancello, dal canto suo, attinse a piene mani dalla tradizione sarda, reinterpretandola con uno stile originale fatto di linee spezzate e segni rapidi, che gli permisero di distinguersi come uno degli artisti più innovativi e visionari del panorama del Novecento.
