Boris Elistin è stato il primo presidente della Russia post sovietica, dal 1992 al 1999. Egli fu fin da subito un acceso sostenitore dell’introduzione del liberismo in ambito politico-economico e dell’affrancamento della Russia dalla vecchia economia pianficata di stampo comunista.
L’annientamento di Gorbaciov
Dopo aver sostenuto la linea riformista di Gorbaciov, lo contestò subito per la lentezza con cui questi stava introducendo le riforme della cosiddetta “perestorjka”, al punto che divenne ben presto il suo avversario politico in grado di fagocitarlo in pochi passaggi elettorali.
Via libera al capitalismo americanista
Durante il suo mandato, Elstin dovette rompere anche gli ultimi vincoli comunisti rimasti in piedi dopo la fine dell’Unione Sovietica (dicembre 1991), indebolendo il Parlamento e orientando la Russia verso un sistema presidenziale. Dal 1992 al 1999 ebbe in tutto due mandati. Sostenuto in primis dalle oligarchie nascenti che sostenevano a tutta forza il cambiamento verso il capitalismo selvaggio e il distacco netto dal vecchio comunismo che avrebbe potuto rappresentare una minaccia per i loro interessi privatistici; godette anche dell’appoggio dei grandi uomini di stato occidentali, in primis il presidente degli Stati Uniti di allora, Bill Clinton, ma anche i primi ministri francese Alain Juppé e tedesco Helmut Kohl.
Il testimone a Putin
La carriera di Boris Elstin si concluse nel dicembre del 1999 ufficialmente per motivi di salute a causa dei gravi danni riportati sul suo metabolismo al seguito di alcolismo e tabagismo; nonché numerosi problemi cardicaci e circolatori. Il mandato presidenziale fu così ceduto al successore da lui indicato, Vladimir Putin che continuò a sostenere anche da semplice cittadino.
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Elstin trasformò la Russia post sovietica iniettando in tempi rapidi politiche economiche di stampo liberista di chiara ispirazione americana, senza tuttavia le precauzioni che invece Gorbaciov volle adottare. Favorì il capitalismo selvaggio e indebolì la classe media attraverso una liberalizzazione dei prezzi che schizzarono verso l’alto a seguito di pesanti speculazioni. Inoltre, taglio i fondi alle vecchie industrie statali che, ai tempi dell’Unione Sovietica erano le uniche garanti del servizio sociale ai cittadini meno abbienti. Il risultato fu l’incremento senza precedenti di tassi di povertà assoluta tra la popolazione e la concentrazione di beni e risorse in quelli che in seguito, saranno chiamati gli oligarchi russi.
Dalla Perestrojka agli oligarchi
Boris Elstin, in russo Boris Nikolaevič El’cin (1931 / 2007) è stato un uomo di stato russo che ha ricoperto la carica di primo presidente russo dopo la fine dell’Unione Sovietica.
La sua vicenda politica è dunque fondamentale capirla per comprendere questo importante momento storico del più grande paese del mondo, la Russia appunto.
Boris Elstin è stato il più forte avversario di Michail Gorbaciov, quando questi stava mettendo a terra le riforme della Perestrojka, ovvero il processo di democratizzazione e liberalizzazione dell’Unione Sovietica al fine di portarla finalmente nella modernità.
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I primi passi negli anni ’60
Boris Elstin nel 1961 inizia la sua carriera politica iscrivendosi al Partito Comunista dell’Unione Sovietica. Nel 1968 ne diventa direttore del settore “edilizia” in virtù della sua qualifica di ingegnere edile nell’oblast di Sverdlovsk.
Pungolo a Gorbaciov
Dal 1975 al 1985 è segretario del Partito Comunista dell’Unione Sovietica nella relativa sezione di Sverdlovsk, dopo di chè la stessa carica la ricoprì dal 1985 per quanto riguarda la sezione di Mosca, dove raggiunse la prima vera notorietà, anche grazie alle prime, plateali e pubbliche, critiche al segretario nazionale del PCUS, Michail Gorbaciov. Questi, secondo Elstin infatti, stava conducendo le riforme della Perestrojka con troppa lentezza, rimanendo troppo vincolato al conservatorismo comunista.
Bruciare le tappe
Per Elstin invece, era necessario sganciarsi dal giogo comunista e orientarsi con più decisione verso il liberismo e la democrazia. La sua vis polemica, sommata a una certa arroganza, lo portò nel 1987 ad essere esonerato dall’incarico di segretario della sezione moscovita, salvo poi, rientrare in una posizione ancora superiore, quella di ministro del governo sovietico dal 1987 al 1989.
Primo presidente eletto della Russia
Nel 1989 Boris Elstin diventa Presidente del Soviet Supremo della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa. In poche parole la carica di massimo dirigente politico della più grande e importante repubblica sovietica, quella che poi diventerà la Russia.
Nel 1990 si dimette dal Partito Comunista dell’Unione Sovietica e l’anno dopo, alle prime elezioni ufficiali dell’Unione Sovietica, ottiene il 57% di voti favorevoli per ricoprire la carica di Presidente della Federazione Russa.
Perestrojka troppo lenta
Da questa posizione di maggiore forza e di nuova visibilità, Boris Elstin alzò ulteriormente il tono delle critiche a Michail Gorbaciov, divenuto, questi, nel frattempo, Presidente dell’Unione Sovietica. La critica si muoveva sempre nella stessa direzione di prima: accelerare il processo di riforme.
Il canto del cigno dei Comunisti
Il fallito colpo di stato (agosto 1991) che il Partito Comunista dell’Unione Sovietica, organizzò al fine di disarcionare Gorbaciov e riportare il paese nel solco del comunismo tradizionale, dette ad Elstin un’ulteriore visibilità politica e mediatica.
Il colpo di stato si svolse infatti a Mosca, la città in cui Elstin, in veste di Presidente della Federazione Russa, aveva la maggior concentrazione di potere. Egli, aizzando l’opinione pubblica, sul pericolo che un ritorno al passato dittatoriale, potesse concretizzarsi con questo colpo di stato che era sul punto di iniziare, anche grazie alla disponibilità di alte dirigenze politiche e militari che approfittò dell’assenza di Gorbaciov, in vacanza in Crimea, riuscì a far sventare l’operazione.
Gorbaciov stritolato
L’occasione fu colta al balzo dallo stesso Elstin per aumentare la critica a Gorbaciov, ritenendolo non più in grado di governare il paese, anche alla luce di questo scivolone che aveva portato al rischio di un colpo di stato.
Elstin vs Gorbaciov
Gorbaciov fu accusato da Elstin di non aver bonificato abbastanza le alte dirigenze del partito, dello Stato e dell’Esercito, consentendo alle anime più conservatrici e violente del Partito Comunista Sovietico,
di riorganizzarsi in un pericoloso, nuovo, attacco alla democrazia nascente.
Elstin prende tempo per prendere tutto
Per Elstin, la conferma alla guida del paese di Gorbaciov, dopo il fallito colpo di stato comunista, fu solo l’ennesimo atto in attesa che i tempi fossero veramente maturi per chiudergli definitivamente la carriera. Ma ora, il prossimo passo, era mettere fuori legge il Partito Comunista dell’Unione Sovietico, almeno per quanto riguardava la sezione della Federazione Russa.
Questo fu l’ultimo vero colpo, alla vecchia dittatura che, dal 1919, aveva trasformato l’antico stato zarista in una nuova vicenda politica capace di escludere ancora una volta il popolo russo dalle decisioni del potere e dalla libertà.
Gorbaciov rimase quindi alla guida dell’Unione Sovietica solo fino al 25 dicembre del 1991 e, nel gennaio dell’anno successivo, l’Unione Sovietica cessò definitivamente di esistere.
1991-92, Gorbaciov a casa, Elstin al Cremlino
Il 25 dicembre del 1991, la bandiera dell’Unione Sovietica venne definitivamente ammainata dal Cremilino e sostituita dal tricolore russo.
Boris Elstin ricevette dal presidente dell’Unione Sovietica dimissionario, Michail Gorbaciov, l’incarico d’ufficio, in veste di presidente della Russia. Ad aprile del 1992, queste operazioni furono ufficializzate con apposita riforma costituzionale al VI congresso dei Deputati del Popolo.
Dal comunismo al liberalismo
La prima conseguenza del passaggio, tra la fine dell’Unione Sovietica e la nascita della Russia, fu la messa in atto di importanti riforme di politica economica che mettessero al bando l’economia pianificata di stampo comunista, a favore di un’economia di mercato di stampo liberale. Liberalizzazioni e privatizzazioni di chiara ispirazione americana furono iniettate senza preparativi nella nuova società russa.
Politica di Elstin
subito dal
Comunismo al Capitalismo
La “terapia shock“, con l’obiettivo di “stabilizzare” l’economia russa dopo la grande crisi dell’ultimo periodo sovietico, fu articolata in tre passaggi cardine:
- liberalizzazione del commercio verso l’estero;
- liberalizzazione dei prezzi;
- liberalizzazione della concorrenza.
La corsa accelerata verso le privatizzazioni
Elstin, mise in atto, a velocità accelerata una politica economica che mirava quanto prima ad indebolire i monopoli di stato; a rimuovere le barriere che ostacolavano la crescista delle imprese private e a tagliare i fondi destinati alle imprese statali.
L’effetto collaterale dell’abbattimento dei prezzi calmierati, affidati completamente all’andamento del mercato, portò la Russia in breve tempo ad una iperinflazione, ovvero, ritirandosi lo Stato si sguinzagliarono speculazioni furiose in tutti i settori, obbligando la Banca Centrale Russa a stampare nuova carta moneta per finanziare il debito accumulato.
Altre conseguenze furono la bancarotta di numerose imprese che non riuscirono a reggere il confronto col mercato globale.
Nel frattempo, i cittadini che vivevano di uno stipendio fisso e a coloro che erano liberi professionisti di classe media, videro ridotto il loro potere d’acquisto. Tutto ciò avvvenne contemporaneamente ad un taglio della spesa sociale da parte dello Stato. In poche parole, i cittadini poco o nulla abbienti, finirono per dover abbassare di molto il loro stile di vita, a livelli inferiori rispetto al periodo sovietico.
Il Parlamento non crede alla liberalizzazione immediata
La Banca centrale russa, sotto controllo del Parlamento, rimase dubbiosa sull’opportunità di proseguire su questa linea liberista così accelerata. I risultati infatti, in termini di benessere generale, con lo scopo di stabilizzare i prezzi, stavano portando la Russia verso una pericolosa recessione, con imprevedibili conseguenze sociali e di stabilità interna. Erano i germogli delle prime divergenze tra Parlamento e Governo.
Cosa è l’Austerity in economia
L’ “austerity” (in italiano “austerità”, cioè intransigente controllo di se stessi e dei propri desideri) in economia è una politica economica imposta da uno Stato che mira a frenare i consumi dei privati e le spese statali, al fine di superare una crisi economica.
L’imposizione dell’Austerity
Nella Russia di Elstin, nata subito dopo il crollo dell’Unione Sovietica, il processo di liberalizzazione del mercato e dell’economia nazionale fu governato con l’applicazione di una severa politica di austerity.
In poche parole si lasciò che i prezzi al consumo lievitassero dietro l’onda speculativa innescata con il ritiro della morsa statale. Nel frattempo aumentò leggermente i tassi di interesse e, soprattutto, aumentò il carico fiscale. Sul piano dei sussidi alle imprese e allo stato sociale inoltre, li tagliò drasticamente.
L’Austerity russa del 1992:
- Lasciare che il mercato aumenti i prezzi al consumo (speculazione);
- Leggero aumento dei tassi di interesse;
- Grosso aumento del carico fiscale;
- Taglio importante dei sussidi statali alle imprese e allo stato sociale.
L’obiettivo di questa politica fu la stabilizzazione, ma la conseguenza fu l’iperinflazione.
inflazione = aumento dei prezzi
I liberali vogliono affidare l’economia al mercato
Le intenzioni dei liberali, adesso al governo, erano di affidare alle dinamiche del mercato, i processi di adeguamento del sistema produttivo. Era il mercato, secondo loro, e non lo Stato, ad obbligare le aziende nel produrre con efficienza ed efficacia. Si voleva insomma, evitare di tornare allo spreco di risorse e alla stagnazione che c’era durante gli anni ’80, quando vi era il regime sovietico.
La desovieticazione
A differenza dei paesi europei che avevano fatto parte della cosiddetta “cortina di ferro” (Europa dell’Est) ed erano stati sotto l’influenza sovietica durante l’esistenza di tale regime, la Russia dovette affontare l’ingresso nel mondo libero con maggiori difficoltà.
- L’Unione Sovietica aveva un’economia incentrata sull’industria bellica;
- Crollando le imprese statali centrali, vi fu l’effetto domino sulle industrie locali, vero collante economico e sociale del vasto territorio sovetico;
- Il welfare era garantito dalle industrie. Il fallimento delle industrie comportò la fine del sostegno sociale alla popolazione rurale.
La crisi dell’industria bellica sovietica
I paesi dell’ex blocco sovietico infatti (Polonia, Germania dell’Est, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania, Bulgari, Albania) non avevano avuto a loro carico diretto il grande apparato militare che invece aveva avuto l’Urss per mantenere alla pari il confronto con gli Stati Uniti.
La spesa militare in Unione Sovietica costituiva infatti la spesa maggiore dello Stato. Al mantenimento dell’ingente apparato industriale-militare inoltre partecipava una grossa fetta della forza lavoro.
Le conseugenze della fine dell’Unione Sovietica e dell’introduzione di un’economia privatistica di stampo ultraliberista con il governo Elstin fu che alle industrie belliche furono tagliati di netto i sussidi; che la forza lavoro un tempo impiegata in questo settore si trovò improvvisamente disoccuapata; che l’ingente bagaglio culturale e tecnico di questo settore non fu più spendibile nel nuovo mercato.
Le industrie belliche di alta tecnologia furono costrette a produrre utensili da cucina per sopravvivere
alla fine dell’Unione Sovietica e della Guerra Fredda.
Le micro-economie rurali
La vastità del territorio sovietico impediva al governo centrale di controllare capillarmente i distretti più lontani. Fu così che ai tempi della dittatura comunista le regioni si distinguevano l’una dall’altra per la presenza di un settore industriale specifico di quell’area. Tale specificità parcellizzava anche l’economia e la società dell’Unione Sovietica. Il legame tuttavia con il governo centrale era dato dal fatto che queste industrie locali dipendevano in termini di politica industriale generale dalle grandi imprese statali. Quando l’Unione Sovietica collassò, le imprese statali centrali entrarono in crisi e non furono più la guida di quelle locali: il taglio di questi legame, mandò le piccole industrie locali in conseguente fallimento con effetto immediato sulla occupazione, che scese di colpo, nel 1992, ai minimi termini.
In Unione Sovietica le città sorgevano attorno all’Industria locale.
Erano gli agglomerati industriali.
L’industria fa il servizio sociale
In Unione Sovietica a garantire il sostegno alla popolazione in termini di assistenza sociale non era lo Stato direttamente, ma le grandi industrie che, in veste di rappresentati statali, supplivano al suo ruolo in questo campo. Alloggi, salute, svago erano servizi messi a disposizione delle industrie statali e non direttamete dagli uffici statali. Con il crollo dell’Unione Sovietica e la fine delle industrie statali, l’assistenza sociale fornita alla popolazione da parte loro venne annullata.
La voglia di comunismo ritorna
Le conseguenze di riformismo liberale immediato che Boris Elstin volle imprimere alla nuova società russa nata dalla morte dell’Unione Sovietica furono dunque che:
- Lo Stato liberalizza l’economia e ritira il proprio sostegno alle industrie
- Lo Stato ritira il controllo dei prezzi e lascia che sia il mercato ad autoregolamentarli
- Nascono le industrie private e muoiono quelle statali
- Il servizio sociale garantito dalle industrie statali cessa di esistere
- I prezzi al consumo seguono l’onda speculativa dei mercati e schizzano verso l’alto
- I cittadini di classe media e bassa perdono il loro potere d’acquisto e peggiorano drasticamente la loro qualità di vita rispetto al periodo sovietico
Di fronte a questo peggioramento sociale si organizza un moto di protesta trasversale (cittadini, associazioni, sindacati) che è contraria alla politica riformista liberale: si vuole il ritorno al comunismo.
Il Parlamento vuole frenare il riformismo veloce
Il 2 gennaio del 1992, Elstin per portare avanti al sua politica riformista bypassa il veto del Parlamento emanando per decreto l’atto che approva queste riforme. Il Parlamento nel 1992 era ancora quello formatosi durante l’ultimo periodo dell’Unione Sovietica ed era costituito da due rami:
- Il Soviet Supremo
- Il Congresso dei Deputati del Popolo
Entrambi questi rami erano intenzionati a frenare la velocità riformista del presidente.
La crisi istituzionale russa del 1993
Il Faccia a faccia Presidente / Parlamento sul modo in cui attuare le riforme raggiunse il culmine nel 1993 , quando lo stesso Elstin per decreto sciolse il Parlamento e ordinò nuove elezioni. Ciò però era in contrasto con la Costituzione e il Parlamento fece valere la forza di tale ordinamento facendo deporre il Presidente Elstin e nominando a settembre di quell’anno un suo sostituto, Aleksander Ruckoj.
Elstin rispose a questo defenestramento ordinando alle Forze Speciali russe di assaltare il Palazzo della Duma di Stato. La conseguenza di questa operazione fu l’arresto di Ruckoj e dei suoi sostenitori; la morte 187 persone e il ferimento di 437.
Dallo Zar, al Soviet, allo Zar presidenziale
La crisi istituzionale del ’93 si concluse con il ritorno di Elstin al governo della Russia; l’arresto degli oppositori politici e di un referendum per il rinnovo della Costituzione a dicembre dello stesso anno che conferì alla Russia un sistema politico presidenziale.
Per allentare le tensioni politiche furono subito rilasciati gli oppositori ad Elstin ma non ebbero più influenza sulle politiche nazionali perché il Parlamento fu indebolito dalla riforma costituzionale appena approvata. Le privatizzazioni nel frattempo proseguirono ad un ritmo ulteriormente accelerato.
Per la popolazione russa facente parte della classe media e bassa, fu l’ingresso definitivo in un lungo periodo di povertà: perse il potere d’acquisto; peggiorò la qualità di vita (la speranza di vita passò da 64 anni nel 1990 a 57 anni nel 1994).
Una rielezione forzata
La rielezione di Boris Elstin passò dunque per una forzatura delle regole costituzionali sovietiche che ancora erano resistite nella nuova era “democratica”. La modifica costituzionale avvenne col benestare referendario e il parlamento, a prescindere dal suo peso specifico, venne messo in minoranza.
In questa condizione politica la Russia entrò definitivamente nell’era post-sovietica, avendo Boris Elstin primo presidente di questa fase.
A livello economico continuava a diffondersi la povertà, mentre nuove spinte indipendentiste provenienti dai confini russi ricominciarono a farsi sentire. Questa fu l’ora della Cecenia che pagò a duro prezzo il suo tentativo di rivendicare l’affrancamento dalla soggezione russa, nella cosiddetta “guerra cecena” (1994 – 2009) che costò una dura repressione e la distruzione della sua capitale, Grozny.
La rielezione di Boris Elstin tuttavia non è stata priva di polemiche, sopratutto per i sospetti di brogli elettorali come giornalisti di geopolitica di allora sottolinearono, Noam Chomsky e Edward Herman.
Con Elstin nascono
gli oligarchi russi
Il sostegno occidentale ad Elstin
Elstin durante la sua difficilissima campagna elettorale (ebbe un riscontro di popolarità inferiore all’8%) potè godere dell’appoggio della grande oligarchia russa, che aveva gran timore che un ritorno al comunismo potesse nuovamente riportarli alla subordinazione, dei grandi statiti occidentali di allora, tra cui lo statunitense Bill Clinton, il tedesco Helmut Kohl e il francese Alain Juppè. Il primo riuscì a fare pressioni sul Fondo Monetario Internazionale affinché fosse concesso alla Russia un prestito per il periodo pre-elettorale.
Le dimissioni per alcolismo
Boris Elstin si dimise da presidente della Russia, il 31 dicembre 1999 a causa di problemi di salute causati da alcolismo e tabagismo, indicando egli stesso come suo successore Vladimir Putin. Boris Elstin lasciò il suo paese in condizioni di alto tasso di povertà generale e alti indici di corruzione, con le oligarchie ormai sguinzagliate a spartirsi famelicamente le principali fonti di guadagno del paese.
La morte per infarto
Da questo momento si ritirò dalla politica attiva, sebbene rimase fedele sostenitore del suo successore, Vladimir Putin. Boris Elstin morì il 23 aprile del 2007 a casa sua, colpito da infarto. Sul suo corpo non venne mai fatta l’autopsia.