Fare politica rende
In Italia, dedicarsi alla politica “attiva” ovvero a quell’insieme di attività che iniziano con la candidatura, proseguono con la presa in carico di varie mansioni gestionali-amministrative della cosa pubblica e si concludono, nel migliore dei casi, nell’entrare nelle vere “stanze dei bottoni” (giunta comunale o regionale, parlamento nazionale o europeo, organismi di rappresentanza internazionale) significa avere grosse chance per ottenere un ottimo “fine mese” e mettere da parte un bel gruzzolo, se non un capitale per chi fa carriere decennali, per se, per gli amici e per la famiglia.
Per “bel gruzzolo” s’intende il denaro che arriva da diarie, rimborsi spese, vitalizi e tutto ciò che riguarda i cosiddetti “incassi vari” che sono talvolta frutto di privilegi acquisiti e legalmente riconosciuti oppure di rendicontazioni forfettarie orientate per eccesso.
Ovviamente non tutta la classe politica si muove spinta da interessi personali così venali. Un’altra parte di essa infatti è composta da personalità di spessore culturale e morale che si dedica alla politica con autentico ideale alturista e talvolta offre le somme che accumula dai benefici acquisiti facendo politica attiva, sostenendo associazioni di volontariato o cause umanitarie, ecologiste o sociali.
IL SIGNIFICATO DI POLITICA
Il significato letterale della parola “politica” è quello di “gestione e direzione della cosa pubblica” e ciò vuol dire, per chi fa quella “attiva” entrare a far parte di coloro che hanno, per forza di cose, un potere di comando sugli altri cittadini che invece fanno la politica “passiva”.
DELEGANTE E DELEGATO
La distinzione tra “delegato politico” e “delegante politico” presuppone che tutti i cittadini tecnicamente possano fare politica, ovvero che tutte le persone, in quanto facenti parti della società, svolgano a vario titolo e a vari livelli, volenti o nolenti, azioni che inevitabilmente si ripercuotono sugli altri. E quindi tutti fanno politica in quanto membri della società, anche coloro che ignorantemente dicono di non farne: scegliere un prodotto piuttosto che un altro al supermercato significa “fare politica”; cambiare canale del televisore significa “fare politica”.
LAURA PAUSINI CHE RIFIUTA DI CANTARE “BELLA CIAO!”
PERCHE’ DICE “…E’ UNA CANZONE POLITICA”,
DI FATTO ASSUME LEI STESSA UNA POSIZIONE POLITICA NELL’ADOZIONE DI QUEL RIFIUTO
Tali politiche possono però possono essere provenienti da due tipologie di azione:
- quella del delegato politico, ovvero di colui che svolge operazioni ufficiali e riconosciute da una carica di rappresentanza (consigliere, assessore, deputato, senatore…);
- quella di delegante politico, ovvero di colui che partecipa alla vita politica nominando il delegato politico attraverso il voto. Egli con il voto assegna ufficialmente al delegato politico il compito di portare avanti le proprie idee.
La distinzione tra delegante e delegato politico la si trova chiaramente nell’esempio classico di chi vota (delegante politico) e non fa il candidato (delegato politico), o anche di chi fa entrambi i ruoli, vota (delegante politico) e fa pure il candidato (delegato politico).
IN TANTI VOTANO, IN POCHI GOVERNANO
La società, affinché funzioni bene, deve essere composta dalla maggior parte delle persone che fa politica delegante e della minore parte che fa politica delegata, per il semplice fatto che, per ragioni di efficienza dell’azione politica stessa, è fondamentale che a rappresentare le istanze siano in pochi, la minoranza e, ad essere rappresentati, siano in tanti, la maggioranza. Di fatto è l’applicazione di una soluzione tecnica finalizzata all’operatività stessa della politica, che altrimenti rimarrebbe solo “teoria”.
FACCIO POLITICA PER ME O PER GLI ALTRI
Entrare nelle stanze del potere e stabilire una serie di relazioni orientate al mantenimento di quello stato di potere significa, per chi fa politica delegata, rispondere – consapevolmente o inconsapevolmente – a una domanda: “Per quale motivo si fa politica delegata?”. E le risposte possono essere tante, proviamo ad elencarne alcune esprimendole in prima persona:
- “Faccio il delegato politico per aiutare la comunità in cui vivo e per la quale vorrei dare il mio contributo”
- “Faccio il delegato politico perché seguo degli ideali positivi che vorrei vedere realizzati nella società”
- “Faccio il delegato politico perché sono particolarmente bravo a fare una cosa e vorrei trasmettere agli altri l’importanza di questa cosa per il benessere di tutti”
- “Faccio il delegato politico perché voglio avere uno stipendio e fare carriera”
- “Faccio il delegato politico perché sono referente di un interesse economico privato e devo rappresentarlo in ambito pubblico per tutelarlo, rinforzarlo e aiutarlo a crescere”
- “Faccio il delegato politico perché faccio parte di un clan mafioso o di un gruppo criminale che rischia ogni momento l’arresto e ha la necessità di avere un rappresentante politico che tuteli i suoi interessi e le sue azioni criminali”
LA POLITICA IN DEMOCRAZIA
È ovvio che, in un paese democratico e meritocratico, solo le prime tre motivazioni avrebbero ragion d’essere perché, come si evince chiaramente, sono solo quelle ad essere veramente funzionali alla crescita di un paese con tali caratteristiche. Le altre motivazioni che sottintendono ad un cittadino la volontà di entrare in politica non sono in linea con la realtà (per quanto relativa) di un paese democratico e meritocratico, ma di un paese orientato a privilegiare alcuni cittadini (pochi) e a escludere, da tale beneficio, gli altri (la maggioranza).
POLITICA MONDIALE IN MANO A POCHI
Osservando oggi l’andamento generale della società e guardando la storia dell’umanità, molto difficilmente si riescono ad intravedere operazioni politiche mosse dalle prime tre motivazioni di cui sopra. Gli episodi che racconta la storia con le prime tre spinte motivazionali alla base (quelle funzionali ad uno stato democratico e meritocratico), sono pochi e frutto comunque di grandissimi sforzi di movimenti politici, leader politici, cittadini, popoli. Viceversa gli episodi che invece la storia racconta con le ultime tre spinte motivazionali (quelle non funzionali ad uno stato democratico e meritocratico) sono la maggior parte. Il peso specifico in termini storici di queste ultime tre tipologie di delegato è schiacciante rispetto a quello delle prime tre. Per avere conferma di ciò basta rileggersi la storia della Chiesa o delle religioni di stato in genere; la storia delle guerre mondiali o, per quanto riguarda il mondo contemporaneo, la crisi ambientale che sta divorando il pianeta.
L’OLOCAUSTO AMBIENTALE
Uno degli argomenti di maggiore attualità degli ultimi dieci anni, venuto alla conoscenza delle masse con colpevole ritardo da parte della classe politica mondiale, è la vicenda dell’olocausto ambientale, ovvero del processo di distruzione dell’ambiente naturale causato dall’impatto antropico sul mondo.
Il ritardo, rispetto agli effetti dannosi già in atto, con cui le comunità ai vari livelli stanno introducendo politiche ambientali per la salvaguardia del pianeta dimostra chiaramente che al comando delle società mondali più importanti da un punto di vista economico e politico non ci siano degli stati democratici e meritocratici. Dalla rivoluzione industriale ad oggi infatti l’impatto ambientale delle attività umane è stato via via crescente fino a subire un’accelerazione con la nascita e il consolidamento del consumismo di massa. Questo ritardo è banalmente dovuto al fatto che la maggior parte delle organizzazioni politiche di vertice non si sono adoperate per prevenire la deriva, ma hanno sostenuto solo gli sfruttamenti delle risorse e la capitalizzazione dei guadagni da parte di poche aziende.
Le monarchie assolute prima e gli stati nazionali poi, sono sistemi statali che politicamente non hanno mai agito a favore del consumo razionale ed egualitario delle risorse ambientali disponibili, ma hanno per la maggior parte dei casi, agito politicamente per favorire interessi personali e di parte che sono stati di volta in volta rappresentati, tutelati e coltivati, all’interno delle politiche economiche e sociali nei vari paesi del mondo.
ITALIA PAESE CORROTTO
L’Italia, uno dei paesi col tasso di corruzione pubblica tra i più alti del mondo, dove si arresta una persona ogni 10 giorni per corruzione sugli appalti pubblici (Rapporto Anac 2016-19); dove lo stato di degrado culturale e civile è marcato dalla perdita di autorevolezza della scuola, è vicina al tracollo finanziario proprio perché la classe politica risponde prevalentemente a interessi privati che logicamente si muove per raggiungere obiettivi opposti rispetto a quelli pubblici e generali.
Gli esempi che si possono fare in tal senso sono tantissimi, sia attingendo alla cronaca più attuale che a quella risalente agli anni ’60-‘70, quando, gli effetti del boom economico e l’allentamento dei vincoli morali dei politici dopo i primissimi anni del secondo dopo guerra (gli anni della “Ricostruzione post-bellica”) era ormai un modus operandi generalizzato che consentì ai primi “squali” di entrare in politica per soddisfare i propri interessi.
I casi più importanti di questo allentamento morale hanno dirottato spudoratamente le azioni politiche verso la tutela di poche persone a discapito della popolazione generale. Per fare un esempio basta pensare alla storia della Fiat, la più grande casa automobilistica italiana. Questa, sin dalle origini, pur essendo un’azienda privata, a fronte del fatto che era in grado produrre beni fondamentali per la crescita del paese (mezzi di trasporto ma non solo), per funzionare, aveva necessità di coinvolgere economie e forza lavoro in gran quantità e per sostenersi poteva contare non solo sul contributo vitale dei lavoratori, ma anche su considerevoli elargizioni pubbliche le quali, in parte, sono servite a fagocitare la concorrenza nazionale e a distruggerla. Il risultato è quello attuale: l’Italia non è più sede di iniziativa e avanguardia nel settore ma solo di sporadico assemblaggio di parti su commissione. Gli utili netti e il saldo del debito fiscale invece sono stati dirottati oltre i confini nazionali. Un esempio classico di cosa succeda quando un privato, senza alcun controllo dello Stato, viene favorito dalla politica compiacente che gli presta la faccia e le risorse del pubblico.
L’IDENTIKIT DEL POLITICO
Per avere ancora più chiarezza sul fatto che in politica, una buona parte di coloro che vi entrano lo fanno per interessi non in linea con quelli del benessere generale, basta guardare alcuni curriculum e la storia politica e personale di certi esponenti della classe politica. Proviamo in tal senso a descrivere per sommi capi i profili di quattro tipologie di politico tipiche, che generalmente si candidano o vengono candidate. Ne individuiamo per semplicità quattro, due negative e due positive.
Entrano a fare politica:
I FALLITI
- quelli che professionalmente non hanno realizzato nulla. Si tratta di persone che vengono da un percorso scolastico mediocre nei risultati e insufficiente nelle qualifiche ottenute, nonché da un’attività professionale che non gli ha dato, a causa del loro demerito, il giusto spazio, sia in termini di visibilità sociale che di ritorno economico. Ecco allora che, ad un certo punto della loro vita così esposta al rischio di un fallimento, viene in loro soccorso l’occasione di entrare in politica: una candidatura proposta da un partito o da un movimento che cerca esponenti in voglia di tentare la carriera e/o quanto meno di rappresentare, anche per un breve periodo, le loro istanze nelle sedi amministrative; oppure è il soggetto stesso che si fa avanti (meglio se in un piccolo partito dove la concorrenza degli altri aspiranti politici è minore) e si propone come candidato. Perché l’aggancio alla politica abbia successo è fondamentale che ci sia un terreno di coltura adatto, ovvero un ambiente sociale che rispecchi quelle caratteristiche di mediocrità e di “demeritocrazia”, altrimenti, ci sarà, prima o poi, una inevitabile esclusione dovuta al conflitto di diversità (in primis quella culturale e a seguire quella di merito e di metodo). Tali soggetti ovviamente per fare carriera ed entrare nelle “stanze del potere”, non avendo saputo individuare i propri talenti, si devono far affiancare dai veri “bravi”, ossia quei tecnici e intellettuali che stanno nel “dietro le quinte” della sua vita politica e che danno corpo alla sua mediocrità, cioè a ciò che “corpo” o “sostanza” non ha. Il compito del politico rimane quindi quello di sapersi vendere e di saper apparire coprendo, fin dove è possibile, la propria mediocrità di fondo. Il successo di una candidatura del genere è possibile inoltre se nella società è presente un alto tasso di ignoranza di massa, tale da non saper distinguere il vero dal non vero, il mediocre dal bravo, l’incapace dall’incapace. Inoltre, a ciò, si aggiunga che, non avendo una bravura di base, a costoro, per scalare posizioni, è fondamentale sapersi “buttare nella mischia”, ciò significa essere disinibiti, avere la “faccia tosta”, tentare di bruciare le tappe, saper innescare un meccanismo di compra-vendita su tutti i fronti e a doppio verso: ciò significa prestare il tempo, le energie e la faccia per comprare qualsiasi cosa sia funzionale alla scalata di posizioni (promesse elettorali ai potenziali elettori, oppure scambi di favore con aziende che chiedono tutela ai propri interessi o, eventualmente, una corsia preferenziale per accedere a posizioni di vantaggio rispetto alla concorrenza). Per fare tutto questo non bisogna avere scrupoli morali (o averne il meno possibile) perché altrimenti ciò significherebbe avere dei freni al raggiungimento del successo ed è per questo che tale tipologia di candidato, anche se ha molte possibilità di entrare in politica e concretizzare vantaggi personali altrimenti impensabili, non è per tutte le psicologie di cittadini, i quali, molto spesso, non hanno la spregiudicatezza di cui sopra.
GLI SQUALI
- Il secondo caso è quello di coloro che professionalmente sono arrivati a creare grosse aziende, grandi business e/o piccole o grandi lobby che generano grandi affari. Quelle persone insomma che sono state capaci, più per furbizia che per merito reale, di mobilitare grosse fette di popolazione e di interessi generali e, ad un certo punto della loro vita, si sono dedicate direttamente alla politica per mantenere quella posizione di forza sul mercato, nonché, magari, conquistarne di nuova avendo ora la possibilità di dirottare quelle che dovevano essere manovre a favore della collettività verso i propri business (il cosiddetto “conflitto di interessi”). Questa tipologia di candidato, a differenza della precedente, non è un incapace e non è reduce da insuccessi scolastici o lavorativi che hanno impedito la maturazione professionale, ma si tratta anche qui di persone spregiudicate, assettate di potere e benessere materiale che sfociano nel consumismo fine a sé stesso e nell’edonismo più sfrenato. L’obiettivo per costoro è entrare in politica per mantenere lo status economico-finanziario e sociale acquisito e proteggerlo da minacciose politiche di redistribuzione delle risorse e di verifica fiscale che potrebbero essere messe in atto da politici veri, i quali, con provvedimenti legislativi ad hoc, potrebbero mettere in luce una vita aziendale nata e mantenuta senza rispettare le leggi. Non ultimo, queste tipologie di politici continuano a rinforzare la propria posizione a sfavore della concorrenza. Diciamo che per tali soggetti lo sfocio in politica è una naturale conseguenza di quello status di potere raggiunto che, inevitabilmente, entra in rapporto con le amministrazioni delle società e dei paesi a tutti i livelli. A questo punto per fare politica a tali soggetti basta mettere in campo il proprio potere contrattuale, ossia la propria disponibilità economica per “pagare” letteralmente tutti coloro che a vario titolo devono “lavorare” per la loro attività politica. Quelli che vengono comprati diventano i cosiddetti “faccendieri”, che spesso sono politici rimasti senza incarichi e provenienti da altre correnti, oppure intellettuali e giornalisti che sono figure fondamentali per creare artificiosamente un appeal gradevole al “capo” nei confronti dei potenziali elettori, specialmente di coloro che hanno un bagaglio culturale mediocre e un basso senso critico, così da accettare inconsapevolmente la discrepanza tra il suo potere assolutistico e la cura per l’interesse pubblico. Questo passaggio avviene molto spesso grazie a un lungo periodo (anche decenni) di “preparativi culturali e contrattuali” che poi peseranno in maniera determinante una volta che la carriera politica entra nel vivo e attraversa i momenti di maggiore difficoltà. È inevitabile infatti che queste concentrazioni di potere prima o poi non entrino in conflitto con gli interessi pubblici (ritorna anche qui il “conflitto di interessi”) ed è fondamentale per tale motivo creare le condizioni perché l’opinione pubblica accetti questo status e lo ritenga conciliabile con una carica politica. In un’economia di mercato così pronunciata come l’attuale, dove la finanza pesa più dell’economia reale e in cui il potere del denaro è in grado di abbattere qualsiasi resistenza morale, creare tali precondizioni è solo una questione legata alla quantità di denaro che si dispone per “comprare” gli altri e trasformarli in dipendenti-sostenitori-schiavi.
LEGGI ANCHE: L’IMPERO ECONOMICO DI SILVIO BERLUSCONI
I PROFESSIONISTI E GLI INTELLETTUALI
- Ad un altro gruppo appartengono quelli che, mossi da una passione per l’ “argomento politica” dedicano la loro vita, i loro studi, le loro risorse all’attività politica in ambito strettamente amministrativo, economico-finanziario, tecnico, oppure danno corpo a correnti di pensiero con le loro riflessioni, le loro ricerche, i loro studi in vari campi, da quello scientifico a quello umanistico. Questa tipologia di candidati/aspiranti si presenta davanti alla politica molto spesso con un curriculum molto corposo, sia in termini di studi accademici (laurea, master, vite ed esperienze varie…) che di vissuto a contatto diretto con la macchina burocratico-amministrativa: magari hanno avuto amicizie o parentele con politici già in opera, da cui si sono fatti fare, in forma di volontariato, discorsi, ricerche, segretariato, rapporti con la stampa. Oppure hanno maturato esperienze dirette come membri di seggi elettorali, consiglieri di minoranza, organi di rappresentanza o ancora si sono dedicati ad attività di giornalismo locale, di settore o a volontariato di vario tipo, da quello di soccorso, a quello ambientale, a quello più marcatamente sociale o culturale. Tutto questo bagaglio fa certamente da corpo alla candidatura che, grazie anche ad una visibilità accumulata nel tempo, in cui le persone che hanno stabilito una relazione con costoro, possono averne riconosciuto la dedizione, l’impegno, la bravura e i talenti. Tutto ciò può tornare utile a questa tipologia di candidato per una vita politica ancora più attiva e di prima persona. I candidati con tale background sono molto appetibili dalla politica, sia per la loro laboriosità che per la loro professionalità. Il loro rischio è di essere usati dal politico di professione. Talvolta, tali candidati, se non sanno gestire bene il loro percorso di penetrazione nei meandri della politica finiscono per essere usati a oltranza ed essere collocati nelle retrovie a fare il lavoro più faticoso di “cucina”, ovvero stesura di discorsi, organizzazione di eventi, conferenze stampa, rilascio di dichiarazioni alla stampa sempre e solo di seconda battuta rispetto alla linea imposta dal leader. Insomma una posizione che non dà la giusta collocazione a questo valore professionale. Altre volte la politica teme tali candidature perché sono una minaccia a chi la politica la fa con incompetenza di fondo e si è conquistato la posizione di rilievo sgomitando tra mille forme di concorrenza (da quella di chi è più scaltro e spregiudicato a quella di chi è stato più fortunato o più capace). Per i politici con le caratteristiche di cui sopra un grosso pericolo è pure quello di finire in pasto all’improvvisazione generale di partiti o movimenti che, assetati di “esperti”, cercano in tutti i modi di captare e fagocitare queste figure. Il rischio che si corre è di entrare in un pantano dove la pochezza generale potrebbe offuscare la differenza tra merito e demerito, capace e incapace e che le vere qualità dell’aspirante finiscano per diluirsi nel mare della mediocrità imperante. Peggio infine il rischio di entrare a far parte di organizzazioni politiche affariste e prive di ideologie egualitarie e meritocratiche dove l’affarismo di pessima fattura è la costante assoluta. Pure qui, il rischio di perdere le tracce del buon senso e il lume di una carriera altrimenti impeccabile o quanto meno dignitosa è dietro l’angolo. Molto importante quindi per costoro, avere sin da subito le idee chiare su dove si voglia andare, stabilire quali compromessi si è disposti a contrattare e rigare dritti a costo anche di rinunciare al successo e alle poltrone più lucrose e ambite pur di fare una vita politica in linea con le aspettative delle radiose premesse.
GLI ALTRUISTI
- Infine un accenno a quelli che, sulla base della loro carriera di successo (di studio, di affari), sono stati coinvolti dalla politica per dare un contributo alla collettività e provare a mettere a disposizione le loro capacità con la speranza che possano fruttare allo stesso modo poste al servizio degli altri. Costoro sono degli altruisti. Mossi da una grossa generosità, sentono ad un certo punto della loro vita la necessità di completare il loro ventaglio di soddisfazioni personali travasando il loro impegno e il loro talento che li ha portati al successo nel campo professionale e nel campo della politica. Molto spesso questa tipologia di politici sono riconosciuti tali da chi è già in politica quando sono “chiamati per dare una mano” a portare avanti un progetto o per dare più credito alla politica stessa. Si pensi ai senatori a vita, oppure ai cosiddetti “tecnici”. I primi si tratta quasi sempre di personalità di altissimo livello morale e/o professionale, nominati dal Presidente della Repubblica perché il significato della loro vita professionale è stato di tale importanza per la collettività che il riconoscimento di rappresentate ufficiale di istanze pubbliche è una logica conseguenza. I secondi, quelli che il giornalismo degli ultimi anni ha chiamato “tecnici” sono degli specialisti di un determinato settore (scientifico, culturale, tecnico-amministrativo, sociale, economico, finanziario) che vengono invitati dalla politica a dare una mano per risolvere una crisi di rappresentanza dovuta a un crollo di credibilità della politica stessa che mette a repentaglio la rappresentatività. Questo avviene perché la politica spesso perde probabilità di successo in quanto sono stati scardinati dalla magistratura alcuni meccanismi di elezione che sono fortemente legati alla corruzione; oppure perché la politica si è resa conto di non disporre al suo interno di personalità abbastanza capaci per risolvere un determinato problema.