Carloforte dal punto di vista etnico-culturale rappresenta però un’entità a se stante rispetto alla Sardegna in quanto gli abitanti del posto si esprimono oltre che in italiano in un dialetto genovese proprio del quartiere di Pegli (periferia occidentale di Genova): questo patrimonio linguistico è riconosciuto ufficialmente anche dal capoluogo ligure, tanto che nel 2004 ha insignito Carloforte del titolo di comune onorario di Genova. Le caratteristiche linguistiche particolari dei tabarchini, il nome degli abitanti di Carloforte, pur restando perfettamente comprensibili agli altri liguri di altre regioni, sono da questi riconosciute come ben distinguibili per le loro particolarità .
CARLOFORTE FIGLIA DI GENOVA
I genovesi che giunsero a Carloforte nel 1738 non provennero però direttamente dalla Liguria, ma dalla Tunisia, in particolare dalla città -penisola di Tabarka, al confine con l’Algeria dove numerose altre famiglie liguri, nel 1542, al seguito dei Lomellini, casato genovese dedito ai traffici che aveva avuto concessioni territoriali in quei luoghi, dove si insediarono, pescarono corallo e si dedicarono a traffici e commercio. La vita in quei posti rimase pacifica solo per un paio di secoli perché a metà del ‘700 cominciarono a deteriorarsi i rapporti con le popolazioni arabe locali, al punto che un folto gruppo di tabarkini si trasferì in Sardegna nell’Isola di San Pietro, allora disabitata, dove fondò un nuovo comune: Carloforte. Il trasferimento fu possibile grazie alla volontà del re di Sardegna Carlo Emanuele III di Savoia di colonizzare le terre di Sardegna non ancora abitate. Il nome di Carloforte fu scelto in onore del sovrano. Il destino dei pegliesi rimasti a Tabarka invece era segnato: nel 1741 gli arabi invasero Tabarka e fece prigionieri gli abitanti riducendoli in schiavitù. La liberazione degli schiavi avvenne per l’interessamento di nobili europei, del Papato, di Carlo Emanuele III e di Carlo III di Spagna. Gli schiavi liberati in parte raggiunsero Carloforte, mentre alcuni altri, dopo varie vicissitudini, diedero origine ad altre due comunità : Calasetta (nel 1770) nell’isola di Sant’Antioco in Sardegna e Nueva Tabarca sull’isola di San Pablo presso Alicante in Spagna. Mentre i tabarkini di Nueva Tabarca si integrarono completamente in Spagna perdendo la propria identità originaria, i tabarkini di Carloforte e Calasetta mantennero invece integra la loro identità culturale fino ai giorni attuali, sia nelle usanze che nella lingua. Nel Nord Africa sino agli anni cinquanta del Novecento rimase una piccola comunità di genovesi, mentre le altre si dispersero in giro per il mondo e oggi si contano numerosi luoghi in cui vi sono piccole comunità di residenti carolini: in USA, Francia, Germania, Spagna, Marocco, Tunisia, Argentina, Australia, Uruguay, Perù, Cile, Gibilterra, a Boca di Buenos Aires, e naturalmente in Bonifacio in Corsica, per un numero non stimato ma che si ritiene superi abbondantemente le 18.000 persone.
I PIRATI – Le incursioni piratesche in pieno ‘800 e la riduzione in schiavitù
A fine ‘700 però Carloforte subì una feroce incursione piratesca: più di 900 suoi abitanti furono catturati e portati schiavi a Tunisi per cinque anni da cui vennero liberati solo dietro un oneroso riscatto pagato direttamente dal re Carlo Emanuele IV di Savoia.
La nascita del culto della “Madonna dello Schiavo”
Durante questo periodo il carlofortino, Nicola Moretto, rinvenne sulla spiaggia di Nabeul, a Tunisi una statua di legno pareva rappresentasse la Madonna (sicuramente la polena di una nave, portata sulla spiaggia dal mare). Il ritrovamento fu considerato miracoloso e costituì sostegno morale per gli esiliati liguri, tanto che diede origine al culto della “Madonna dello Schiavo” quale protettrice dei tabarkini. Dopo la liberazione questa piccola statua fu portata a Carloforte, dove fu costruita l’omonima Chiesa della “Madonna dello Schiavo”. Le persecuzioni piratesche però continuarono tanto che a difesa della città furono costruite mura di cinta dotate di forti e diverse torri di avvistamento.
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I VENTI DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE DIRETTAMENTE SULL’ISOLA DI SAN PIETRO
Nel 1793 Carloforte fu invasa da francesi nelle fasi post-rivoluzionarie: l’isola fu definita “isola della libertà “. La dominazione francese durò solo pochi mesi, dall’8 gennaio al 26 maggio ma fu sufficiente a contagiare la popolazione dei nuovi ideali rivoluzionari ispirati ai principi di libertà , fraternità ed uguaglianza. Le conseguenze furono disordini e conflitti nel paese, perché i rivoluzionari erano nemici del re Sardo. Una delle vicende più particolari di quella dominazione fu proprio il nascondimento sotto terra della statua del re sardo ad opera di alcuni carlofortini: fu scavata una fossa e calata prima che arrivassero i rinforzi francesi. L’obiettivo era quello di evitare che venisse danneggiata durante gli scontri. La buca scavata però non fu sufficiente a sotterrare totalmente la statua tanto che un braccio rimaneva sporgente in superficie. Fu così tagliato a colpi di mazza e riattaccato quando la statua venne rimessa nel piedistallo della piazza del lungomare di Carloforte, in ricordo e testimonianza di quel particolare momento storico.