Gli antefatti
Il 27 maggio 1969 le autorità statali affissero sulle mura del paese un’ordinanza firmata dalla Brigata Trieste di sgomberare tutto il bestiame nella zona di Pratobello, area di pascolo di pertinenza del demanio comunale dove peraltro era stato realizzato un piccolo agglomerato per il pernottamento e la permanenza in loco dei militari e delle loro famiglie che operavano nel vicino poligono di tiro.
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Il Sessantotto in Sardegna e in Barbagia
La reazione di sdegno e di rabbia della popolazione orgolese fu immediata e furibonda. In quegli anni, in tutta Italia e in parte dell’Europa occidentale, erano ancora accesi i riverberi del Sessantotto, il fenomeno socio-culturale di massa che interessò operai, studenti e minoranze sociali di varia provenienza che protestarono contro la corruzione e l’imposizione arbitraria dello Stato sulla massa. Queste proteste, che in Italia interessarono soprattutto i grandi centri urbani e si concentrò nelle industrie e nelle università del centro-nord, in Sardegna si realizzò in maniera atipica. Il moto non riguardò che marginalmente le due grandi città (Cagliari e Sassari) e i due poli universitari (sempre Cagliari e Sassari), ma raggiunse il picco di intensità in Barbagia, nel capoluogo e nei piccoli paesi. In particolare Nuoro, Mamoiada, Orgosolo, Gavoi, Olzai, Gavoi e Baunei che, tra il novembre del ’68 e il giugno del ’69, furono interessati da tre principali momenti di protesta:
- I “Quattro giorni della Repubblica di Orgosolo“, che portò alla destituzione della giunta comunale e all’insediamento di una Assemblea Popolare;
- la vasta mobilitazione delle comunità nuoresi contro il progetto di istituzione del Parco Nazionale del Gennargentu;
- “la Rivolta di Pratobello” a Orgosolo, ovvero la sollevazione popolare contro la realizzazione di un poligono militare in un’area comunale altrimenti destinata al pascolo.
Le tappe della Rivolta
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L’affronto dello Stato
La Rivolta di Pratobello fu l’apice del sessantottismo sardo. Per gli orgolesi, che storicamente avevano stabilito un rapporto difficile con lo Stato (sia esso Aragonese, Spagnolo o Italiano), l’ordinanza di sgombero dai loro possedimenti per ragioni militari imposte da un entità ritenuta estranea, senza che vi fossero ricadute positive sull’economia locale, fu ritenuto un affronto imperdonabile. Fu così, che, sulla scia dei moti di protesta sessantottini, il piccolo centro divenne un volano di rivolta che fece entrare la faccenda di diritto nella storia dell’Europa.
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La proposta indecente dello Stato
Le modalità di sgombero del bestiame prevedettero che i 40 mila capi venissero risarciti per una cifra pari a 30 lire al giorno ciascuno (il mangime ne costava 75 lire al kg). Una proposta che gli orgolesi ritennero inaccettabile.
I giovani innescano il processo
Il 9 giugno 1969, 3.500 orgolesi iniziarono la mobilitazione; il Circolo Giovanile distribuì in paese e nel circondario (Nuoro prima di tutto) un volantino che spiegava le ragioni della protesta che recitava ” … la decisione di istituire un poligono a Pratobello, ha lo scoperto significato di cacciare definitivamente i pastori e di spingere l’intera popolazione di Orgosolo all’emigrazione”.
L’assemblea popolare sfida lo Stato
Dieci giorni dopo i cittadini animati dallo sdegno e pronti all’opposizione, si riunirono in piazza Patteri. L’assemblea popolare si compose spontaneamente e il palco degli oratori venne messo su utilizzando le classiche soluzione adottate nei comizi di piazza degli anni ’60 e ’70, il cassone di un camion. A parlare si alternarono le voci di gente comune, pastori, agricoltori, operai. Il taglio dei discorsi fu essenziale nei contenuti e deciso nelle modalità . Un bracciante si espose quasi ad una minaccia contro i pochi poliziotti presenti che rappresentavano lo Stato: ” … attenzione a quello che fate perché qui non siamo a Battipaglia“. Alla controparte inoltre, si raccomandò un confronto civile e senza l’uso della violenza, chiarendo la posizione della popolazione “Noi continueremo finché tutti i militari non se ne saranno andati”.
Tra Sardismo e militarismo
L’esercito, colto di sorpresa da questa modalità , rispose – sotto la direzione del sottosegretario alla Difesa, il sassarese Francesco Cossiga – con l’arrivo in loco di alcuni contingenti provenienti da Nuoro, Cagliari ma anche da Genova, Pisa e Padova. Nel frattempo, anche il fondatore del Partito Sardo d’Azione, Emilio Lussu, prese pubblicamente posizione sulla vicenda e scrisse una lettera agli orgolesi in cui dichiarava il suo sostegno morale alla protesta. La lotta che iniziò il 19 giugno e gli orgolesi chiedono l’appoggio di tutti i lavoratori e gli studenti della provincia di Nuoro.
L’ora X
Nell’ultima settimana di giugno fu raggiunto l’apice del confronto tra Stato e Orgosolo. I militari si preparano per l’inizio delle esercitazioni ma, all’alba del 19, i lavoratori supportati dagli studenti iniziarono la marcia verso il sito militare. L’esercito si schierò sulla Provinciale con l’autocolonna di mezzi militari a fare da primo deterrente; seguì l’istituzione di un blocco da parte dei cittadini. L’esercito a questo punto si vide costretto ad apprire il fuoco: i militari lanciarono 3 bombe a mano che fortunatamente non provocarono vittime, ma nel frattempo il primo programma delle esercitazioni saltò proprio a causa dell’occupazione delle aree di tiro da parte dei protestanti.
Gli arresti
Il 23 l’esercito lanciò una vera e propria caccia all’uomo che prevedette l’impiego di drappelli e mezzi militari (elicotteri, carri armati) che portarono ai primi arresti per direttissima eseguiti dalla stessa questura di Nuoro. A questo punto entrarono in scena sindacati e partiti politici che appoggiarono la protesta e condannarono l’uso della forza da parte delle forze dell’ordine. Gli stessi esponenti politici proposero la rimessa in discussione del progetto e la conversione dei territori da aree militari ad aree di sviluppo economico.
L’esercito si ritira
Il 27 giugno l’esercito iniziò la ritirata. Fu il segno che la protesta era andata a compimento nella direzione voluta dalla popolazione. Da quel giorno seguì un progressivo abbassamento dei toni e un ritorno degli antagonisti alle posizioni normali: lo Stato ritirò l’esercito da Pratobello e gli orgolesi continuarono a far pascolare le loro greggi nelle campagne. L’agglomerato di Pratobello finì così per essere abbandonato e le costruzioni altrimenti destinate alla permanenza militare, furono definitivamente dismesse.
Il muralismo figlio di Pratobello
La Rivolta di Pratobello sarà uno dei temi principali che il muralismo di Orgosolo riprenderà in numerose opere sparse per le vie del paese. Il primo murale fu proprio realizzato nel 1969, ad opera di un gruppo di anarchici che si firmarono con lo pseudonimo di “Dionisio“. Le opere artistiche presero di mira l’arroganza dello Stato, il militarismo e le ingiustizie sociali.
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Il borgo di Pratobello
Pratobello è oggi un concentrato di ruderi in attesa di bonifica e di valorizzazione. Dopo l’episodio della Rivolta, furono completamente abbandonati tutti gli edifici: la chiesa, il refettorio, il quartier generale, la caserma, il dormitorio, la piazza centrale. L’area è accessibile, non c’è più il filo spinato ed è possibile visitare il posto approfittando del grande silenzio per riflettere sui fatti che accaddero cinquant’anni fa e conquistarono un posto di rilievo nella grande storia dell’Italia.