Fino agli anni ’60 nei paesi dell’hinterland cagliaritano, da Uta ad Assemini, a Serramanna fin su ad Arbus, era pratica assai comune quella di costruire le case usando i cosiddetti “ladiri” (dal latino “later” = argilla), i mattoni crudi di argilla. Una pratica che oggi è divenuta patrimonio storico, culturale e identitario di tante comunità campidanesi. Come appunto a Serramanna che ha avviato da alcuni anni un processo di sensibilizzazione attraverso la valorizzazione, anche in chiave turistica, del centro storico (piazza Martiri) dove ancora sono presenti le storiche abitazioni in ladiri e consentendo ai privati ancora in possesso, solo le ristrutturazioni che salvino i muri originali esterni.
TECNOLOGIA DI IMPORTAZIONE PUNICA
L’uso di questa tecnologia costruttiva è storia della Sardegna e ha chiare origini di importazione punica, come confermano la presenza di murature in ladiri nel sito archeologico di Nora. La tecnica ovviamente era già diffusa in tutti i paesi dell’Africa araba e del Medio Oriente, dove tuttora è una forma costruttiva adottata, soprattutto nei villaggi dei deserti dello Yemen, dell’Algeria, ma anche in Egitto, in Sud America (Perù e Cile) e nello Siri Lanka.
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IN ASSENZA DI PIETRE
A Serramanna e in gran parte del Campidano, si ricorse all’uso del mattone in argilla, paglia e fango perché il territorio non forniva pietre utili alla costruzione. Al massimo si usavano i grossi ciottoli del torrente Leni, rotondeggianti e poco adatti alla lavorazione.
Secondo le testimonianze dei vecchi operai di Serramanna, che ancora oggi ricordano lucidamente l’uso del ladiri, il cantiere per la costruzione della casa, era articolato in fasi precise:
- Lo scavo – nel luogo individuato dove si doveva innalzare la nuova casa, veniva effettuato una trincea che si riempiva di pietre e malta di fango o calce (sostituto del moderno calcestruzzo).
- L’elevazione – l’innalzamento della casa avveniva con la creazione di uno zoccolo in pietrame di circa un metro, sopra di cui cominciava ad essere tirato su il muro in mattoni, fissati, l’uno sull’altro con malta di fango.
- Il solaio – la posatura del solaio consisteva nell’impiego di travi e tavolati in legno.
- Il tetto – per il tetto la ricoperta si realizzava in tegole artigianali a base di argilla.
LA MANUTENZIONE
Le costruzioni in mattoni crudi erano sottoposte ad una manutenzione ordinaria, soprattutto per proteggerle dalle intemperie. La procedura prevedeva di ribattere una scaglia di pietrame mista a malta di calce (oggi si usa una reticella metallica fissata con i chiodi) oppure, per le pareti interne, si faceva un primo intonaco di argilla per pareggiare le asperità e sopra di esso, si passava un sottile strato d calce.
L’ARRIVO DEL CEMENTO SOPPIANTA IL FANGO
Con il boom economico degli anni ’60 pure in Sardegna arrivarono importanti cambiamenti nelle tecnologie costruttive. La diffusione del cemento e dei derivati ha accelerato enormemente i tempi di realizzazione delle case e abbattuto di conseguenza anche i costi. È così che pure a Serramanna, i blocchetti cementizi, dopo una breve parentesi di quello in trachite importato dalle cave di Serrenti, hanno rapidamente soppiantato quello in fango e argilla. Per quanto riguarda le coperture con le lastre ondulate di cemento e amianto, invece, ad avere la peggio sul mercato della concorrenza sono stati gli artigiani di Furtei, storici fornitori di tegole modellate a mano e poi cotte.
AMIANTO E MALATTIE
Sulla resa nella qualità di vita, tuttavia, non sempre si è raggiunto un effettivo miglioramento archiviando il vecchio sistema: le case di fango erano ben coibentate mentre quelle a blocchetti lasciavano l’aria interna umida d’inverno (responsabile di artrosi) e soffocante d’estate. In parte si rimediò costruendo camere d’aria in laterizio, adoperando blocchetti di calcestruzzo, oppure affidandosi quasi esclusivamente ai laterizi. I tetti in lastre ondulate di cemento e amianto invece, oltre a deturpare il paesaggio urbano (oggi non ancora del tutto scomparse a seguito di modifiche per motivi igienico-sanitari) accentuavano gli sbalzi termici del blocchetto cementizio.
COME SI REALIZZAVANO I LARDIRI
Nelle campagne di Serramanna (le aie di Sa Rosa) e più in generale attorno agli abitati dei più importanti centri campidanesi, vi erano, ai tempi del lardiri, numerose aziende artigiane che si occupavano di produrre i mattoni di argilla e paglia. Erano i cosiddetti “lardiraius“, abili e infaticabili lavoratori dotati di grande resistenza fisica. La procedura prevedeva:
- La preparazione dell’impasto (sa scioffa) – L’argilla veniva cavata e sbriciolata, sottoposta a setacciatura, quindi mischiata a paglia tritata.
- L’impastatura – Tutte le componenti venivano amalgamate con l’acqua, usando “sa marra” (la zappa) oppure i piedi dello stesso operaio che guazzava dentro scalzo.
- L’assestatura – L’impasto, una volta reso più plastico, si riversava, a dosi prestabilite, in appositi stampi in legno “su sestu“, lisciandoli nella parte superiore con le mani bagnate.
- L’essicamento – L’essicamento avveniva esponendo al sole per alcuni giorni le forme che venivano appositamente allineate secondo la proiezione dei raggi solari e lasciate essiccare.
- L’impilatura – Terminato l’essicamento, i mattoni si accatastavano in apposite impilature in attesa della vendita.
MALATTIE SUL LAVORO: UNA COSTANTE
Quello de is lardiraius era un lavoro molto pesante e causa di malattie. Frequenti erano infatti i casi di artrosi alle ginocchia ed alle mani, provocate dalla lunga permanenza a contatto con il fango, sia per preparare l’impasto che per confezionare i mattoni. A loro, alla loro fatica e alla loro inventiva, si deve il paesaggio rurale di gran parte dei centri storici campidanesi. Sul piano tecnologico, is lardiraius, altro non fece che riprendere un lavoro conosciuto già attorno al 4.000 a.C. da Caldei e Egizi.
- INFORMAZIONI TURISTICHE SERRAMANNA: Associazione Turistica Pro Loco via XXV Aprile tel. 070.913.2001.