Fra le testimonianze archeologiche più antiche spiccano, in tal senso, quelli che sono considerati l’espressione più tipica dell’unicità sarda: i nuraghi. Questi monumenti caratteristici della civiltà nuragica, sono sparsi in tutta l’isola e risalgono ad un periodo compreso fra il II millennio a.C. e il 1.100 a.C.
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Costruiti dalle antiche popolazioni native, i nuraghi sono complessi in pietra dei quali ancor oggi non si conosce con certezza la destinazione d’uso: è possibile che si trattasse di luoghi di culto, dimore signorili o fortezze militari. Si può comunque affermare che, anticamente, ogni nuraghe costituisse il fulcro della vita sociale. Di aspetto simile a torri ristrette verso l’alto, le costruzioni differivano fra loro per dimensioni e impianto strutturale: i più imponenti potevano raggiungere anche i 30 metri di altezza.
La più alta concentrazione di nuraghi visitabili si trova nella cosiddetta “Valle dei nuraghi“, un’area archeologica tra le più estese, che comprende oltre 30 resti di costruzioni megalitiche, sita nel territorio del Logudoro-Meilogu, ma anche nelle regioni della Trexenta e della Marmilla. Degne di nota sono anche i reperti trovati a Laconi, detto anche “il paese dei menhir“. La zona archeologica di questo paese della provincia di Oristano comprende resti di antiche capanne neolitiche e diversi menhir risalenti al III millennio a.C.
La Sardegna si distingue anche per la cospicua presenza di “domus de janas”, strutture sepolcrali preistoriche scavate nella roccia la cui costruzione è addirittura antecedente a quella dei nuraghi. In tutta l’isola ne sono state portate alla luce più di 2.000, ma molte rimangono ancora da scavare: è il caso di Pimentel in Trexenta, un complesso ancora parzialmente interrato. In molti casi, le domus de janas sono tombe molto articolate che formano vere e proprie necropoli sotterranee: le concentrazioni maggiori accorpano un gran numero di sepolture (anche più di 40) e sono dotate di un corridoio d’accesso e di un vestibolo. Tra le più famose spiccano Sant’Andrea Priu presso Bonorva e Anghelu Ruju nelle vicinanze di Alghero: quest’ultima è un raggruppamento particolarmente imponente, costituito da 36 ipogei.
A questi reperti si aggiungono i resti delle antiche città scomparse, che testimoniano l’incontro, avvenuto tra il IX e il III secolo a.C., delle antiche popolazioni autoctone con le culture punica, cartaginese e romana. Uno degli insediamenti più maestosi di questa particolare fase della storia sarda è Tharros, nel territorio di Oristano, all’estremo sud della penisola del Sinis. Fondata probabilmente prima del VIII secolo a.C., è una città ricchissima di storia: ai resti di età nuragica, infatti, vi si trovano sovrapposte rovine di età fenicia, cartaginese e romana. Ancora oggi è possibile passeggiare fra le sue stradine ammirando i resti di antiche pavimentazioni, templi, case, terme e botteghe.
Altra splendida città sarda scomparsa è Nora, prima città fenicia della Sardegna fondata nel VIII secolo a.C. Sita all’estremo capo di Pula, nel territorio di Cagliari, fu un grande centro amministrativo, commerciale e religioso; il suo sviluppo continuò sotto i romani, che la conquistarono nel III secolo a.C. facendone un importante municipium nonchè sede del governatore. Riportata alla luce alla fine dell’Ottocento, Nora rappresenta la massima espressione della sovrapposizione di diverse culture, con le sue stradine tortuose caratteristiche della cultura fenicia e le sue strutture tipicamente romane come il foro, l’anfiteatro e il grande acquedotto. Sulla vicina collina sorgono le rovine del tempio di Thanit, la più importante divinità cartaginese.