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Home » Cultura » Mirto di Sardegna, non solo liquore

Mirto di Sardegna, non solo liquore

SPECIALITA' SARDE

di Redazione
in Agroalimentare sardo, Cultura
Tempo di lettura: 5 minuti
Mirto di Sardegna

Il liquore di mirto più conosciuto è quello violaceo (che deriva dalla macerazione delle bacche mature), ma in commercio esiste anche il mirto bianco (con una gradazione inferiore e con un odore decisamente più dolce) ottenuto dalle foglie dell’arbusto.



La pianta del mirto non è nota però, solamente per le bacche da cui si estrae la famosa bevanda alcolica. Essa è, infatti, conosciuta fin dall’antichità per i suoi molteplici e innegabili benefici salutari. Alla pianta e ai suoi frutti sono attribuite proprietà variegate, tra cui si segnalano, quelle antinfiammatorie, quelle astringenti, e soprattutto quelle balsamiche.

Gli scritti antichi evidenziano come nelle diverse forme (per infuso, per decotto, o a volte direttamente masticate) le foglie e le bacche erano conosciute fin dall’epoca romana. Dalle iscrizioni risalenti alla Roma antica, si apprende la curiosità di come i patrizi romani usassero la foglia di mirto allo scopo di abbellire le spose, era uso preparare per le giovani coppie inoltre composizioni della pianta, che erano sistemate principalmente nel talamo matrimoniale. La spiegazione di tale usanza è giunta fino ai giorni nostri grazie alle opere dello scrittore Tito Livio, egli, infatti, spiega com’era credenza diffusa, che l’odore sprigionato dalla pianta potesse risvegliare l’eros, ed era per questo che era usata soprattutto nei primi giorni di un nuovo matrimonio, e che rametti di mirto erano regalati alla coppia, soprattutto dalle amiche della novella sposa.

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Sempre ai romani e precisamente al famoso dottore patrizio (vissuto nel primo secolo dopo Cristo) Discoride, si deve la prima collocazione “medicamentosa” dell’arbusto. Il famoso medico della Roma antica, individuava il mirto come un indispensabile e potente antisettico, era per questo motivo che durante gli interventi dell’epoca, le eventuali ferite, erano disinfettate con un decotto ricavato dalle foglie di mirto rosso.

L’arbusto era inoltre considerato sacro nell’antica Grecia, e veniva donato alle donne che facevano parti delle cosiddette “Amazzoni”. Si hanno anche delle iscrizioni antiche da cui si evince che il mirto in alcune culture antiche era associato al lutto, si pensa che tale associazione risalga al fatto che le case in cui ci era stata una morte recente venivano “listate” con rametti di mirto, esse però avevano lo scopo di profumare l’abitazione.

Con il passare degli anni la pianta è stata usata anche dalla ricerca cosmetica, soprattutto come base di molte creme detergenti. Le sue proprietà toniche e lenitive rendono perfetta la “pasta di mirto” per le pelli sensibili, e ancor oggi non sono rare delle creme, anche fatte in casa secondo le antiche ricette, che sono create allo scopo di ammorbidire la pelle femminile.

Ai giorni nostri il mirto è coltivato solamente in alcune parti del bel paese. La pianta, anche se capace di attecchire in tutto il meridione d’Italia, essendo una pianta arbustiva mediterranea, gode di una notevole notorietà solamente in Sardegna e nella vicina Corsica. Il popolo sardo l’ha perfino “adottato” come Prodotto Agroalimentare Tradizionale (PAT), esso è coltivato con preparazione e competenza da alcuni agricoltori specializzati, ma non è raro che in ogni giardino ve ne sia una piccola coltivazione casalinga.

La sua notorietà è cosi tanta, che quasi tutte le macellerie dell’isola espongono (e a volte regalano), rametti di mirto allo scopo di insaporire le carni rosse. Non è raro inoltre, che quantità minori di mirto, siano usate anche all’interno di dolci tradizionali (famose le crostate con il mirto), da provare anche il miele dell’arbusto, i dolci spesso sono presentati al cliente con l’immancabile bicchierino di digestivo a base di Mirto.

Molti sono inoltre le famiglie in cui per tradizione il liquore di mirto è fatto in casa, esso va bevuto ghiacciato e secondo i cultori della pianta, deve essere consumato in un intervallo che va dai sessanta ai novanta giorni dalla sua preparazione.

Tag: Agroalimentare sardoCulturaGastronomia
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