Il 16 gennaio, Aritzo, Bolotana, Bosa, Desulo, Budoni, Bolotana, Escalaplano, Nuoro, Orosei, ed Ussassai, festeggiano Sant’Antonio Abate con il caratteristico grande fuoco in piazza. Si tratta di una tradizione secolare che affonda le radici nella Sardegna più arcaica quando l’isola era ancora un mosaico di orientamenti pagani. Con l’avvento della cristianità , anche la Sardegna ha subito la nuova dominanza che ha introdotto nuove ritualità , nuovi dogmi ma in molti casi non è riuscita a stravolgere i connotati più forti delle religioni preesistenti. Per questo motivo, la stessa religione cristiana pur con la sua forza innovatrice, ha dovuto rimodulare molte tradizioni pagane pur di mantenere lo status di religione dominante assoluta.
In Sardegna, tra le tradizioni popolari entrate nella leggenda che hanno oltrepassato quasi indenni l’impatto con la rivoluzione cristiana, ci sono il Carnevale di Mamoiada e il Fuoco di Sant’Antonio.
LA SIMBOLOGIA DEL FUOCO
L’uomo ha da sempre stabilito col fuoco un rapporto unico che si è tradotto più volte in rituali caratteristici per ogni religione del mondo. Anche in Sardegna il fuoco occupa un ruolo preminente nella simbologia religiosa, accanto agli altri quattro elementi che stanno alla base dell’universo: l’aria, la terra e l’acqua. La sua dinamica misteriosa, la sua presenza silenziosa in stato di quiete, oppure di fragoroso crepitio nel picco della sua distruttiva voracità , sono tutte dinamiche naturali che hanno suscitato nell’uomo, mistero e paura, almeno fino a quando egli stesso non ne è diventato dominatore e creatore.
DAL PAGANO AL CRISTIANO
Nei paesi di Aritzo, Bolotana, Bosa, Desulo, Budoni, Bolotana, Escalaplano, Nuoro, Orosei, ed Ussassai, la tradizione del fuoco in piazza come rito pagano e poi cristiano (Teodosio, 319), è già presente nei documenti storiografici della seconda metà del XIX secolo, quando però, ha già tutti i connotati della nuova religione dominante che si è impadronita definitivamente di gran parte della simbologia pagana.
IL FUOCO
Il fuoco consiste nel far bruciare un’enorme catasta di legno (rosmarino, cisto) alta fino a 6 metri che durante il rogo produce un piacevole profumo di selvatico. In cima viene sistemata la croce in legno, a cui talvolta vengono legate delle arance (Dorgali) che i più giovani possono andare a prendere arrampicandosi appena le fiamme hanno iniziato a bruciare la base. Questo gesto sportivo altro non è che un richiamo al coraggio in segno di buon auspicio per la rigida stagione invernale. Nel frattempo, il “priore” (l’organizzatore della festa), serve ai cittadini radunati attorno al falò, un bicchiere di vino locale accompagnato dai pani e dai dolci tipici dell’inverno.
SANT’ANTONIO ABATE
Sant’Antonio Abate, detto anche sant’Antonio d’Egitto o sant’Antonio del Fuoco, muore nel deserto della Tebaide, proprio il 17 gennaio del 357. Egli era un eremita egiziano che fondò, secondo la tradizione, il monachesimo cristiano e il suo legame col fuoco è messo in relazione al fatto che egli avesse rubato all’Inferno una favilla incandescente per donarla agli uomini.