La filosofia greca classica nasce dapprima nelle colonie e solo dopo nella madrepatria. Sorge precisamente a Mileto, attiva colonia commerciale sulle coste dell’Asia minore. I continui scambi commerciali e i contatti con tradizioni e usi differenti sono causa di una grande apertura culturale e, probabilmente, anche di un certo senso di disorientamento rispetto al mondo di provenienza ed alla propria identità . A partire dalla realtà naturale nella quale immersi, è scaturito l’intento di trovarne una visione unitaria, andando alla ricerca di un principio primo in base a cui spiegare complessivamente l’origine del mondo e delle cose nonchè il loro divenire, come pure il loro destino una volta uscite dal mondo.
Filosofi naturalisti o “fisici” (dal greco “physis“) sono stati denominati gli esponenti della “Scuola di Mileto“, così chiamata, tutti contraddistinti dall’intendimento di ricondurre il principio primo della realtà , concepito come causa di tutte le cose particolari, ad un comune elemento naturale.
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Il termine greco “physis” viene abitualmente tradotto con “natura”, da non intendersi solo come complesso dei fenomeni che formano il mondo naturale ma anche, in senso più prossimo alla metafisica, come fondamento ed essenza della natura medesima e sua intima organizzazione.
Principio primo in greco si dice “archè”. Esso possiede tre significati:
- ciò da cui tutte le cose derivano, la loro origine e causa;
- ciò che permane identico nelle cose anche quando, col divenire, esse subiscono modificazioni;
- ciò che, oltre le cose singole e il loro cessare, continua a rimanere immutato: il fondamento del tutto, l’unità da cui tutto viene e a cui tutto ritorna.
Assolutamente innovativa è la ricerca della spiegazione della realtà attraverso i concetti di physis e di archè, giacchè costruita su di un nuovo tipo di razionalità dimostrativa che abbandona la spiegazione mitica. Il grande merito dei Milesi è quello di aver creato una nuova immagine di universo, ordinato e razionale, ove gli accadimenti non dipendono più dall’intervento, spesso capriccioso, degli dei, ma sono spiegati in esito a reciproci intrecci relazionali secondo principi regolari e costanti, suscettibili quindi di indagine.
TALETE (settimo e sesto secolo a.C.)
È stato l’iniziatore della filosofia della physis avendo per primo affermato che esiste un principio originario unico, causa di tutte le cose, individuato nell’acqua, influenzato per tal verso dalla constatazione che “il nutrimento di tutte le cose è umido”.
Invero il valore di Talete, ossia la grande rivoluzione operata che portò alla creazione della filosofia ed agli albori della civiltà occidentale, più che nell’individuazione dell’acqua come principio primo consiste nell’aver statuito per la prima volta il concetto stesso, filosofico-razionale, di principio originario, inteso non solo come origine e termine delle cose tutte ma altresì come elemento unitario della totalità della natura. In tal senso l’acqua di Talete non va interpretata come elemento sensibile, ma come simbolo volto a rappresentare l’unitaria sorgente comune in tutte le più diverse cose. Si tratta, come osservava Nietzsche, non di una proposizione scientifica, che sarebbe falsa, bensì di un asserto metafisico, quantomeno pre-metafisico, vale a dire una proposizione che, sempre rinnovata, troviamo in tutte le filosofie nel tentativo di esprimere al meglio che “tutto è uno“. In un asserto metafisico ciò che conta non è tanto il nome che si dà al principio primo quanto la risoluzione del molteplice nell’unità .
Da questo punto di vista l’affermazione di Talete risulta assai meno banale di quanto può sembrare a prima vista. Egli perciò non è soltanto il padre della filosofia ma anche l’autore del prototipo di una metafisica che troverà innumerevoli seguaci e imitatori: la metafisica immanentistica, ovvero non trascendente ma intramondana, interna al mondo.
Talete è un naturalista nel senso antico del termine e non un materialista nel senso moderno. Tant’è che l’acqua come principio è stata da lui concepita come principio vitale di natura divina. “Dio (ovviamente un Dio filosofico, non declinato in senso religioso), egli afferma, è la cosa più antica perchè ingenerato, ossia perchè principio”. Emerge in tal modo una nuova concezione della divinità , pensata come principio secondo criteri di ragione e non di immaginazione. Quando Talete ulteriormente afferma che “tutto è pieno di dei” vuol significare che ogni cosa è pervasa dal divino principio originario. E poichè il principio originario è vita, egli intende dire che tutto è vivo, che tutto è animato, anche le cose inorganiche. Con Talete, e con gli altri Milesi, gli dei non sono più le creature del mito, bensì le forze vitali nascoste nei recessi delle cose e della natura, razionalmente concepibili. Scompare l’aspetto aggressivo e pauroso anticamente attribuito dal mito alla collera degli dei e prevale l’atteggiamento dell’indagine.
ANASSIMANDRO (610-545 a.C.)
Discepolo di Talete, anche Anassimandro si pone la questione dell’unicità del principio, fornendo al riguardo una risposta più approfondita: il principio di tutte le cose, l’elemento primordiale, non può essere un elemento determinato, come i classici quattro elementi naturali, acqua, aria, terra e fuoco, perchè quel che si cerca di spiegare ne è invece l’origine. Individua perciò il principio in quello che da lui è denominato “à peiron”, che alla lettera significa senza limiti. Si tratta di un principio più astratto. Non si riferisce ad una sostanza di natura ma designa ciò che è inesauribile, quindi infinito ma anche indefinito, indeterminato, immaginabile come un magma indistinto da cui trovano poi nascita tutte le cose determinate. Questo infinito, scrive Anassimandro “appare come il divino perchè è immortale e indistruttibile”. Il principio, l’archè, deve essere una realtà che sta oltre ogni singola determinazione, posto che ogni determinazione è finita e, in quanto tale, non può dar conto dell’enorme diversità del molteplice. Tutti gli studiosi concordano nel riconoscere l’importanza del concetto di à peiron quale formulato da Anassimandro. Esso è in effetti il primo concetto di risvolto metafisico elaborato dalla filosofia greca, mentre in Talete troviamo soltanto una “intenzione” metafisica stante la marcata fisicità dell’elemento primordiale individuato nell’acqua
Anche Anassimandro, come Talete, è peraltro un naturalista; concepisce il principio non come trascendente il mondo naturale ma in esso immanente. In aggiunta però, mentre Talete non si era posto la domanda circa il come e il perchè dal principio derivino tutte le cose, Anassimandro intende invece dare una risposta.
Parte dalla considerazione che il mondo è costituito da una serie di elementi contrari e che questi tendono a sopraffarsi l’un l’altro (caldo e freddo, secco e umido, ecc.). Viene in qualche modo anticipata una prima concezione dialettica, conflittuale, della realtà . In questa volontà di sopraffazione di un contrario nei confronti dell’altro consisterebbe quell’ingiustizia per cui, secondo Anassimandro, tutte le cose sono destinate alla dissoluzione, pagando con ciò la colpa della loro prepotenza. In tale situazione il tempo è visto come giudice che assegna un limite a ciascuno degli elementi contrari, ponendo un termine al predominio dell’uno a favore dell’altro e viceversa. Appare innegabile in questa concezione un influsso delle esoteriche dottrine orfiche per quanto riguarda l’idea di una colpa originaria e dell’espiazione attraverso un ciclico dissolvimento e rinascita. Scrive in proposito Anassimandro: “Donde le cose traggono la loro nascita, ivi si compie anche la loro dissoluzione secondo necessità ; infatti reciprocamente pagano il fio e la colpa dell’ingiustizia, secondo l’ordine del tempo”.
Commenta Heidegger: “Si trova naturale che una considerazione della natura ancora primitiva descriva i processi che avvengono nelle cose in analogia con gli eventi quotidiani della vita. Così si spiega perchè il detto di Anassimandro parli di ingiustizia e giustizia, di ammenda e fio, di espiazione e soddisfazione. Concetti morali e giuridici si mescolano all’immagine della natura”.
Così come infinito è il principio, altrettanto, per Anassimandro, sono infiniti i mondi che, ciclicamente, tutti nascono e muoiono in maniera analoga. Il processo di generazione del cosmo e di tutti i mondi prende avvio da un eterno movimento vorticoso e circolare che avvolge l’à peiron, per cui l’infinito non è statico ma dinamico. Tale movimento provoca dapprima il distacco dall’à peiron dei contrari fondamentali: il caldo-freddo e il secco-umido. Da essi derivano poi, per condensazione e per rarefazione, tutte le altre cose. Il freddo, originariamente liquido, si raccoglie nelle cavità , costituendo i mari e l’acqua. Il fuoco trasforma il freddo in aria. La sfera del fuoco si spezza poi in tre, originando la sfera del Sole, della Luna e degli astri. Dai mari e dall’acqua, sotto l’azione del Sole, nascono i primi animali, di struttura elementare, da cui via via si sviluppano gli animali più complessi.
La Terra è immaginata in forma cilindrica, situata in equilibrio al centro dell’universo, senza bisogno di sostegni materiali.
Queste idee possono a prima vista sembrare puerili. Ma sono in modo singolare anticipatrici di teorie moderne: l’equilibrio delle forze a causa della gravitazione universale, che da sola, senza appoggi, regge la Terra e gli altri corpi celesti; l’origine della vita proveniente da animali acquatici; una prima rudimentale concezione dell’evoluzione delle specie viventi.
ANASSIMENE (sesto secolo a.C.)
Anassimene non riusciva a comprendere come fosse possibile far procedere da qualcosa di assolutamente indeterminato, come l’apeiron di Anassimandro, realtà ed eventi così molteplici e disuguali come quelli che l’esperienza quotidiana testimonia. Ritiene pertanto che il principio primo debba sì essere infinito ma non indeterminato. Individua questo principio nell’aria, tornando quindi ad identificarlo con un elemento naturale. Considera l’aria un principio che permette di dedurre in modo più logico e razionale la derivazione da essa di tutte le cose. Per la sua natura estremamente mobile, sostiene che l’aria si presta assai più ad essere concepita come perenne movimento e causa dell’origine e trasformazione delle cose per effetto del processo continuo di condensazione e rarefazione: l’aria condensandosi si raffredda e diventa acqua e poi terra; rarefacendosi e dilatandosi si riscalda e diventa fuoco.
Dagli storici della filosofia Anassimene è normalmente considerato inferiore ad Anassimandro. Ma gli antichi non erano di questo avviso. La validità dell’opinione degli antichi è stata recentemente ribadita da Giovanni Reale: “Non si può disconoscere – egli scrive – che Anassimene, con l’introduzione del processo di condensazione e rarefazione, fornisse la causa dinamica che fa derivare tutte le cose dal principio, causa di cui Talete non aveva ancora parlato e che Anassimandro aveva saputo determinare solo ispirandosi a concezioni orfiche”.
Viene in effetti semplificato il sistema un po’ macchinoso di Anassimandro. L’origine delle cose dall’aria è spiegato su base quantitativa, secondo il grado di condensazione e di rarefazione, senza ricorrere anche a spiegazioni qualitative, quali il distacco, la contrapposizione dei contrari e l’ingiustizia derivante dal loro vicendevole sopraffarsi. In tal senso si può dire che Anassimene anticipa la spiegazione meccanicistico-quantitativa della natura.