Lo storico americano Eric Williams (1911-1981) è stato uno dei più importanti studiosi della schiavitù nera negli Stati Uniti e concentrò parte dei suoi lavori sulle origini del fenomeno, quando ancora il Nuovo Mondo era una terra di conquista delle potenze coloniali europee.
Professore di Scienze Politiche e Sociali all’Howard University, Williams fu anche primo ministro della ex colonia britannica di Trinidad e Tobago.
Lo Williams collocò la schiavitù nera nella stessa prospettiva delle vessazioni patite nei secoli dalle classi diseredate di tutti i paesi ad opera delle loro classi dirigenti, in particolare nella prospettiva delle esigenze della nascente classe capitalistica inglese, disposta a sacrificare vite umane “sull’altare della sempre crescente produzione”.
PRIMA I ROSSI, POI I BIANCHI, QUINDI I NERI
Prima di essere nera la schiavitù d’America era stata indiana e bianca.
- Il lavoro degli Indios
Quando i conquistatori spagnoli prima e i coloni inglesi e francesi poi, giunsero in Nord America, catturarono migliaia di indigeni e li costrinsero a lavorare nelle miniere e nelle piantagioni. Il fenomeno si svolse tra il 1600 e il 1700 e il commercio di tale mano d’opera schiavista raggiunse la sua massima espressione in Virginia e in Carolina del Nord dove nel 1708 furono schiavizzate fino a 4.300 persone. I prigionieri di guerra indiani diventarono automaticamente schiavi. Le stesse tribù indiane alleate dei coloni, come i Chickasawas e i Westos, scambiarono coi bianchi migliaia di membri appartenenti alla loro etnia con armi da fuoco. La destinazione di questi schiavi pellerossa era quella delle piantagioni nel sud est del continente, come quelle dei Caraibi e del New England.
- Gli indiani non erano adatti al lavoro meccanico
Sebbene i nativi fossero stati utilizzati da subito come schiavi, questa pratica, da un punto di vista economico si rivelò ben presto non redditizia. Gli indiani infatti cedevano alla fatica e si dimostravano incapaci di adeguarsi al nuovo tenore di vita. Risultarono invece economicamente più vantaggiosi i servi bianchi, ingaggiati in Europa per contratto e destinati a servire nelle piantagioni per un tempo determinato.
- I servi bianchi sostituirono gli schiavi rossi
Nel corso del XVII secolo giunsero dal Vecchio Mondo decine di migliaia di servi bianchi che vennero impiegati nelle piantagioni. Si trattava spesso di condannati alle deportazioni per ragioni politiche o religiose. Le loro condizioni non erano più lievi di quelle a cui saranno sottoposti negli anni successivi i neri acquistati in Africa. La differenza consisteva nel fatto che per il servo bianco la perdita della libertà era di durata limitata e poteva sempre sperare, al termine del contratto, di divenire piccolo proprietario agricolo. Mentre per il nero la condizione di subalternità era perpetua. Oltre a ciò la condizione servile del bianco non si trasmetteva ai discendenti, mentre i bambini neri erano schiavi per il fatto stesso d’essere nati da madre nera.
- Lo schiavo nero fu preferito al servo bianco
La schiavitù nera prevalse su quella bianca perché il lavoro nero risultò meno costoso e più redditizio. “Sia la schiavitù indiana sia la servitù bianca dovevano dunque cedere il passo di fronte alla superiore resistenza, docilità e capacità di lavoro dell’uomo nero”.
COME TERMINO’ LA SCHIAVITU’
A far cadere dunque la necessità di ricorrere a questa forma di sfruttamento umano fu la necessità di ridurre delle perdite economiche. Non si trattò dell’insorgere di ragioni umanitarie, ma del mutamento dei rapporti di produzione determinato dalla rivoluzione industriale. Lo schiavo ad un certo punto si dimostrò non più conveniente.
LA SCHIAVITU’ ISTITUZIONE ECONOMICA
La schiavitù era un’istituzione economica di primaria importanza sin dalle antiche società greche e romane. In età moderna invece il ricorso alla schiavitù fu mosso dalla necessità di avere più mano d’opera a disposizione visto che quella disponibile tra i soli abitanti dell’Europa era troppo poca. Erano i secoli del massimo espansionismo coloniale di Portogallo, Spagna, Inghilterra, Olanda e Francia, che si spartivano da est a ovest del mondo le nuove terre conquistate. Terre vergini dove poter avviare produzioni agricole e sfruttamenti di materie prime con abbondanze mai viste prima. Per fare ciò era dunque necessario avere uomini disposti a compiere lavori faticosi senza che ciò incidesse oltremodo sul netto dei ricavi. La soluzione fu la schiavitù, affiché questi lavori si svolgessero con la massima efficienza e la massima efficacia fino all’ottenimento del prodotto finito che poi doveva essere immesso nel mercato.
MANO D’OPERA: DAL ROSSO AL NERO PASSANDO PER IL BIANCO
Per risolvere la carenza di mano d’opera l’Europa si rivolse prima agli indigeni americani, poi alla servitù interna, quindi all’Africa. La schiavitù non nacque dunque dal razzismo; al contrario il razzismo fu una conseguenza della schiavitù. La schiavitù nacque invece come fenomeno economico, necessario a generare ricchezza. Pertanto, il lavoro non libero del Nuovo Mondo era di pelle bruna, rossa, bianca, nera e gialla; ma poteva anche essere cattolica, protestante o pagana.
- Prima i pellerossa
Il primo fenomeno di commercio e lavoro schiavistico apparso nel Nuovo Mondo investì gli indigeni. Questi antichi abitanti dell’America tuttavia cedettero rapidamente alla fatica eccessiva loro imposta, all’alimentazione insufficiente, alle malattie importate dall’uomo bianco e alla stessa loro incapacità di adeguarsi al nuovo modo di vita. Abituati a una vita di libertà, la loro costituzione fisica e il loro temperamento mal si adattavano ai rigori della schiavitù di piantagione. “Sottoporre l’indiano al monotono, duro e malsano lavoro delle miniere, privo del significato tribale e di rituale religioso – scriveva l’etnologo cubano dell’Università dell’Avana, Fernando Ortiz, (1881-1969) – era come privarlo del significato della sua vita. Equivaleva a ridurre in schiavitù non solo i suoi muscoli ma anche il suo spirito collettivo”.
Nelle loro colonie l’Inghilterra e la Francia seguirono l’esempio spagnolo di ridurre in schiavitù gli indiani. Tuttavia gli stessi Spagnoli di lì a poco scoprirono che “un nero valeva quattro indiani“.
Nelle future coltivazioni del Nuovo Mondo, zucchero e cotone, le nuove esigenze produttive di un mercato famelico in espansione richiedeva una forza che l’indiano non possedeva. I padroni avevano dunque bisogno del robusto “nero da cotone” o del “mulo da zucchero“.
La riserva indiana era inoltre limitata, mentre quella africana era inesauribile. I neri furono perciò razziati in Africa per lavorare le terre razziate agli indiani in America.
LA SERVITU’ BIANCA
Il successore immediato dell’indiano non fu però il nero, bensì il bianco povero. I servi bianchi erano di vario tipo. Alcuni erano “servi per contratto“, così chiamati perché prima di partire dalla madrepatria avevano firmato un contratto, reso coattivo per legge, che li impegnava a servire per un certo periodo di tempo in cambio della traversata. Altri ancora, noti come “servi a riscatto“, concordavano col capitano della nave di pagare la traversata all’arrivo o entro un dato periodo di tempo; se non lo facevano erano venduti dal capitano al miglior offerente. Altri infine erano dei condannati, deportati oltremare, per una intenzionale politica del governo, a scontare la pena per un periodo determinato.
- In Europa non c’è spazio per la tolleranza politica e religiosa
All’inizio questo servizio temporaneo non era frutto di inferiorità o degradazione. Molti dei servi erano affittuari di tenute signorili che fuggivano alle fastidiose restrizioni del feudalesimo, oppure che andavano in cerca di libertà dall’oppressione dei grandi proprietari e dei vescovi (irlandesi), oppure ancora che fuggivano dalle devastazioni della guerra dei Trent’anni (tedeschi).
Costoro portavano nel cuore una profonda sete di terra e un’ardente aspirazione di indipendenza. Venivano alla terra che offriva l’opportunità di essere liberi, con l’immaginazione profondamente colpita dalle splendenti e fantasiose descrizioni che se ne facevano in patria.
Attorno a questi servi si sviluppò un regolare commercio. Tra il 1654 e il 1658 dalla sola Bristol (Inghilterra) ne partirono diecimila, per lo più diretti verso la Virginia e la Pennsylvania.
Un altro flusso regolare di lavoro bianco era costituito dai condannati. Nel 1664 furono avanzate proposte per esiliare nelle colonie tutti i vagabondi, i furfanti e gli oziosi, i ladruncoli, i girovaghi e le persone licenziose.
- I condannati possono servire in America
Lo scienziato e letterato di Filadelfia, Benjamin Franklin (1706-1790) parlò di “…scarico sul Nuovo Mondo dei rifiuti del Vecchio Mondo”. Ma la realtà fu che il Nuovo Mondo era disposto ad accogliere ogni tipo di gente pur di avere a disposizione forza lavoro per edificare ciò che era necessario in questa fase iniziale di insediamento coloniale. Quindi anche i criminali sebbene con condanna capitale finirono per essere ben accolti dalle colonie, anche perché la “spedizione” di questa forza lavoro avveniva a carico del governo inglese.
I disordini politici e civili in Inghilterra tra il 1640 e il 1740 accrebbero l’offerta di servi bianchi. I nonconformisti politici e religiosi pagavano la loro eresia con la deportazione soprattutto nelle isole dello zucchero.
L’intolleranza religiosa diede anch’essa il suo contributo alle deportazioni. Nel 1661 i quaccheri che rifiutavano per la terza volta l giuramento vennero deportati. Anche coloro che si erano riuniti in gruppi di cinque o più a scopo religioso vennero deportati. Ad una simile politica si ricorse dopo le rivolte giacobine del Settecento.
- Gli intellettuali denunciano la servitù
La condizione di questi servi bianchi peggiorò progressivamente nelle piantagioni. La servitù, che in origine era stato un libero rapporto personale fondato su un contratto volontario a tempo in cambio del trasporto e del mantenimento, si trasformò col tempo in un rapporto di proprietà che permetteva, durante il periodo di servizio, un controllo di varia intensità sui corpi e sulle libertà delle persone.
Daniel Defoe (1660-1731), giornalista e romanziere, autore del celebre romanzo “Robinson Crusoe“, riportò in una delle sue cronache, che “…nel Maryland la servitù si convertì in una istituzione che per vari aspetti era assimilabile alla schiavitù. Nelle piantagioni di zucchero delle Barbados (isola del Golfo del Messico), i servi vivevano lavorando ai mulini e alle fornaci, oppure facendo operazioni di scavo; non avendo per nutrirsi altro che radici di patata e per bere l’acqua in cui lavavano quelle radici. I servi venivano comprati e venduti da una piantagione all’altra, oppure sequestrati per i debiti dai loro padroni, frustati e alloggiati anche in porcili”.
Il servo bianco era dunque di fatto uno schiavo, anche se la legge prevedeva che “la perdita della libertà era di durata limitata”, mentre per lo schiavo (il nero o l’indiano) “era perpetua”.
DALLE PIANTAGGIONI AL FAR WEST
La condizione servile non si trasmetteva ai discendenti, mentre i bambini neri assumevano lo status di schiavi della madre. Il padrone non ebbe mai – sulla base di ciò che diceva la legge – un controllo assoluto sulla persona del servo come lo aveva sulla persona dello schiavo. Il servo aveva dei diritti, limitati ma riconosciuti e contemplati da un contratto. Allo scadere del contratto, il servo poteva aspirare a un pezzo di terra.
Il servo che proveniva dall’Europa poteva perciò sperare di trovare presto in America quella libertà che il rapporto feudale gli negava. I servi liberati divennero piccoli proprietari contadini, insediati nelle zone interne, forza democratica di una società di grandi proprietari aristocratiche a piantagione, e furono i pionieri della espansione verso Ovest.
I BIANCHI COSTANO TROPPO E RENDONO POCO
La servitù bianca tuttavia presentava dei seri inconvenienti. L’afflusso di servi diventava sempre più difficoltoso e le esigenze delle piantagioni eccedevano il volume delle condanne in Inghilterra. Per giunta, i mercanti si trovavano coinvolti in numerose cause legali vessatorie e costose, ad opera di gente che dopo essersi dichiarata disposta ad emigrare e aver prelevato l’anticipo di cibo e vestiario, faceva causa per detenzione illegale. In più, una volta adempiuta la sua obbligazione il servo puntava alla terra, mentre per il nero che viveva in un ambiente estraneo, richiamando su di sè l’attenzione per il colore e i tratti somatici, nell’ignoranza della lingua e delle usanze dell’uomo bianco, la terra era eternamente inaccessibile.
Le differenze razziali aiutavano a giustificare razionalmente la schiavitù nera, ad esigere dallo schiavo l’obbedienza meccanica di un animale da tiro o da soma, a richiedere quella rassegnazione e quella totale sottomissione morale e intellettuale che da sole rendevano possibile il lavoro schiavistico. Ma il fattore decisivo fu che lo schiavo negro costava meno.
L’origine della schiavitù nera fu dunque economica, non razziale. Essa non concerneva il colore della pelle, ma il fatto che il lavoro era a buon mercato. A confronto con la schiavitù indiana e la servitù bianca, la schiavitù nera era nettamente migliore da un punto di vista economico: la superiore resistenza fisica e la docilità dell’uomo nero erano inarrivabili per il bianco e il rosso.
Le caratteristiche somatiche dell’uomo nero, come la capigliatura, il colore della pelle, la dentatura, le sue asserite caratteristiche “subumane” furono solo teorizzazioni successive per giustificare una semplice realtà economica, e cioè che le colonie avevano bisogno di lavoro e ricorsero al lavoro nero perché era migliore e meno caro. Si trattò dunque di una scelta pratica, di “moneta spicciola” si potrebbe dire volgarmente, ricavata dall’esperienza personale del padrone delle piantagioni.
Fonte: “Capitalismo e schiavitù”, Eric Williams, Laterza Bari,1971.