Il Progetto Manhattan (1939-1946) fu il piano di ricerca che portò alla realizzazione della prima bomba atomica e fu condotto dagli Stati Uniti con la collaborazione del Canada e del Regno Unito.
Il progetto nacque nel 1939 e coinvolse oltre 130 mila persone tra ricercatori, tecnici e operai. Il costo dell’impresa è stato stimato per una cifra che raggiunse quasi i 2 miliardi di dollari con oltre il 90% spesi per la realizzazione di edifici e la produzione della materia prima per lo svolgimento della fissione, mentre, il resto dei costi è stato sostenuto per la produzione dell’arsenale in grado di sprigionare l’energia di questa nuova arma.
Durante la fase di ricerca e sperimentazione, svoltasi nei laboratori dei tre paesi coinvolti, pure la Germania di Hitler si mosse nella stessa direzione della realizzazione della bomba atomica. Nel frattempo, l’Unione Sovietica, pur rimanendo lontana da questa impresa per deficit culturali, economici e di sistema, arrivò a conoscere le operazioni americane attraverso una propria operazione di spionaggio.
DUE BOMBE ATOMICHE DIVERSE
Alla fine del percorso di ricerca gli americani arrivarono ad individuare due bombe atomiche distinte, una avente come materiale fissile l’uranio, sganciata sulla città di Hiroshima il 6 agosto del 1945 e una a base di plutonio, sganciata sulla città di Nagasaki tre giorni dopo.
La creazione della bomba atomica per gli Stati Uniti significò sancire la propria potenza militare ed economica sulla parte del mondo ad essi avversi e aprì le porte alla creazione di due blocchi, uno occidentale con gli Stati Uniti leadership di riferimento e uno comunista con l’Urss principale attrice di influenza.
**Il Re del Belgio Leopoldo III sul fronte belga osserva lo stato di salute delle sue truppe dopo l’attacco tedesco del 1940.
LE PRECONDIZIONI STORICO-SCIENTIFICHE AL PROGETTO MANHATTAN
La prima operazione di disintegrazione atomica venne svolta nel 1919 sotto forma di esperimento dal fisico neozelandese Rutherford. Ad essa seguirono nuove ricerche in meccanica quantistica che arrivarono a prevedere il comportamento delle particelle subatomiche (protoni, neutroni ed elettroni). Nel ’32 Chadwick (inglese) dimostrò l’esistenza del neutrone; nel ’33 l’ebreo ungherese Szilà¡rd – che già intuì le potenziali pericolosità di armi costruite per sprigionare energia nucleare – teorizzò su una possibile reazione a catena autosostenibile di fissioni nucleari; l’anno dopo, l’italiano Fermi scoprì che attraverso il bombardamento neutronico dell’atomo si formavano dei neutroni; infine, gli scienziati Meitner e Frisch riconobbero nell’instabilità dell’uranio l’enorme potenziale energetico della sua facile divisibilità . Esperimenti di fissione nucleare furono fatti alla fine degli anni ‘30 ad opera dei due fisici tedeschi Strassmann e Otto; mentre, all’inizio del decennio successivo, il fisico statunitense Lawrence arrivò a costruire il primo acceleratore di particelle (il ciclotrone).
- Le riserve americane all’ingresso in guerra rallentano la ricerca
Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale gli Stati Uniti rimasero riluttanti sull’entrata in guerra a causa dell’orientamento isolazionista e pacifista di parte dell’opinione pubblica e della classe politica, nonchè per le riserve di una possibile spirale negativa che avrebbe potuto mettere in pericolo la sicurezza nazionale stessa. Questo stato di esitazione americana frenò il governo e gli organi militari nello stanziare investimenti sulla ricerca scientifica in campo nucleare per scopi bellici.
Nel contempo, tuttavia, anche l’industria delle armi americana già siglava affari con i governi europei in guerra (compresi quello nazista di Hitler e quello fascista di Mussolini) per la vendita di materiale bellico.
- Gli effetti collaterali delle discriminazioni razziali in Germania
Sul versante tedesco invece la ricerca nucleare per scopi bellici giunse ad un punto morto quando Hitler decise di implementare sul proprio territorio le leggi razziali che presero di mira, prima di tutto, gli ebrei. Questa etnia in Europa come in Germania, però, annoverava tra le sue genti una lunga e solida tradizione scientifica al punto che vari centri di ricerca sparsi per le università tedesche, slovacche e polacche, erano spesso dirette da professori ebrei. Nel campo della fisica ad esempio c’era la cosiddetta “fisica ebraica” ovvero un filone di ricercatori di origine israelitica che si occupava tra le altre cose proprio di portare avanti gli studi in ambito nucleare. La politica razziale hitleriana spinse così molti professori – non solo israeliti – ad abbandonare le università tedesche ed emigrare all’estero, specialmente in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, dove poterono continuare ad esercitare liberamente (e con incentivi) la loro professione.
** La ritorsione indotta delle leggi razziali tedesche sarà poi nota quando la storiografia entrerà a far luce sulle dinamiche che hanno portato gli Stati Uniti ad avere per primi la bomba atomica e dare un’impronta definitiva all’esito della guerra.
**Foto di Eduardo Casajus Gorostiaga (Unsplash)
- Il clan degli ungheresi
I fisici ungheresi di origine ebrea Leo Szilard, Eugene Wigner ed Edward Teller furono tra coloro che, formatisi in Europa dell’Est (Budapest), furono costretti alla fuga negli Usa per non finire uccisi nei rastrellamenti nazisti. Nelle università del Nuovo Mondo questi ricercatori trovarono subito spazio e vennero accolti a braccia aperte anche perchè erano in grado di fornire nuovi elementi di ricerca sviluppati nella terra d’origine. Questi tre in particolare, facenti parte del cosiddetto “clan degli ungheresi”, furono capaci di allertare le autorità americane sul pericolo che Hitler potesse arrivare per primo alla realizzazione della bomba atomica e che ciò avrebbe significato un pericolo anche per gli stessi Stati Uniti.
- Hitler pronto a comprare l’uranio dal Belgio
A dare ulteriore preoccupazione ai fisici ungheresi che Hitler riuscisse a costruire il terribile ordigno vi era il fatto che il fà¼hrer potesse entrare in possesso di ingenti quantità di uranio acquistandole dal Belgio. La corona belga infatti era la proprietaria delle miniere di Shinkolobwe in Congo, dove si estraeva proprio uno dei principali materiali fissile nucleari: l’uranio appunto. Per questo motivo decisero di scrivere una lettera ai regnanti belgi per chiedere loro di non vendere l’uranio a Hitler.
- Il contributo di Albert Einstein
La lettera fu scritta da Szilard ma i fisici ungheresi chiesero, per dare maggior enfasi, un contributo al più grande scienziato dell’epoca, il tedesco Albert Einstein che proprio in quel periodo viveva a New York. A questi fu infatti chiesto di leggere la lettera, di rivisitarla ed eventualmente di aggiungere qualcosa di suo pugno, cosa che egli fece senza esitazione una volta capita la gravità del pericolo. Einstein fece infatti la chiusa della lettera e la firmò.
- Da Leopoldo III a Roosevelt
Prima che però la lettera fosse spedita, l’economista Alexander Saschs, amico di Szilard, venne a conoscenza dell’operazione e suggerì a Szilard di riscriverla e indirizzarla direttamente al presidente americano Roosevelt dando particolare enfasi al pericolo imminente anche per gli Stati Uniti se l’eventualità che Hitler li avesse anticipati nella realizzazione della bomba atomica e che quindi fosse necessario stanziare dei soldi per accelerare la ricerca.
** Albert Einstein nel 1947 – Foto di Orren Jack Turner
- La nascita del Comitato consultivo per l’uranio
Il 15 agosto del 1939 la lettera fu inviata a Sachs e solo l’11 ottobre questi arrivò a leggerla direttamente al presidente americano. La risposta del capo degli Stati Uniti fu prima di tutto la realizzazione di un “Comitato consultivo per l’uranio” – che diventerà la base del Progetto Manhattan – a cui parteciparono direttamente i fisici ungheresi Wigner, Szilard, Wigner, l’economista stesso Sachs, oltre a Briggs e ad alcuni alti gradi militari, tra cui Adamson (Esercito americano) e Hoover (Marina).
- Le perplessità dei militari americani sul potenziale distruttivo della bomba
Il confronto tra ricercatori e militari in seno al comitato avvenne non senza scetticismo da parte di questi ultimi verso l’ipotesi di realizzazione di un’arma così distruttiva, pari, secondo le stime avanzate dai fisici ungheresi, a 20 mila tonnellate di detonanti tradizionali fino ad allora normalmente impiegati in guerra. Nonostante le riserve tuttavia fu approvata la prima richiesta di denaro (6 mila dollari) per l’acquisto di grafite e con ciò fu redatto il primo rapporto che venne direttamente inviato al presidente americano il quale, tuttavia, deliberò solo per lo stanziamento.
- La macchina parte lenta: la bomba richiede troppo uranio
Da questo primo momento il Comitato entrò in un periodo di stallo sul piano della ricerca ma anche di osservazione indiretta degli altri laboratori in giro per il mondo che si stavano occupando della stessa materia, tra cui i fratelli francesi Joliot-Curie e l’istituto tedesco Kaiser Wihelm. In America invece le università presentarono gli esiti delle prime ricerche sull’utilizzo di neutroni lenti nel processo di reazione a catena esplosiva e stimarono che la quantità di uranio necessaria a sviluppare un ordigno efficace era molto grande: si parlò di diverse decine di tonnellate del raro metallo.
- La separazione degli isotopi di uranio: il contributo della Gran Bretagna
La svolta a questo punto giunse dalla Gran Bretagna, dove due fisici tedeschi Rudolf Peierls e Otto Frisch, ottennero una facile separazione degli isotopi dell’uranio attraverso la termodiffusione gassosa. Gli esperimenti da loro condotti misero in luce che per innescare una velocissima reazione a catena era necessaria una quantità di uranio variabile tra cinquecento grammi e un chilo così da ottenere un grandissimo effetto esplosivo. Si trattava dunque di una scoperta importantissima tanto che Peierls e Frisch produssero una relazione tecnico-scientifica sull’esperimento che vide l’isotopo uranio-235 e i neutroni veloci, elementi fondamentali per la realizzazione del super esplosivo dagli effetti devastanti. Tutti i dati vennero inviati al Comitato inglese che aveva il compito di integrare gli esiti della ricerca scientifica con l’applicazione in guerra.
- Peral Harbor segna la svolta
Nonostante questi passi avanti a livello scientifico, politico e militare, gli Stati Uniti ancora non avevano dato l’accelerazione necessaria all’applicazione del nucleare bellico perchè ufficialmente il paese non era ancora entrato in guerra. Al punto che, il 5 dicembre del 1941, quando avvenne l’attacco giapponese a sorpresa a Pearl Harbor il programma nucleare americano era ancora nel fumoso campo della sperimentazione.
** foto aerea giapponese poco dopo il primo attacco a Pearl Harbor: un siluro ha appena colpito la nave da guerra “West Virginia”
- Lo zampino di Enrico Fermi: costruisce il primo reattore
Mentre in Gran Bretagna si era arrivati ad individuare la massa critica necessaria ad un’esplosione soddisfacente, dall’altra parte dell’oceano, negli Stati Uniti, il 2 dicembre 1942, alla Columbia University, il fisico italiano Enrico Fermi, aveva costruito un prototipo di reattore nucleare, la cosiddetta “pila di Fermi” che dimostrava quanto fosse possibile sfruttare l’energia di fissione proveniente da atomi instabili.
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- Il Progetto Manhattan prende corpo
Sulla scia di queste scoperte (Peierls e Frisch con la separazione dell’isotopo-235 attraverso la termodiffusione gassosa, Fermi con l’invenzione del primo reattore nucleare) il governo americano decide di orientare alcuni stanziamenti, 400 milioni di dollari, verso l’applicazione delle ricerche scientifiche nucleari in ambito bellico creando nuovi centri di ricerca nucleare sparsi un po’ su tutto il territorio nazionale e iniziando i primi test con la supervisione di militari e scienziati. Tra le altre cose, in questo periodo, si arrivò anche allo sviluppo applicativo definitivo del sonar e del radar.
- Il problema della massa critica
Uno dei maggiori problemi che i fisici del Progetto Manhattan avevano incontrato nel cammino della ricerca che avrebbe dovuto portare alla realizzazione della prima bomba atomica della storia, fu quello di individuare la quantità di materia prima (ad un certo livello di purezza) necessaria per innescare il processo di “reazione esplosiva a catena”, ovvero la “massa critica”. Nonostante gli esiti della ricerca inglese era infatti necessario andare oltre.
- La tecnica del cannone
I primi esperimenti per individuare questo valore furono quelli di sparare alla velocità di un colpo di artiglieria una piccola quantità di materiale fissile (uranio) su una massa costituita dello stesso materiale fissile: uranio contro uranio. Questa tecnica, definita la “tecnica del cannone” aveva come bersaglio una massa del materiale fissile inferiore al valore critico cosicchè, attraverso il bombardamento, fosse possibile superare tale limite e innescare il processo di esplosione attraverso una reazione a catena di tipo divergente. La tecnica del cannone risultò idonea per la bomba all’uranio (sganciata su Hiroshima), ma non per quella al plutonio (sganciata su Nagasaki), in quanto, quest’ultimo, era già in grado di emettere spontaneamente più neutroni dell’uranio al punto da poter provocare una pre-detonazione che avrebbe disperso una frazione di energia.
- La tecnica dell’implosione
Per la realizzazione della bomba al plutonio, utilizzata nell’attacco alla città di Nagasaki fu utilizzata, come alternativa alla tecnica del cannone quella dell’implosione. Il plutonio si ottiene bombardando con neutroni lenti l’uranio-238.
Al termine di questo percorso di ricerca per la creazione di una bomba atomica si arrivò dunque alla creazione di due ordigni, con due materiali fissili differenti: il plutonio e l’uranio.
LA LITTLE BOY (= ragazzo piccolo): LA BOMBA ATOMICA SU HIROSHIMA
Su Hiroshima – il 6 agosto del 1945 – fu sganciata la “Little Boy”, un ordigno composto da Uranio-235, un isotopo dell’uranio che venne separato attraverso la diffusione gassosa dalla parte non adatta, l’Uranio-238.
LA FAT-BOY (= ragazzo grasso): LA BOMBA SU NAGASAKI
Il secondo progetto di ricerca per la creazione della bomba atomica riguardò quella che venne sganciata su Nagasaki il 9 agosto del 1945. In questo caso il materiale fissile utilizzato fu il Plutonio-239 che diventa critico per implosione.
Autore dell’articolo: Pierpaolo Spanu
Foto di copertina: Science in HD (Unsplash)