La Corte d’Appello ha confermato la condanna dei camorristi responsabili di aver minacciato di morte Roberto Saviano e una sua collega giornalista. Saviano sotto scorta, ma la sentenza che riconosce la gravità di quelle intimidazioni, ma che lascia irrisolto un nodo ancora più inquietante: la condizione di isolamento e pericolo in cui continuano a vivere coloro che raccontano la verità sulla criminalità organizzata.
Roberto Saviano, da anni sotto scorta per il suo lavoro di denuncia, non è solo. Con lui, anche altri giornalisti, attivisti e scrittori continuano a vivere una libertà dimezzata, in un Paese che troppo spesso lascia soli i propri testimoni scomodi.
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🔇 Saviano sotto scorta: una condanna ignorata dalla TV pubblica
Nonostante la rilevanza nazionale della sentenza, la TV pubblica italiana non ha dato notizia della condanna. Nessun titolo in prima serata, nessun dibattito, nessun approfondimento. Una scelta che fa rumore, soprattutto in un contesto in cui l’informazione dovrebbe essere il primo strumento di tutela della legalità e della democrazia.
Il silenzio mediatico non è solo una dimenticanza: è un segnale. E questo segnale sembra dire che la lotta alla criminalità organizzata non è più una priorità narrativa per chi ha in mano il potere dell’informazione pubblica.
🧨 La retorica della “scorta inutile”: quando la politica delegittima la verità
A rendere la situazione ancora più grave, ci sono le dichiarazioni di alcuni esponenti politici, anche della maggioranza di governo, che negli ultimi anni hanno apertamente messo in discussione l’utilità della scorta a Saviano, talvolta in modo sprezzante, altre volte sottintendendo che la protezione dello Stato sia una forma di privilegio.
Una narrazione tossica, che delegittima chi combatte la criminalità e incoraggia l’indifferenza. La scorta, ricordiamolo, non è un premio. È una misura estrema e dolorosa per chi, in un Paese democratico, dovrebbe poter vivere libero e sicuro.
Saviano sotto scorta: una democrazia sotto pressione
Quello che accade a Roberto Saviano e alla sua collega non è solo una questione personale: è un termometro della salute democratica di un Paese. Quando lo Stato condanna chi minaccia, ma dimentica chi è costretto a vivere sotto protezione; quando i media tacciono, e la politica deride; quando la verità è pagata con la libertà, allora è la coscienza pubblica a essere in pericolo.
In Italia, la lotta alla mafia non si è mai conclusa. Ma oggi rischia di diventare una guerra dimenticata, combattuta da pochi, ascoltata da nessuno.
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