“Sos cuiles” o, italianizzando i termini “gli ovili”, sono le ultime testimonianze della vita pastorale nelle impervie alture del Supramonte, la dove, fino agli 50-60 del secolo scorso, i pastori di Urzulei, Baunei, Dorgali, Oliena e Orgosolo avevano creato un sistema di sfruttamento economico dell’allevamento di capre e maiali affrontando di petto la natura più selvaggia e inospitale della Sardegna che non consentiva nessun’altra forma di sopravvivenza.
CUILES E CAPANNE NURAGICHE
Secondo le analisi storiche e archeologiche i cuiles sono un’eccezionale opera di ingegneria rurale di chiara derivazione nuragica, in quanto è netta la somiglianza della principale infrastruttura con le capanne nuragiche. Del resto, gli stessi antichi abitatori della Sardegna erano, oltre che dei valorosi guerrieri, un popolo di pastori e agricoltori che si dovettero adattare all’asprezza del territorio sardo per sopravvivere e prosperare.
LA SCELTA DEL PUNTO
La prima mossa da fare per la costruzione del “cuile” era l’individuazione del luogo dove doveva essere eretto. Si trattava spesso di uno spiazzo naturale al centro della piana di un altopiano, oppure un luogo sopraelevato dove poter controllare meglio il bestiame al pascolo o avvistare preventivamente eventuali minacce (ladri e malfattori che a quei tempi spesso sceglievano il Supramonte come luogo di fuga dalla giustizia).
LA CAPANNA PRINCIPALE:
DORMITOIO E DISPENSA
La capanna principale, chiamata “su Pinnettu” o “su Barracu” aveva un classico muro perimetrale in pietra calcarea del diametro di 4 metri su cui poggiava la nota struttura portante a forma conica, eretta con travi di ginepro o di leccio dell’altezza di circa 3-4 metri. All’interno della capanna si ricavava “su forghile”, il focolare, mentre, dai muri perimetrali si creavano i ripiani per mettere le forme di formaggio, le nicchie dove depositare un po’ di dispensa o qualche appendiabito per le poche ore di riposo. Appesi alle travi si lasciavano a maturare anche altri prodotti dell’allevamento, come i prosciutti o i tipici cagli.
LA COIBENTAZIONE NATURALE
Nella parte superiore della capanna, foderata all’esterno da una copertura di frasche, si trovava “su Cugumale” una sorta di cappello che serviva a isolare l’ambiente interno dall’acqua piovana e dalla neve, mentre, per il fumo prodotto dal fuoco, si creavano speciali forme di aspirazione attraverso gli interstizi del legno, consentendo così all’interno di mantenere un ambiente asciutto e confortevole a temperatura costante.
LA CAPANNA DEGLI ATTREZZI E IL RICOVERO DEGLI ANIMALI
Accanto o nei pressi della capanna principale, spesso se ne costruiva una seconda, più piccola e con funzione ausiliaria, che era destinata principalmente a ripostiglio per gli attrezzi da lavoro. Nelle immediate vicinanze, sempre riprendendo la tecnica costruttiva di origine nuragica, si ricavavano “sa corte“, ovvero i recinti per le capre e le “cerinas” o “cherinas” dove venivano sistemati i capretti appena nati. Ai maiali invece venivano destinati dei ricoveri più spartani detti i “cumbulas“, anch’essi dotati di piccoli spazi separati per ospitare i maialetti. Tutto insomma rispondeva ad un’efficienza produttiva che prevedeva il massimo sfruttamento dell’animale da allevamento.
GLI OVILI DI DORGALI
- Ziu Raffaele
- Zu Madrecarvu
- Orudè
- Sos Mojos
- Su Praicarzu
- Istoroddai
- Sa Tintura
- Ghirveri
- Monte Ruiu
- Monte Biancu
- Sa Sedda ‘e S’Atta
- Sas Traes
- Toddeito