Esistono storie di vita legate a leggende avvolte da un alone di mistero. Le leggende che ci accompagnano nel nostro percorso di vita, verso qualcosa che cerchiamo in continuazione ma che non troveremo mai.
Sono storie di vita offuscate dalla nebbia e tramandate verbalmente da amici, parenti…conoscenti, dove la realtà si amalgama con la fantasia.
Proprio come la storia che mi accingo a raccontarvi…la storia di Maribegna…Venuta dal Mare.
La nebbia di maggio
Era Maggio e il paese sembrava sotto un incantesimo. La nebbia ricopriva ogni cosa, l’aria fredda e pungente, nonostante la primavera inoltrata, si faceva sentire da chiunque si trovasse fuori tra la nebbia sprovvisto di indumenti adatti, o si avventurasse tra le alture che circondavano il paese. Una tardiva primavera che il paese di Sadali avesse mai incontrato sul suo cammino era proprio giunta quell’anno: il 1885.
Grandi possedimenti
Il 20 maggio di quell’anno, il paese venne svegliato dal vagito della nuova arrivata nella famiglia di Pilia Francesco e Pilia Venanzia. Un parto abbastanza travagliato, che diede alla luce la piccola Marianna Maribegna Severina, secondogenita dei coniugi Pilia, dopo il primo figlio maschio Antonio, più grande di lei di tre anni e Vitalia che nacque a distanza di otto anni da Maribegna. Pilia Francesco nacque a Sadali nel 1854, era un grande lavoratore e negli anni riuscì a crearsi una solida posizione economica, grazie anche all’eredità che gli lasciarono i genitori benestanti. Fu proprietario di grandi appezzamenti di terreno e allevatore di bestiame.
La casa
Si sposò con Venanzia a Sadali il 24 novembre 1878, quando entrambi avevano 24 anni, anche perché a quell’epoca ci si sposava in età giovanissima. Andarono a vivere, in quella che poi divenne la casa patronale, che per quei tempi, era una delle abitazioni più vistose del paese. Intorno alla casa, quasi ad impreziosirla, era presente un meraviglioso giardino, con una vite di pregiata uva antica che si inerpicava lungo le pareti della casa di pietre di scisto e calcare, lavorate a vista, con alberi di ulivo, mandorlo e ciliegio che in primavera, donavano una fioritura spettacolare, per non parlare del profumo che effondevano intorno alla casa.
L’inghiottitoio
La casa della famiglia Pilia sorgeva nel vicinato “Su Carradori”, così chiamato per il fiume omonimo, proveniente dal territorio di Seui, che fluiva accanto all’ingresso dell’abitazione e che poi andava a riversarsi in “Sa Ucca Manna”, un inghiottitoio naturale che raccoglieva le acque che scorrevano nel paese di Sadali. Non poco distante dall’abitazione e da “Sa Ucca Manna” ,erano presenti: “Sa Domu de is Pippas” dove si lavorava “sa tuvara”…l’erica, per la realizzazione delle pipe, e la “gualchiera”, struttura, all’interno della quale vi erano delle antiche macchine mosse dalla corrente d’acqua, che servivano a sodare i tessuti di lana o le pelli locali.
L’Acqua
L’Acqua era ed è prima di tutto vita e prosperità, rigenerazione e creazione e nel paese di Sadali l’armonia della sua vegetazione e il rigoglio dei boschi testimoniano, ancora oggi, appieno la presenza di questo elemento naturale così preponderante. E’ in questo scenario incredibile, dove Natura e Uomo si incontrano, uno scenario quasi mitologico e fantastico, che crescerà la piccola Maribegna. Chi la ricorda, la descrive come una meravigliosa bambina, con dei lunghi capelli corvini ondulati, che la madre Venanzia, con pazienza, le raccoglieva in due lunghe trecce che andavano poi ad ornare la sua nuca. Maribegna era sempre stata una bambina curiosa che amava la vita a contatto con la natura, sempre socievole con tutti.
I lavori
Sempre pronta ad aiutare la madre nelle faccende domestiche, nei lavori per impiantare gli orti, presenti in tutto il territorio di Sadali, orti che anche le umili famiglie realizzavano con fazzoletti di terra, chiamati: “Fittas de Lardu”, perchè rappresentavano il sostentamento delle famiglie locali. Maribegna, grazie all’insegnamento della madre, imparò a realizzare capi pregiati di lana con il telaio di famiglia. In età scolastica scoprì la passione per la lettura, e ogni volta che le era possibile, trascorreva il suo tempo a leggere in giardino. Fu così, in un giorno estivo, mentre era intenta a leggere, che il suo sguardo incrociò quello di una ragazza coetanea non del posto.
L’amicizia
La ragazza straniera, sorridendo e attraversando il ponticello, costruito con dei tronchi, sul fiume adiacente alla casa di Maribegna, presentandosi con gentilezza, le disse di chiamarsi Anna, ma che tutti la chiamavano Prenda, per la sua gentilezza e altruismo verso tutte le persone che incontrava. Un soprannome che le diede la nonna materna, e che Anna, si trascinò per tutta la vita. Maribegna, spiegò alla nuova amica, che il suo era un antico nome utilizzato nel territorio della Sardegna e che significava “Venuta dal Mare” (Begna/Bennia-Mari). Tra le due ragazze, nacque subito una forte e sincera amicizia, unite dalla stessa passione, la lettura. Prenda, che era di origine ogliastrina, ma che viveva nella città di Cagliari, ogni estate si recava nel paese di Sadali, come ospite, a casa di amici della sua famiglia. L’aria pulita di montagna, le venne consigliata dai medici, dopo che riuscì a riprendersi da un serio versamento pleurico.
Il muratore
Così, ogni stagione estiva, le due amiche si ritrovavano a Sadali, per trascorrere insieme, intere serate a leggere e a scrivere poesie…la grande passione di Prenda, e ad ammirare i meravigliosi tramonti del paese, che in estate si tingevano di colori pastello indescrivibili per tanta bellezza. Il 17 aprile 1903, morì Venanzia, madre di Maribegna, che allora, doveva ancora compiere 18 anni. Il legame tra le due amiche si rafforzò ancora di più, e ogni estate, si tramutava in giornate indimenticabili. Nel 1907, il padre di Maribegna, decise di far effettuare dei lavori di ristrutturazione e ampliamento della casa di famiglia. Commissionò il lavoro ad un muratore, proveniente da Sassari, che tutti chiamavano: “Su Maistru ‘e Muru”. Era un giovane uomo, sposato a Sadali e senza figli.
L’amore segreto
Quell’estate le due amiche non si incontrarono, perchè Prenda fu ricoverata nuovamente. Così, Maribegna, ormai 22enne, riprese a trascorrere le sue giornate nel giardino di casa. Ogni giorno, incrociava lo sguardo del muratore intento alla ristrutturazione della casa, e tra i due sbocciò l’amore. Un amore segreto, poiché il muratore era sposato. Una relazione, che durò quanto il nascere di un arcobaleno dopo la pioggia. Quando Maribegna, si rese conto di aspettare un figlio da quest’uomo, cadde nella più profonda disperazione. A quei tempi, non era plausibile o giustificabile dalla società, una ragazza madre.
Il suicidio
Così, forse per paura dello scandalo che ne sarebbe scaturito e che avrebbe coinvolto tutta la famiglia, con un padre allora sindaco, il 23 ottobre 1907, Maribegna si recò in cantina e si tolse la vita, ingerendo un prodotto liquido, altamente velenoso, che allora si utilizzava per disinfettare le abitazioni. Preoccupati per la sua assenza, i familiari e i vicini la cercarono per diverse ore, per poi essere ritrovata, priva di vita, dal fratello Antonio e dalla sorella Vitalia. Questa triste storia, sconvolse tutto il paese per la dinamica dei fatti, e in particolare la cara amica Prenda, che appena riuscì a stare meglio, andò a far visita alla famiglia della sfortunata Maribegna. Visitò la sua stanza, con quella finestra che si affacciava sul giardino, dove le sembrò di avvertire, ancora, la presenza della cara amica. Sull’antica scrivania, un libro…quel libro di poesie che le aveva prestato e che avrebbero dovuto leggere insieme. Prenda, trovò una lettera custodita tra le pagine, e quando la lesse, si sentì mancare per la forte fitta al cuore, che le tolse il respiro e per un istante pensò di morire anche lei, per tanto dolore… come fece la sua cara amica. La lettera… che Maribegna scrisse al figlio mai nato.
Quanto può essere tenace, l’Amore di una madre che cede il passo alla paura di affrontare la realtà?
Il forte vento della notte ha strappato via i petali dei fiori del giardino dei miei ricordi. Divampano accartocciandosi sfiniti in angoscia, come fiammelle su un fuoco che arde. Danzano sfiorando la mia mente che distingue ciò che mi ferisce da quello che mi diletta, per poi sparire nella solitudine di un’anima persa.
Il silenzio
Amato figlio, che in grembo cresci, avevo promesso a me stessa, di farti leggere i diari della mia vita che poi sarebbe diventata anche la tua. Pagine che rivelano segreti custodendone infiniti. Una lampada bassa pende dal soffitto della mia camera e sulla scrivania giacciono pagine impregnate di lacrime e sogni. Tutti quei sogni, che tanto avrei voluto donarti, figlio caro. Avverto il loro fluire dalla rigida forma così severamente immobili in vuoti spazi sbiaditi dal tempo. Le pagine…Tranquille stanno nel loro composto silenzio d’inviolata pace e a mia insaputa si sono succedute inavvertite. Pagine, invulnerabili che ci appartengono perché prigioniere del fiume dei ricordi del mio passato e del tuo avvenire. Ho sentito su di me, le vecchie, dolci lacrime consolatrici, i sogni affidati agli oceani sconosciuti dove s’affollano gli echi delle auspicate risate insieme a te.
Il disagio profondo
Tutt’attorno ruggisce la doppia coscienza che ha soffiato via l’ultimo mio sorriso per te, mio dolce angelo. Ti scrivo, per sentirti più vicino, ora che le mie forze si stanno indebolendo e con me, anche le tue. Con il pensiero ho viaggiato in lungo e in largo, per accorciare questo senso di disagio, immediatamente dissipato dal calore della tua anima…della tua presenza nel mio grembo di madre. E’ in me la pienezza che è così manifesta nella dura esperienza della vita che a volte ho manifestato con toni alti e con eco sottile e acuto. Una girandola rotea al lieve soffio di vento quando, in questo giorno, la morte ha bussato alla mia porta. Pensieri che trasudano di un’esistenza vulnerabile piena di segni, stordita da quel dolore indagatore dell’amore per te, che mi porto dentro.
La richiesta di perdono
Perdonami figlio caro, ho pensato di aver perso la mia identità, ho cercato un nuovo significato, una nuova vita. I miei cari, mi hanno lasciata là seduta, ben lontani dall’immaginazione che sarebbero passate solo poche ore prima di ricevere mie notizie. Forse era quello l’ultimo sorriso, sguardo che desideravo lasciar loro, prima di lasciarmi andare e porre fine alla nostra vita con il veleno. Una partenza, la mia, che ha segnato la fine del mio dolore e l’inizio del nostro viaggio per le stupende immaginabili diversioni della vita che inalano un sentore di fiumi, colline e aroma di erbe aromatiche, dove il tempo e lo spazio non esistono.
Figlio mio…Ti scrivo, per sentirti più vicino, ora che ti sento così distante.
Sadali, (Barbagia di Seulo) 23 ottobre 1907
** Rita Coda Deiana