Lo Stato Italiano dal 1861 ad oggi si occupa della salute dei suoi cittadini con lo scopo di garantire loro una migliore vivibilità sul suo territorio nazionale.
Le politiche sanitarie di uno stato, a seconda del periodo storico, sono lo specchio della società che è presente in quel dato momento e dell’assetto governativo vigente.
Da quando l’Italia è un paese unito la storia della “sanità di stato”, ovvero dell’insieme di organi, burocrazie e servizi, messi in atto dai governi per gestire lo stato di salute dei cittadini, non è stata una progressione ascendente dal peggio al meglio, bensì un’alternanza di periodi di luce con buone riforme e capillarizzazione del servizio e periodi bui, con passi indietro della qualità del servizio e speculazioni sulla salute dei cittadini.
Per avere un quadro della qualità della storia del Servizio Sanitario Italiano si possono individuare otto passaggi fondamentali di questa vicenda elencati qui di seguito in maniera sintetica. Ovvero:
1) Il 1861 – La nascita del Regno d’Italia e l’affidamento ai sindaci, rappresentanti dello Stato sui territori, delle politiche sanitarie locali.
2) Il 1945 – La nascita dell’Alto Commissario per l’Igiene e la Sanità pubblica direttamente amministrato dalla Presidenza del Consiglio.
3) Il 1948 – La nascita della Costituzione Italiana e il riconoscimento del diritto alla salute per tutti i cittadini italiani a prescindere dal potere economico e dall’appartenenza sociale.
4) Il 1978 – La nascita del Sistema Sanitario Nazionale e la messa in atto di una politica sanitaria democratica e capillare.
5) Il 1999 – La Riforma Bindi e l’apertura dello Stato alla sanità privata con l’inizio della delocalizzazione e l’accostamento del servizio sanitario alle attività commerciale.
6) Il 2001 – La Riforma del Titolo V della Costituzione con la nascita del Ministero della Salute; la concezione da parte dello stato dei fattori di rischio e della prevenzione come fondamenti della cultura sanitaria di massa.
7) Il 2017 – Diffusione del complottismo di massa in Italia in materia di prevenzione e cura delle malattie che provoca effetti negativi sulla credibilità della ricerca scientifica e della prevenzione vaccinale.
8) Il 2020 – Scoppio della pandemia da Covid-19 che mette in luce la crisi del servizio sanitario pubblico incapace di soddisfare le esigenze della popolazione perchè le Usl, diventate Asl, rispondono a logiche mercantilistiche tipiche del mondo aziendale e, private al contempo di mezzi, servizi e personale soccombe entrando in concorrenza con la sanità privata.
IL PREAMBOLO DELLA COSTITUZIONE
La storia delle politiche sanitarie italiane è caratterizzata da numerosi tentativi di democratizzazione dell’assistenza sanitaria che si sono legate alle vicende politiche generali, sia di carattere interno che esterno al territorio italiano. Se, fino al termine della Seconda Guerra Mondiale, vi erano stati dei tentativi grossolani di estendere le cure a tutti gli strati della società senza che ancora vi fosse al governo una rappresentanza politica espressione della volontà popolare, è a partire dalla nascita della Costituzione Italiana che vi è il primo, vero, inquadramento scritto e normativo del concetto di “sanità per tutti”. Tuttavia, la dichiarazione della costituzione dovrà rimanere ancora un teorico preambolo per un decennio nel Bel Paese, il quale dovrà aspettare il 1958 prima di vedere messo in pratica, con lo strumento formale di un ministero specifico – il Ministero della Sanità – , ciò che diceva la Costituzione la quale, all’articolo 32, esplicitava chiaramente che: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti”. E che:”… La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
1978/1999 GLI ANNI DELLA SANITÀ PUBBLICA IN ITALIA
Il vero periodo di massimo splendore per la democratizzazione della sanità pubblica italiana inizia però nel 1978, quando viene istituito il Servizio Sanitario Nazionale il quale pianifica gli obiettivi di allargamento della tutela sanitaria a tutti i territori del paese attraverso l’uso dei suoi mezzi: ricercatori, politici, personale medico e infermieristico, infrastrutture ospedaliere, ambulatori. Questo fenomeno, di autentico welfare all’italiana riconosciuto a livello mondiale per l’efficacia sulla salute pubblica a prescindere dalle condizioni economiche dei cittadini e della loro appartenenza sociale, mette in chiaro una cosa: le cure sanitarie per gli italiani sono gratuite e per tutti.
1999 LA RIFORMA BINDI E L’APERTURA AI PRIVATI
Quando la sanità pubblica italiana compie il ventesimo anno di vita, al “tagliando di controllo” emerge chiaramente che garantire un servizio sanitario di qualità a tutti ha dei costi esorbitanti per le casse dello Stato, soprattutto a fronte dell’enorme spreco di denaro pubblico a causa dalla corruzione (Tangentopoli, Duilio Poggiolini); dell’ingresso definitivo e in pianta stabile della criminalità organizzata nei gangli del potere di stato e dal debito pubblico che, dopo il picco di benessere e di sprechi degli anni ’80, sale verso livelli insostenibili. In più, emerge altrettanto chiaramente che lo Stato, con la sua ingessatura di sistema pubblico ancorato alle logiche di partito e alla elefantiaca burocrazia, non riesce più a dare risposte veloci ed efficienti ai suoi cittadini. È così che, dal 1992 al 1999, i governi che si alternano a palazzo Chigi tentano più volte delle riforme sanitarie che alleggeriscano il peso della sanità sulle casse dello Stato. A spuntarla, finalmente, è il secondo governo D’Alema che, con la ministra alla Sanità Rosy Bindi, apre il servizio sanitario pubblico ai privati con lo scopo dichiarato di alleggerire il carico dello Stato, snellire la burocrazia e renderlo più efficiente ed efficace.
ANNI 2000, PREVENZIONE SANITARIA E NO VAX
Il nuovo secolo si apre anche nel settore sanitario con la diffusione della comunicazione di massa attraverso le nuove tecnologie informatiche, internet e i social network. Ed è con questa realtà che lo Stato deve fare i conti e, in un primo tempo, reagisce con prontezza riuscendo a mettere in atto una efficace politica di diffusione delle informazioni sanitarie e un invigorimento della cultura sanitaria di massa. Questa efficienza sul versante comunicativo (si diffonde l’educazione sanitaria nelle scuole più illuminate) tuttavia ha un effetto boomerang in concomitanza con l’emersione del servizio privato e della liberalizzazione delle professioni sanitarie. Sono gli anni dell’allentamento del controllo sui titoli di studio per lo svolgimento di professioni mediche e paramediche; la liberalizzazione ulteriore del business farmaceutico con la trasformazione delle farmacie in attività commerciali quasi a trecento sessanta gradi e, non ultimo, la nascita, nel 2017 del movimento No Vax sostenuto tra le altre cose dalla perdita della scuola di ruolo di agenzia educativa ufficiale e dalla diffusione della comunicazione via social network, dove il controllo delle false notizie (fake news), diventa impossibile per gli organi dello Stato.
2020, LA PANDEMIA COVID-19
METTE IN STATO D’ACCUSA LA SANITÀ PUBBLICA
Le aperture liberiste e a tratti anarchiste dello Stato che ha voluto “disfarsi” degli oneri della sanità pubblica alla sanità privata indeboliscono ulteriormente il Servizio Sanitario Nazionale che, messo alle corde dal carrierismo politico dilagante (i partiti sono diventati dei brand e non rispondono più a idee politiche ma a correnti di potere); dagli interessi speculativi della sanità privata e della farmaceutica internazionale ormai globalizzata e con poteri contrattuali insostenibili per gli stati nazionali; nonchè dalla diffusione del complottismo di massa, non è più in grado di garantire la copertura territoriale e sociale. E così, sulla base di pressioni politiche e di lettura di bilanci economici degli ospedali trasformati in aziende, in Italia, il bel paese dove quindici anni prima regnava il welfare sanitario più bello del mondo, una parte dei presidi locali vengono chiusi o indeboliti al punto da non poter operare, lasciando scoperte le aree più periferiche e gli strati più deboli della popolazione, quella che vive nei piccoli centri urbani e non ha mezzi di trasporto propri. Sono questi gli effetti della cosiddetta “spending review”, la revisione della spesa dello Stato dopo decenni di spreco e debito pubblico in ascesa. Nel frattempo, con l’ondata pandemica della Covid-19, l’opinione pubblica capisce, a spese di oltre un milione di decessi (molti dei quali causati dall’abbandono del servizio pubblico che non riesce a far fronte all’emergenza improvvisa), che lo Stato italiano non garantisce più la salute a tutti i cittadini.
Autore dell’articolo: Pierpaolo Spanu