I POLITICI ITALIANI USANO I TALK SHOW COME VETRINA E VOLANO DELLE LORO CARRIERE
MENTRE L’OPINIONISMO QUALUNQUISTA DILAGA
«La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione.»
(Woody Allen, 1992 dal film “Mariti e mogli”)
LA TELEVISIONE ANCORA DOMINA SU INTERNET
Lo stretto legame che si è stabilito tra potere politico e mass media si è manifestato negli ultimi quarant’anni soprattutto attraverso la televisione che, nonostante l’avvento dei nuovi media, rimane il principale mezzo di comunicazione di massa.
DAL ’75 UN MATRIMONIO INFALLIBILE
Superate le diffidenze iniziali degli anni ’70, dopo i primi anni di sperimentazione televisiva e il cambio generazionale delle classi dirigenti, politica e televisione, si sono strette in un abbraccio che ha sancito la reciproca collaborazione per i reciproci vantaggi, anche se, gli effetti, in gran parte negativi, si sono riflettuti sulla società contemporanea.
È un dato di fatto conclamato a livello mondiale infatti, che la televisione rimane il medium numero uno, attraverso cui, la maggioranza della popolazione, nazionale e internazionale, si approvvigiona di informazioni e, conseguentemente, si fa condizionare dalle opinioni più rilevanti da essa veicolate. Al tempo stesso, il sistema di potere, avendo capito l’efficacia di questa tecnica comunicativa, ha cominciato a utilizzarla e ad assoggettarla a vari gradi, a seconda che si trovi ad operare in uno stato democratico, liberale, autoritario o totalitario.
Focalizzando l’attenzione di questo fenomeno sul panorama politico e televisivo italiano emerge come nel Bel Paese dal 1954 al 1976 ci sia stato un periodo di diffidenza e distanza reciproca tra politica e televisione, ma che, dalla metà degli anni ’70, sia cominciato un progressivo avvicinamento per una proficua collaborazione, grazie al fatto che è emerso come i due aspetti della vita sociale potevano convivere e prosperare stando molto vicini.
POLITICA E TELEVISIONE: ADATTAMENTO RECIPROCO
È emerso così come, nel corso degli anni, si sia avviato un processo di adattamento della politica alla televisione e viceversa, che ha portato però a un decadimento della qualità dei contenuti di entrambi.
La televisione si è adattata ai cambiamenti della società enfatizzando la spettacolarizzazione delle notizie politiche che ha portato alla progressiva perdita di credibilità degli operatori politici. La proliferazione delle fonti informative ha dato alla politica una sovraesposizione mediatica e una “ipervetrinizzazione” dei suoi esponenti che ha portato all’indebolimento dell’idea di televisione come megafono della vera informazione di interesse pubblico (“lo dice la televisione”) e ha suggerito all’utenza di rintracciarla anche altrove.
COSA E’ L’INFOTAINMENT
L’ “infotainment” è una nuova parola che deriva da un adattamento di “info” e “intrattenimento” e descrive un programma radio-televisivo o un’iniziativa culturale che coniuga l’informazione con l’intrattenimento. La matrice etimologica è anglosassone (“information” + “ entertainment” → “informazione” + “intrattenimento) e il primo intellettuale a utilizzarla per descrivere questo fenomeno in Italia è stato il semiologo Umberto Eco, quando, dagli anni ’90, ha cominciato a parlare di “neotelevisione”, per definire la televisione italiana ormai emancipata e padrona della comunicazione politica e culturale dopo che nel 1977 era stato introdotto il colore nell’immagine televisiva.
- La generazione della guerra non si adatta e rigetta la tv
Davanti a questo fenomeno, la parte più anziana del pubblico dell’allora 1975 (quella reduce dalla seconda guerra mondiale ) è stata esclusa sia dalla fruizione del consumismo di massa, sia della programmazione televisiva perché non utilizzava più il suo codice; mentre, la classe politica si è svecchiata, producendo la generazione dei giovani politici rampanti che nel giro di pochi anni hanno imparato a utilizzare la televisione per rappresentare se stessi prima che il partito o la corrente di pensiero (vedi Craxi). A partire dagli anni ’80 poi è stato l’affermarsi della pubblicità con il suo linguaggio “acchiappa & convinci” che il processo di spettacolarizzazione si è potuto diffondere e consolidare in tutti i temi trattati dalla televisione. Seguendo questa modalità, in seguito, anche gli altri media (radio, giornali) si sono via via adeguati cambiando pure loro il linguaggio.
LA NASCITA DEL PUBBLICO MOBILE: LO ZAPPING
Con il rapido aumento dei canali comunicativi (Tv, radio, giornali, internet) che sono diventati sempre più diffusi, il pubblico ha reagito all’ondata con una sorta di rigetto difensivo compulsivo, perdendo la concentrazione per la difficoltà a focalizzarla in una molteplicità di stimoli informativi veloci e invasivi. In più, la diffusione del telecomando – nato negli Stati Uniti nel 1955, ma diffusosi in Italia solo a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 – ha fatto si che lo spettatore potesse cambiare più velocemente (e compulsivamente) canale perdendo la capacità di concentrarsi su un solo programma.
Il programma televisivo, infatti, per “guadagnarsi” l’attenzione dello spettatore ha dovuto enfatizzare il tempo a sua disposizione utilizzando tutti gli strumenti che disponeva: dal presentatore-conduttore, alla sigla, ai costumi, al trucco, agli ambienti interni, alle luci, ai colori, ai loghi e alla grafica. In questo modo la televisione è riuscita ad innescare la fidelizzazione necessaria a tenere in vita il programma: diversamente sarebbe stato cancellato dal palinsesto perché non ha prodotto audience e quindi è stato commercialmente sterile.
LA FRAMMENTAZIONE DEL SENSO COMUNE
La televisione, moltiplicando i canali di ascolto con lo scopo di raggiungere più utenza possibile, ha “frammentato il senso comune”. Se da un lato, infatti, la fine del monopolio Rai ha portato alla nascita di nuove proposte televisive che hanno valorizzato le disuguaglianze, dall’altro ha sgretolato i riferimenti tradizionali normativi, politici e ideali.
DALLA PALEOTELEVISIONE ALLA NEOTELEVISIONE
Il programma televisivo che sancisce il passaggio definitivo dalla palinsesto di matrice pubblica con dimensione pedagogica a quella di matrice privata con dimensione commerciale è “Drive in” che, nel 1983, viene trasmesso per la prima volta su Italia Uno e rimane in vita fino al 1988. Questo programma comico, apprezzato da esperti dello spettacolo e del cinema, come Vittorio Gassman, che disse di aver subito l’influenza di Drive In al punto di “aver cambiato i ritmi in teatro “ e Federico Fellini che affermò laconicamente come il Drive In fosse “l’unico programma per cui vale la pena di avere la TV”, ricevette anche molte critiche (Aldo Grasso in primis) per l’uso commerciale dell’immagine femminile, che si presentava in scena con “donne formose con abiti succinti” e usava un linguaggio “trasgressivo”, troppo lontano dal grigiore ministeriale della Rai.
Drive In fu soprattutto fu un programma “accusato” di “americanizzazione” sulla scia dell’edonismo reganiano che proprio in quegli anni raggiungeva l’apice del suo successo e in Italia si manifestava con l’ascesa personalistica di Bettino Craxi e con la cosiddetta “Milano da bere” che celebrava lo yuppismo a trecentosessanta gradi. Insomma, Drive In venne riconosciuto come l’apripista televisivo del consumismo berlusconiano che influenzerà gli italiani dei successivi cinquant’anni.
IL RELATIVISMO VALORIALE E LA FINE DELLE IDEOLOGIE OTTOCENTESCHE
Il cambiamento televisivo italiano iniziato nella metà degli anni ’70, maturato nel decennio successivo ed entrato in età matura tra il 1990 e il 2010 fino a dissolvere gli ultimi contenuti nella nuova frontiera telematica (internet), all’inizio della seconda decade del 2000, ha sgretolato le rigide ideologie ottocentesche e le ha disciolte in un forte relativismo valoriale che ha trasformato l’esigenza di emancipazione collettiva in una ricerca dell’indipendenza individuale sfociando – secondo alcuni – nella deriva dell’egoismo sociale tanto incoraggiato proprio dal reaganismo.
Ridere, divertirsi, distrarsi e non più solo studiare, impegnarsi, concentrarsi. Così il Drive In di Antonio Ricci entra in antitesi alla Rai di Ettore Bernabei.
E ciò si traduce in una sintesi delle due visioni in un nuovo modello televisivo detto appunto “infotainment”, ovvero intrattenimento e informazione. Questa nuova ibridazione televisiva che aveva la radice nella narrativa e nel teatro popolare, soppianta il monologo unidirezionale e autoritario del telegiornale di stato e lo sostituisce con la conversazione multipolare. E così, si sgretola l’idea dell’oggettività dell’informazione pubblica e si afferma l’opinionismo che assurge pian piano a ruolo dominante nella modalità di trasmissione dei contenuti televisivi.
Nel frattempo, per “catturare” l’attenzione degli spettatori/utenti/consumatori, sempre più distratti e fugaci, l’informazione televisiva si è dovuta dotare di una buona dose di “sensazionalismo”, così da garantire una visibilità a contenuti altrimenti destinati all’indifferenza e al flop commerciale. Di conseguenza il linguaggio politico per poter essere veicolato nel medium televisivo si lasciato “revisionare” da una retorica sempre più spinta, dove la ricerca dell’effetto è stata ostentata fino alla completa artificiosità dei contenuti. È così che i politici con linguaggio prolisso, impegnato e per “addetti ai lavori”, hanno perso i primi confronti televisivi con quelli capaci di usare un linguaggio semplice e sensazionalistico (vedi Nixon- Kennedy).
LA MOLTIPLICAZIONE DEGLI APPARECCHI TELEVISIVI
Con l’inizio della neotelevisione si assiste a un nuovo sviluppo tecnologico che porta all’introduzione del colore, ad un aumento degli apparecchi televisivi (la prima televisione in cucina, la seconda in soggiorno) con la possibilità di avere più canali, oltre il primo e il secondo, e, di pari passo, si amplia l’offerta editoriale di nuovi canali privati i quali allungano le ore di programmazione fino alla seconda serata e si diffonde l’uso del telecomando che semplifica le operazioni di selezione del canale e innesca l’abitudine allo “zapping”. Tutte queste variazioni nelle modalità di fruizione del mezzo televisivo impongono all’industria dello spettacolo e dell’intrattenimento televisivo ad introdurre nuove forme di programmazione.
La neotelevisione si sgancia così definitivamente dalla funzione didattica e informativa di Stato dell’epoca precedente per entrare in quella puramente commerciale. E per fare ciò, prima di tutto acquisisce un formato “generalista”, cioè si dota di programmi che cercano di catturare il numero più alto di telespettatori a prescindere dall’età o dalle categorie sociali. In più, aumentano le ore di pubblicità, che interrompono i programmi talvolta con frammezzi molto lunghi che costringono i telespettatori a perdere la pazienza e a “girare” canale (fare cioè lo zapping).
Si tratta dunque di una modalità di fruizione della programmazione televisiva che lo spettatore adotta diventando così parte di un “flusso televisivo”, ovvero di una fruizione frammentata delle trasmissioni.
Per catturare l’attenzione di utenti così “fugaci”, gli ideatori di programmi televisivi cominciano innanzitutto ad impostare uno stile “narrativo” alle trasmissioni, facendo in modo che il telespettatore potesse guardare un programma anche a trasmissione in corso senza avere difficoltà a trovarne subito il “filo”. E a ciò si prestano subito i neonati “talk show” in cui elementi informativi si ibridano a elementi di intrattenimento così da non appesantire la narrazione e avere più possibilità di ricevere le attenzioni dello “zapper”.
L’INFOTAINMENT
L’infotainment si realizza, secondo gli studiosi Mazzoleni e Sfardini, secondo due modalità:
1) Attraverso le soft news – comunicare informazioni infarcite di forti accenti sensazionalistici e con alcuni elementi di gossip.
2) Attraverso la satira politica e comic show – si tratta di programmi che adottano il “politically incorrect”, cioè utilizzano il linguaggio tipico del giornalismo aggiungendo aspetti comici e arricchendoli con elementi di satira.
Gli stessi autori hanno fatto poi un ulteriore distinzione tra:
- programmi di informazione puri;
- programmi di ibridi di informazione e intrattenimento;
- programmi di intrattenimento puri.
Programmi di informazione puri
Sono programmi di informazione puri, che incarnano cioè la funzione primaria del mezzo televisivo, i telegiornali con i loro speciali (Tv Sette, Tg2 Dossier, Primo Piano etc) e le trasmissioni di inchieste giornalistiche (Report, Presa Diretta).
Programmi ibridi di informazione e intrattenimento
Si tratta della cosiddetta “utility tv”o “tv dibattito”, a cui appartengono i classici talk show alla Maurizio Costanzo, ma anche “Chi l’ha visto” oppure “Mi manda Rai 3”. Tutti programmi che rispondo sia alla funzione di intrattenimento che di informazione.
Programmi di intrattenimento puri
A questa categoria appartengono tutti i programmi che trattano soprattutto di gossip e pettegolezzi, capaci di spettacolarizzare il dolore privato e scandali che spingono lo spettatore ad avere uno sguardo voyeuristico. È il campo questo del sensazionalismo e delle soft news.
LE GENERAZIONE DI INFOTAINMENT
Dalle origini ad oggi l’infotainment, l’ibrido informazione /intrattenimento, ha subito dei cambiamenti, a volte graduali, a volte repentini che hanno fatto sì che potessero essere individuati tre suddivisioni del genere in base al periodo e alla caratterizzazione. Abbiamo infatti l’infotainment 1.0, quello di primissima generazione a cui appartengono trasmissioni come “La vita in diretta” o “Verissimo”, contenitori pomeridiani della Rai e di Mediaset che sono dei rotocalchi televisivi o dei tv-magazine che hanno “istituzionalizzato la spettacolarizzazione del dolore, la drammatizzazione delle notizie, l’assalto giornalistico ai luoghi del delitto “(Alberti Federica).
C’è poi l’infotainment 2.0 a cui appartengono i classici talk show politici come “Annozero” e “Ballarò” che trattano attualità, ospitano esperti nei vari argomenti o fanno denunce sociali; ma anche i programmi di satira con la finalità informativa in secondo piano “Striscia la Notizia”, oppure come “Le Iene” che riportano le informazioni con un ulteriore spinta verso la spettacolarizzazione.
Nell’ultima generazione di infotainment, la 3.0, abbiamo l’intrattenimento che sostituisce definitivamente l’informazione, come ad esempio l’affidamento della copertina di Ballarò al comico Maurizio Crozza o il programma di seconda serata Chiambretti Night, che alternava nello stesso contenitore argomenti “seriosi” come l’intervista a qualche politico su un argomento di attualità a frammezzi di varietà ed ironia.
DALL’INFOTAINMENT ALL’ANTIPOLITICA
La caratteristica di l’infotainment 3.0 è che, in contemporanea alla perdita di credibilità del giornalismo vero e proprio, diventa più attendibile del giornalismo classico. Ci si muove infatti al limite della “controinformazione”, quando, a trattare di politica, lo fanno comici alla Crozza o alla Grillo che, grazie allo scudo della comicità che gli apre strade libere di critica e obiettività, acquisiscono paradossalmente maggiore credibilità rispetto al programma giornalistico classico che risulta invece ingessato e non credibile perché indirettamente disciplinato dal condizionamento politico.
ADDETTO STAMPA VS GIORNALISTA
Tutto ciò si verifica a seguito della difficoltà di avere un autorevole e rispettato organo di controllo che disciplini e autorizzi la professione del giornalista, favorendo per contro la diffusione dell’addetto stampa che, comprato dal potentato economico, perde la libertà di critica e diventa solo un megafono dell’establishment.
LEGGERE E LEGGIUCCHIARE
Questo cambiamento di posizioni, in termini di credibilità, rispetto ai fatti che accadono e che vengono raccontati alla gente (o al telespettatore se si parla della fattispecie televisiva) porta secondo il sociologo inglese Stuart Hall “ad alimentare atteggiamenti di avversione e disimpegno verso la politica che rafforzano populismo e xenofobia” ; secondo altri studiosi invece, che hanno assunto una posizione più favorevole a questo genere televisivo, come Mazzoleni Williams e Delli Carpini, l’infotainment consentirebbe a quella fascia di popolazione meno disposta ad informarsi e a formarsi attivamente di conoscere (attraverso la lettura di libri e giornali), almeno “scanzonatamente”, i fatti della quotidianità.
Ovviamente a fronte di ciò, c’è chi si preoccupa, come Kees Brants, del fatto che l’infotainment diventi “l’unica forma di rappresentazione della politica” facendo perdere definitivamente al giornalismo il ruolo di “guardiano della democrazia”.
DALL’INFOTAINMENT AL POLITAINMENT
Una evoluzione dell’infotainment compare nella seconda decade degli anni duemila, con l’abbraccio, sempre più profittevole per entrambi, della politica con l’intrattenimento, ovvero della presenza di politici in programmi di varietà.
Si pensi ad esempio a Berlusconi o a Renzi che fanno presenza al programma di intrattenimento pomeridiano di Canale 5 “Pomeriggio Cinque”, condotto da Barbara d’Urso. Si tratta di forme di comunicazione politica che, secondo i sostenitori “aiuterebbe a rendere più accessibili informazioni altrimenti destinate a un pubblico più colto”. Questo processo di mediatizzazione politica era già noto negli anni ’60 negli Stati Uniti, dove i dibattiti televisivi tra Nixon e Kennedy avevano messo in evidenza come la dimestichezza, spontanea o indotta, col mezzo televisivo fosse stata determinante per l’efficacia dell’operazione di convincimento (in quel caso nettamente a favore del candidato democratico). In Italia, in tempi più recenti, la telegenia dell’imprenditore Silvio Berlusconi, è stata una delle carte vincenti del suo successo in politica. Si pensi già al primo confronto televisivo con lo sfidante progressista Achille Occhetto, nel lontano 1994, nella trasmissione “Braccio di ferro” condotta dall’allora direttore del Tg 5 Enrico Mentana.
DAL POLITAINMENT ALLA PERSONALIZZAZIONEDELLA POLITICA
Con l’introduzione della telegenia come tecnica di comunicazione politica il passo verso la personalizzazione della politica è stato brevissimo. Il fatto che un candidato o un esponente politico, grazie alla propria capacità di “bucare lo schermo” attraverso la propria immagine fisica e alla propria dialettica o capacità espressiva che si adatta al mezzo, fa si che questi possa sviluppare un protagonismo sempre più solido all’interno del messaggio politico, al punto che tutti gli altri membri del partito o dalla coalizione, possono solo assurgere al ruolo di comprimari, di collaboratori di secondo piano o di subalterni.
Nel frattempo, alla centralizzazione della politica in pochi esponenti di punta, capaci di avere dimestichezza con il mezzo televisivo si affianca, per rendere ancora più efficace la persuasione del comunicante anche la messa in pubblico (o in piazza) della vita privata.
LA VITA PRIVATA DEL POLITICO COME MERCE ELETTORALE
Questa operazione serve a “desacralizzare” la figura del politico e portarla più vicina “alla gente comune”, la quale, scoprendo i lati più intimi della vita del politico, vi si può identificare e non considerarlo un “estraneo”. In questo “ammiccamento” il risultato è un consolidamento del consenso che si concentra non più solamente sul partito, ma sul capo, sul leader.
La visibilità fornita dai media fa sì che i politici acquisiscano una popolarità da “star” dello spettacolo o dello sport. Si improvvisano show man (“il risotto di Massimo D’Alema” a “Porta a Porta”), diventano attori, oppure partecipano a trasmissioni televisive con ruoli diversi da quelli di politici intervistati, come Alessandra Mussolini a “Ballando con le stelle” o Vladimir Luxuria a “L’Isola dei famosi”, o ancora una volta Silvio Berlusconi al “Processo di Biscardi”.
LA PROGRAMMAZIONE TELEVISIVA STIPATA DI TALK POLITICI
La capacità della televisione di influenzare le opinioni dei telespettatori riconosciuta definitivamente dai politici, fa sì che il mezzo venga da loro utilizzato ampiamente e la programmazione televisiva, subordinata al controllo del potere politico, moltiplica gli spazi destinati al dibattito politico. Si pensi alla nascita della striscia mattutina di talk show politici, inaugurata nel 2010 dalla trasmissione di Rai 3 “Agorà”; ai talk di Rete 4 (Stasera Italia, Quarta Repubblica, Fuori dal Coro, Zona Bianca, Dritto e Rovescio) che si succedono in prima serata dal lunedì al venerdì sostituendosi definitivamente in quella fascia orale a quella che un tempo la programmazione filmica o di varietà o alla programmazione serale de “La 7”, con i vari “Piazza Pulita”, “Di Martedì”, “Otto e Mezzo”.
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La politica ovviamente per adattarsi al linguaggio televisivo ha dovuto semplificare i messaggi, con il rischio di banalizzare e di ridurre in “pillole” contenuti che dovrebbero invece essere trattati con maggiore estensione e approfondimento. Ma i politici, come lo stesso Massimo D’Alema, non hanno mai nascosto la preferenza per il media televisivo proprio per la immediatezza con cui è possibile rapportarsi col proprio pubblico, senza la “scomoda” intermediazione dei giornalisti come nella carta stampata. A dare poi una nuova spinta verso la personalizzazione della politica vi è il social network dove il rapporto diretto col pubblico diventa ancora più stringente.
LO SPETTACOLO DEL LITIGIO: SGARBI DOCET
Inoltre, l’enfatizzazione del linguaggio ha portato sul piccolo schermo lo spettacolo del litigio, della maleducazione verbale e gestuale e della sopraffazione verbale. Il confronto in questo senso dei programmi politici degli anni ’70 con quelli messi in trasmissione dal 2000 in poi mete in evidenza il cambiamento del linguaggio. Mentre nei primi vi era un’alternanza misurata degli interventi, con trattazioni pacate, approfondite, senza subire l’incombenza degli interlocutori o del conduttore che fungeva da pacifico coordinatore verbale, nell’infotainment 3.0, il modus operandi è quello della sovrapposizione degli interlocutori che parlano, abilmente messi a confronto e non disciplinati dal conduttore che spesso interrompe gli ospiti che non rispondono alla trama della trasmissione con interventi che potrebbero non essere in linea con l’orientamento politico della produzione. Ed ecco che non far portare a termine un ragionamento, perdere la pazienza con plateali ed egocentriche alzate di voce, rifiuto di continuare le interviste (una su tutte la conduzione di Gherardo Greco della seconda edizione di Agorà, grande maestro della conduzione dispotica) è la dimostrazione di quanto l’obiettivo di enfatizzare il conflitto tra avversari sia stato fondamentale per adattare il linguaggio della politica alla spettacolarizzazione televisiva.
LA DEMOCRAZIA DEL PUBBLICO
Con la “discesa in campo” di Berlusconi e di Forza Italia nel 1994 lo scenario politico e la relativa comunicazione politica si riordinano in un nuovo assetto. Entrata in crisi all’inizio dell’ultimo decennio e poi spazzata via la vecchia nomenclatura della cosiddetta “prima repubblica” con lo scandalo di Tangentopoli (1992) entra adesso in gioco un altro scenario, in cui, in campo comunicativo si abbandona la modalità dialogica del confronto e del ragionamento e si favoriscono la personalizzazione, la spettacolarizzazione (già messe in atto in forma primitiva da Craxi negli anni ’80) e l’esasperazione agonistica tra i contendenti in cui la televisione e i talk show che nel frattempo cominciano ad infittire il palinsesto televisivo, diventano il luogo del dibattito a discapito del parlamento e dei luoghi assembleari tradizionali. Iniziano inoltre la loro discesa verso l’oblio i congressi di partito e i comizi in piazza, piano piano relegati a frequenze non più regolari.
Avviene insomma ciò che il filosofo marsigliese Bernard Manin aveva predetto nel suo libro “Principi del governo rappresentativo”, parlando nel 2010 di “democrazia del pubblico”. Ovvero del passaggio, tra XX e XXI secolo dalla “democrazia dei partiti” alla “democrazia del pubblico”.
In poche parole, prima, la rappresentanza era affidata alla delega ai partiti che selezionando i rappresentanti promuovevano il dialogo tra cittadini e istituzioni, oggi, i partiti hanno perso questa legittimità che invece è stata affidata ai leader carismatici (vedi Berlusconi in Forza Italia, Renzi nel Partito Democratico prima e in Italia Viva poi, Salvini nella Lega), mentre i cittadini si sono trasformati in “spettatori del leaderismo televisivo”.
Ovvero, in conseguenza della rivoluzione tecnologica il cittadino ha avuto a disposizione il proprio libero, “autonomo”, accesso alle informazioni necessarie alla sua partecipazione alla vita politica. Si è passati cioè da una relazione verticale di “fedeli” tesserati del partito a una relazione orizzontale di “sostenitori” compulsivi in cui l’interazione con lo spazio pubblico da fideistico-negoziale si è trasformato in viscerale, irrequieto e per questo intermittente e fugace (Filippo Salone, “l’Occidentale”). Non c’è più il magnetismo stabile dell’ideologia, che sebbene irrigidisse le posizioni di fronte all’evoluzione della realtà, contrastava la frammentazione dei luoghi e delle voci del dibattito pubblico moderno che sfocia spesso in un’instabilità confusionale e isterica che porta in certi casi alla protesta cieca e violenta: vedi il fenomeno “No Vax” durante la pandemia Covid-19.
DALLA LOTTIZZAZIONE ALLA PERSONALIZZAZIONE
L’attacco alla centralità partitica portato con successo dall’epopea berlusconiana ha scassato il meccanismo di integrazione verticale tra cittadini e istituzioni il quale comunque aveva il difetto che per conservare il potere si deformava facilmente e a tutti i livelli (locale e nazionale) in processi clientelari e lottizzanti che la vicenda di Tangentopoli ha chiaramente messo in luce. Per contro è emersa una altrettanto nociva formalizzazione politica, basata sulla personalizzazione in cui, oltre alle vicende istituzionali, si portavano all’attenzione del votante/spettatore i fatti personali del rappresentante che diventavano materia di interesse pubblico. Il politico in questo modo, protagonista dei riflettori televisivi e dei media sociali (Facebook, Twitter), sveste i panni del serioso, distaccato, noioso e ingessato rappresentante istituzionale e intraprende con l’elettore/pubblico/spettatore un rapporto apparentemente più vicino, di tipo amicale e al tempo stesso di ammirato/ammiratore sulla fattispecie delle stelle del cinema e dello sport. È in questo modo che trasmissioni “leggere” condotte da showgirl come Barbara d’Urso o Federica Panicucci, diventate sedi ospitanti di leader politici di turno a cui è stato possibile offrire un’intervista ammiccante al fine di fargli “pescare” elettorato anche dagli ambienti culturalmente e socialmente più distanti dai formalismi istituzionali.