Il decennio che va dal 2008 al 2018 ha visto nella politica italiana l’indebolimento di Forza Italia e di Berlusconi a favore prima di tutto della Lega di Matteo Salvini che gli ha assorbito parte dello spettro elettorale più conservatore ed è diventata la forza principale dell’area e poi degli eredi, ormai di terza generazione, del vecchio Movimento Sociale, il nuovo partito di Fratelli d’Italia guidati da Giorgia Meloni. A sinistra nel panorama politico italiano si è visto l’indebolimento del Partito Democratico il quale, dopo aver faticato nell’ultimo governo Prodi (2006), assieme ad altre forze di centro sinistra (L’Unione) a tenere testa alle forze conservatrici e allo strapotere mediatico di Silvio Berlusconi, tra difficoltà a trovare una propria identità alternativa al centro destra e correntismi interni, si è via via smembrato in due tronconi: prima nel 2013 con la nascita di Articolo Uno di Roberto Speranza ed altri ex capostipiti del partito democratico, tra cui Massimo D’Alema e Pierluigi Bersani e uno più al centro, nel 2019, con la nascita del partito di Matteo Renzi, Italia Viva. Lo scenario politico del decennio si è completato con la comparsa nell’agone politico italiano del Movimento Cinque Stelle che, nato prima come movimento nel 2009, si è trasformato ben presto in partito politico, capace di scalare le posizioni di vertice del dirigismo nazionale, pur avendo un fragile radicamento sui territori. Il fenomeno Cinque Stelle, dopo aver sfiorato la carica di presidente del consiglio nelle elezioni del 2018, ha poi, subito dopo, accusato una battuta d’arresto alla sua crescita di consensi, attestandosi su valori medi (15-20%) per tutta la durata della XVIIIa legislatura.
Il parlamento italiano. Foto di Marco Oriolesi (Unsplash)
2008/2018: LA SUCCESSIONE CRONOLOGICA GOVERNATIVA ITALIANA
Dal 29 aprile 2008 al 23 marzo 2018 la Repubblica Italiana ha visto la seguente successione governativa:
16a legislatura:
– IV° Governo Berlusconi (dal 29/04/2008 al 23/12/2012) → 56 mesi
– Governo Monti (dal 16/11/2011 al 27/04/2013) → 29 mesi
17a legislatura:
– Governo Letta (dal 28/04/2013 al 21/02/2014) →10 mesi
– Governo Renzi (dal 22/02/2014 al 12/12/2016) → 34 mesi
– Governo Gentiloni (dal 12/12/2016 al 01/06/2018) → 18 mesi
18a legislatura:
– I° Governo Conte (dal 01/06/2018 al 04/09/2019) → 15 mesi
– II° Governo Conte (dal 05/09/2019 al 13/02/2021) → 18 mesi
– Governo Draghi (dal 13 febbraio 2021)
L’ANALISI NUMERICO-TEMPORALE E L’ASCESA DEL POPULISMO
Come si evince dalla stima numerica dei mesi di governo, ogni legislatura del periodo in questione, ha sempre subito, seppur nel rispetto dei vincoli parlamentari, una variazione nell’organico di governo e, solo il IV° governo Berlusconi, ha sfiorato la conclusione del mandato pieno, dopo peraltro averlo centrato nel suo secondo governo (2001 / 2005). Per il resto l’instabilità delle forze che ogni volta è andata al governo è stata una costante italiana.
I PICCHI DI INSTABILITA’ NELLA PRIMA REPUBBLICA
Il fenomeno della cronica crisi di governo nella politica italiana è però una costante che si è configurata da sempre nella storia repubblicana, con i picchi di instabilità raggiunti durante la Prima Repubblica, mentre, dal ’92 al 2008 sono andati a Palazzo Chigi gli esecutivi più stabili.
LE RADICI DELL’ASTENSIONISMO
Gli italiani sono noti nel mondo per una certa litigiosità . La loro difficoltà a stabilire rapporti sociali collaborativi coi propri concittadini è dovuta principalmente a un marcato individualismo che li porta a non riconoscere l’utilità delle istituzioni pubbliche come garanti della nazione. A ciò, se si aggiunge che, l’italiano medio, non ha ancora sviluppato una solida coscienza identitaria nazionale per via della giovane età dello stato sovrano che lo rappresenta, fondato solo nel 1861. Tutto ciò spiega solo in parte il motivo per cui, oggi, il tasso di attenzione verso gli accadimenti politici è tutt’altro che elevato in Italia, come dimostra il fatto che, tra il 1979 e il 2008, i non votanti nel Bel Paese sono aumentati di più di 10 punti percentuali rispetto alle rilevazioni precedenti (Fonte: Maurizio Cerruto: La partecipazione elettorale in Italia).
Tenendo sullo sfondo queste considerazione è ora possibile dare un’occhiata a fenomeni più recenti che fanno da corollario alla disaffezione politica e al debole spirito identitario nazionale, ovvero la disinformazione di massa e il populismo che sono due aspetti determinanti, affinchè, in una platea così distratta, paradossalmente i partiti e i movimenti politici si muovono con azioni non sempre rispettose dei cittadini che intendono rappresentare.
LA DISINFORMAZIONE DI MASSA
La disinformazione di massa sulla vita politica e le dinamiche di comando che esercitano il potere esecutivo è dovuta al fatto che la popolazione, registrando la continua instabilità politica come denominatore comune di quasi tutti i governi che si sono succeduti nella storia repubblicana (dal 1946 al 2021, in 75 anni ci sono stati in Italia 66 governi. Vedi figura) e la conseguente continua sostituzione delle squadre di governo che non rispondono molto spesso all’esito elettorale ma solo a dinamiche parlamentari protette dalla costituzione stessa, ha maturato la malsana idea che la propria volontà elettorale “non serva” e si infranga con le regole parlamentari che consentono, anche ad un’alleanza di partiti di minoranza che nell’insieme raggiungono la quantità sufficiente di voti, di poter entrare al governo ed esercitare il proprio potere. Questa dinamica, quasi sempre è rinforzata dalla mai morta tendenza del parlamentare medio italiano di essere trasformista senza scrupoli, ovvero di entrare in parlamento con il voto di un partito e traghettarsi a legislatura in corso da un’area all’altra dirottando in questo modo i voti raccolti alle elezioni, in politiche che i suoi elettori non avevano contemplato. Queste palesi ambiguità hanno fatto sì che l’elettore medio, scoraggiato dalla propria impotenza elettorale, si sia rifugiato in un difensivo rigetto sistematico e generalizzato alla politica che si è tradotto in un pericoloso disinteressamento.
- La moltiplicazione dei talkshow
Tenuto conto che, nonostante la crescente diffusione delle nuove tecnologie, la televisione rimane ancora la principale fonte di informazione politica degli italiani (LEGGI ANCHE: LA SPETTACOLARIZZAZIONE DEI TALK-SHOW), gli altri fattori che hanno determinato questo fenomeno è la moltiplicazione dei talkshow politici in televisione e il bombardamento di notizie, molto spesso relative proprio alle cronache di malumori, liti e rotture tra alleati politici, sia su giornali che alla radio. Questa abbondanza di informazioni negative e la loro capillare ridondanza, associata all’accezione altrettanto negativa che una continua instabilità produce nell’elettore, ha evidenziato la disaffezione del cittadino fino a portarlo allo stato di rigetto generalizzato che sta vivendo in questi ultimi decenni. È ormai chiaro a tutti infatti, che il “milione di posti di lavoro” prodotto dal primo governo Berlusconi non è mai esistito; che il “pericolo di una deriva comunista”, sempre del primo Berlusconi, non è mai esistita; che l’urgenza di una legge sul conflitto di interessi propagandata per oltre quindici anni dal Partito Democratico è servita solo a dare corpo al proprio, sempre più debole, consenso elettorale; che il Partito Democratico pur presentandosi come alternativa al conservatorismo di destra, non ha mai adottato una politica alternativa e riformista in grado di affrontare alla radice le annose questioni di disuguaglianza sociale ma ha liquefatto la matrice progressista nel mediocre moderatismo democristiano; che la Lega Nord, nata per combattere “Roma ladrona” e difendere le istanze indipendentiste di un sedicente popolo padano, si è prima seduta sugli scranni del potere romano mettendo sotto controllo i gangli degli esecutivi compresi i rubinetti del denaro pubblico romano con cui si è potuta sostenere e poi, con la fine dell’era bossiana e il subentro in quella salviniana (da Lega Nord a Lega) ha rimodellato la propria “mission” da regionalista a nazionalista, da padana a italiana, pur di allargare lo spettro elettorale e conquistare nuove fette di potere anche al centro e al sud come valido sostituito dell’ideale conservatore rappresentato prima da Alleanza Nazionale e poi da Fratelli d’Italia. Nel frattempo anche Matteo Renzi è riuscito a “rottamare” solo una piccola parte della “vecchia politica” sostituendola però con una “nuova” e di sua fiducia con la stessa rapacità di potere, tra carrierismo usa e getta, trasformismo della prima ora.
L’ASCESA DEL POPULISMO
Il populismo è l’uso di una comunicazione politica semplicistica finalizzata a solleticare gli istinti primordiali dei cittadini e tradurli in sostegno elettorale per gli interessi e l’ego dei leader politici che lo utilizzano. Il populismo è una tecnica di pescaggio del consenso che esiste da sempre, ma che oggi si è rinnovata in una nuova versione per adeguarsi all’elettorato democratico. Infatti, grazie al fatto che nell’Italia repubblicana, teoricamente, le scalate al potere sarebbero potenzialmente accessibili a tutti, è stato necessario per chi gioca la carta della carriera politica e della salita al potere, cambiare il modo di attirare l’attenzione dell’elettore.
Con la nascita dello stato democratico i vincoli di famiglia, di censo e di classe, sono stati in parte allentati (sebbene anche in una repubblica democratica rimangano croniche sacche di nepotismi, favoritismi, clientelismi e corruzione che smorzano la forza dello stesso processo democratico) e con adeguate capacità personali, caparbietà , preparazione culturale, tecnica e un po’ di fortuna, è possibile anche per chi nasce nei bassifondi di quartiere ambire a una prestigiosa ascesa economica e sociale che sfoci nella politica e abbia ricadute benefiche sulla società . Questa “liberalizzazione” del potere, se da un lato ha esteso la rappresentatività e consentito ad alcuni soggetti di scalare le posizioni sociali, dall’altro lato ha aumentato il numero dei candidati alle poltrone politiche producendo una concorrenza tra essi tutt’altro che pacifica.
La difficoltà di emergere per certi candidati è dunque un problema importante. Stimolati dalla diffusione del narcisismo, dal culto dell’immagine e dal bisogno di stare al centro dell’attenzione all’interno dell’agone sociale, molti aspiranti hanno imparato a usare qualsiasi mezzo per conquistare posizioni e battere i numerosi e spesso agguerriti concorrenti. Tra questi vi è sicuramente l’uso di un linguaggio “politico” accessibile alla maggior parte delle persone. Quindi anche semplicistico nei contenuti e nei modi, che riesca a catturare la loro attenzione in breve tempo e con la massima resa di convincimento: almeno quel tanto che basta per riuscire a farsi eleggere da qualche parte e ottenere la famigerata poltrona e/o la posizione di potere.
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L’IGNORANZA DI MASSA SEMPRE PIÙ DIFFUSA
Il politico populista affinchè possa raggiungere il suo scopo arrivista e padronale, deve operare in una società in cui il livello culturale dei cittadini sia basso, ovvero che abbiano elevati livelli di ignoranza di massa, altrimenti non sarebbe possibile veicolare con efficacia persuasiva messaggi politici semplicistici e banali, ma sarebbe necessario aumentare la propria visibilità attraverso una comunicazione che veicola concetti complessi che richiedono elaborazione.
I tempi di “realizzazione” politica per l’aspirante governante populista devono essere veloci. Ecco perchè si parla sempre più di comunicatori politici e meno di politici. Nel 1994 Silvio Berlusconi ha saputo convincere gli italiani delle sue capacità politiche anche grazie alle sue capacità comunicative, messe in luce nei primi video in cui egli stesso annunciava la sua “discesa in campo” contro i “politici di professione”, i cosiddetti parrucconi della prima repubblica, burocrati e corrotti.
Silvio Berlusconi, Umberto Bossi, Antonio di Pietro, Matteo Renzi, Beppe Grillo, Matteo Salvini, sono solo alcuni dei nomi più illustri di eccellenti comunicatori capaci di catturare l’attenzione, di convincere, di trascinare gli interlocutori verso il loro progetto che, dalla fine della Prima Repubblica, è sempre meno politico-ideologico e sempre più personalistico.
IL PERSONALISMO POLITICO REPUBBLICANO GERMINATO NEGLI ANNI ‘80
La tendenza al personalismo politico nell’Italia repubblicana, sebbene abbia avuto la sua plateale dimostrazione dal 1994 in poi, era già in essere in Bettino Craxi (foto in basso a destra) che, durante il periodo di massimo successo, nel pieno degli anni ’80, grazie al suo profilo carismatico aveva portato al governo il suo debole e mal organizzato partito (il Partito Socialista Italiano): grosso modo ciò che succede vent’anni dopo coi vari Forza Italia, Cinque Stelle o Italia Viva che sono partiti senza identità territoriale.
A seguire un elenco (non completo) di politici italiani emersi nelle ultime elezioni nazionali e venuti a capo di un partito personalistico di cui loro stessi sono fondatori, rappresentanti e garanti.
- Silvio Berlusconi → Forza Italia
- Umberto Bossi → Lega Nord
- Antonio di Pietro → Italia dei Valori
- Matteo Renzi → Italia Viva
- Beppe Grillo → Movimento Cinque Stelle
- Matteo Salvini → Lega
Tutti questi esponenti hanno creato prima dei movimenti e poi, raggiunto un apice di popolarità e di assetto organizzativo sono stati trasformati i partiti politici veri e propri, incentrati sulla figura carismatica del loro leader-fondatore, tanto che, nei casi in cui questi è uscito dalla scena (vedi Antonio di Pietro), il partito ha piano perso quota elettorale fino a scomparire quasi del tutto. Tutto ciò perchè, non avendo avuto alla base un sistema di credenze, di valori e di opinioni che facesse da solido substrato ideologico al partito ma solo, come unico collante, il carisma e in alcuni casi, il potere economico di “acquistare” collaboratori e sostenitori da parte del fondatore (Forza Italia ad esempio è un partito-azienda dove la centralità di Berlusconi è data non solo al fatto che lui ne è il fondatore, ma anche e soprattutto perchè è il principale finanziatore), tutta l’architettura del partito è crollata nel momento stesso che il capo si è ritirato dalla scena.
LA VOLATILITÀ DEI PARTITI PERSONALI
Un altro esempio di questa dinamica liquida dei partiti personalistici ci viene fornita da ciò che succede nelle periodiche crisi che li attraversano. Nei momenti di forte calo elettorale, a seguito magari di una pesante battuta di arresto, come molto spesso ad esempio è successo al partito di Forza Italia, ma pure a Italia dei Valori, a Italia Viva o alla Lega Nord di Umberto Bossi, è facile notare il fuggi-fuggi dal partito dei vari esponenti che si traghettano nei partiti limitrofi col timore di rimanere imbrigliati nella caduta e di perdere la carriera politica. Tutto ciò succede perchè la vita politica di questi esponenti è dipesa dal successo del partito per cui “lavorano” e per cui ne “rappresentano gli interessi”. Se invece, fossero “attaccati” a un’idea, a un progetto, a dei valori, anche se registrassero delle sconfitte elettorali rimarrebbero quanto meno coerenti ad essi e sosterrebbero il partito dall’esterno, magari con un contributo economico, culturale o di manovalanza volontaria nell’organizzazione dello stesso.
COME LAVORA IL POPULISMO
Quello che si è visto nelle elezioni politiche del 2018 con l’affermazione del centro-destra come coalizione (37% dei voti); del partito dei Cinque Stelle come lista singola (32%) e del crollo del Partito Democratico (18%) sceso al peggior risultato della sua storia, ha messo in luce come, un partito di protesta come il M5S, nato e diventato forza elettorale facendo leva sul malcontento popolare di chi non si è sentito rappresentato dalla classe politica post tangentopoli, abbia usato il linguaggio populista per presentarsi come alternativa credibile in un mare di corruzione politica; di disperazione sociale ed economica, tra crisi dell’industria (solo il manifatturiero ha mantenuto i livelli pre 2008); scioperi e casse integrazione; lavoro precario; pressione fiscale sulle partite Iva e stacco tra ceti ricchi e ceti poveri. Il movimento fondato dal comico genovese ha così catturato l’attenzione dell’elettorato facendo gioco facile presentandosi come la novità rispetto alla palude del sistema al potere (sulla falsa riga di Berlusconi 24 anni prima che si presentava come il verginello della politica dopo Tangentopoli; oppure di Matteo Renzi che voleva “rottamare” i parrucconi), del resto nessuno poteva contestare loro l’appartenenza a una precedente amministrazione di qualsiasi livello, tenuto conto anche che le prime selezioni per entrare nei direttivi di rappresentanza richiedevano nel curriculum l’espresso requisito di “nessuna esperienza politica pregressa”. Si aggiunse poi un linguaggio aggressivo e rabbioso, direttamente ispirato agli spettacoli di Beppe Grillo e infine l’adesione a un ideale di mondo dove il digitale, l’ambientalismo e la rettitudine morale dovevano essere i capi saldi dell’azione politica.
Quello dei Cinque Stelle è stato dunque una ennesima proposta di messaggi semplici, concetti semplicistici e soluzioni irrealistiche che hanno solleticato gli istinti delle persone, ovvero quelle energie animali che le spingono ad agire senza organizzare un pensiero critico preventivo, così da entrare in caduta libera nel condizionamento di quella retorica. Essere preda degli “animali politici” significa farsi divorare il senso critico dai capi partito più scaltri, più veloci, più rapaci, più concreti, nel catturare il consenso e capitalizzarlo in una, massimo due, tornate elettorale. Politici senza una visione che vada oltre l’immediato della loro carriera.
PASTORI SARDI: IL CAPOLAVORO POPULISTA DI SALVINI
Una delle campagne elettorali più di successo da parte di politici populisti della seconda repubblica è stata sicuramente quella condotta da Matteo Salvini in Sardegna, in occasione delle elezioni regionali del 2019. Erano quelli i mesi caldi della protesta dei pastori sardi, iniziata dai professionisti del pecorino nel 2018 e andata avanti a correnti alternate fino alla prima metà del 2019. La protesta, rimasta nell’alveo delle cronache regionali per molto tempo, raggiunse picchi di visibilità oltre mare quando i pastori cominciarono a inscenare il “versamento del latte” in strada: in poche parole svuotavano i contenitore del latte appena munto, per dire che il loro lavoro non valeva niente. Gli allevatori chiedevano infatti alla politica e all’opinione pubblica, una maggiore attenzione per il loro lavoro; una paga più equa per il loro prodotto (il latte e i derivati della sua lavorazione, in primis il formaggio) e la possibilità di avere più peso contrattuale rispetto alla grande industria e alla grande distribuzione per poter vendere più profittevolmente il loro lavoro. Erano mesi di disordini e di violenze in Sardegna ma erano anche i mesi che precedevano l’elezione regionale. Un’elezione che in Sardegna era ancora una volta un testa a testa tra centro-sinistra (uscente) e centro-destra, dove bastava un guizzo finale di una delle parti per vincere la volata. Ad avere la meglio, alla fine, è stata una strategia vincente di marketing politico dell’allora leader politico della Lega, al picco del consenso nazionale, Matteo Salvini che in quel momento poteva contare di una posizione di rilievo grazie al fatto di essere al governo insieme ai Cinque Stelle nel cosiddetto governo giallo-verde o Conte I. La Lega, pur essendo stato il partito di centrodestra maggiormente votato alle precedenti elezioni nazionali, sorpassando definitivamente Forza Italia e diventando il partito di riferimento della coalizione, aveva, tuttavia, la necessità di consolidare la posizione e tentava, con le elezioni regionali, di conquistare pure elettorati locali, come quello della Sardegna che, fino ad allora, aveva dato il voto soprattutto al partito di Berlusconi come forza di centro destra. Inoltre, la Lega di Salvini aveva necessità di allargare il consenso oltre i confini delle regioni del nord per smarcarsi dalla limitante retorica nordista-padana di Umberto Bossi e provare, non ultimo, a smorzare eventuali sorprese dagli emergenti Fratelli d’Italia.
La Sardegna, con i suoi partiti autonomisti e indipendentisti sempre presenti seppur minoritari all’interno della compagine regionale, si prestava – da un punto di vista retorico-propagandistico – per imbastire un gemellaggio con istanze para regionaliste e identitarie. Fu così che, dietro un accordo ombra col Partito Sardo d’Azione, noto per il suo cronico trasformismo, che però forniva un’etichetta riconosciuta dai sardi, uomini e risorse economiche del territorio, è stato possibile entrare in Sardegna direttamente dalla porta di ingresso e nelle stanze del potere, dal momento che, nella provincia sarda, la Lega di Salvini, non aveva ancora una rappresentatività capillare, ma solo sporadiche adesioni. Per vincere le elezioni nonostante ciò mancava quella manciata di voti decisiva che arrivò, puntuale, con tempismo sul filo di lana, in occasione della protesta dei pastori sardi sul prezzo del latte. Il populismo salviniano non si fece perdere il momento e servì il colpo di reni vincente a Chirstian Solinas.
Matteo Salvini – allora, come detto, già vicepremier – dopo aver ignorato per mesi la questione dei pastori (come del resto tutta la politica nazionale fino ad allora) dirottò per un paio di settimane la sua retorica sull’argomento, manifestando a parole una certa vicinanza verso quelle battaglie e arrivò parlare apertamente di un obiettivo politico della sua mission: portare il prezzo del latte a un euro. Un obiettivo chi gli addetti ai lavori, ma non solo, giudicavano irrealizzabile, perchè gli industriali del latte negavano totalmente questa ipotesi di accordo in quanto dannosa per i loro interessi. Ma quella visibilità raccolta in quei giorni sulla base di questo messaggio (inscenato anche in una riunione pubblica a Roma tra lo stesso Salvini ed alcuni esponenti del Movimento dei Pastori Sardi), ha fatto sì che il Partito Sardo d’Azione targato Lega facesse quel guizzo di consensi finali, sufficienti ad aggiudicarsi la successiva elezione regionale: molti pastori sardi credettero infatti che, votando Solinas, avrebbero presto iniziato a vendere il latte a un euro. Ovviamente questo sogno non si realizzò: gli accordi pastori/industriali rimasero grosso modo gli stessi ante protesta e Matteo Salvini, dietro Chirstian Solinas potè entrare nell’amministrazione regionale sarda.
LA CONCRETEZZA DEL POPULISMO NELLA CONFUSIONE
Questo fatto è stato dunque un chiaro esempio di che cosa sia il populismo: far leva su un momento di disperazione della gente per catturare il consenso e tradurlo in un immediato successo politico. Perchè l’operazione magica del populismo abbia successo è quindi necessario che tanti fattori giochino in suo favore e tra di essi c’è sicuramente il tempismo: capire quando è il momento di catturare l’attenzione, capitalizzarla e investirla subito in una carriera politica.
Il decennio 2008/2018 è stato uno dei periodi della storia politica italiana in cui disinformazione politica e populismo sono stati gli ingredienti per il successo delle principali forze elettorali che si sono avvicendate. E ovviamente i problemi del paese solo in parte sono stati affrontati concretamente: sono aumentati i conflitti sociali e le disuguaglianze, e la mercificazione consumistica ha cambiato la mentalità della maggior parte dei cittadini italiani che hanno indebolito il loro senso critico a favore di una disattenzione alla vita politica le cui conseguenze sono ricadute inevitabilmente su di loro.
Autore dell’articolo: Pierpaolo Spanu
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