Il primo manufatto realizzato dall’uomo
Il muretto a secco è il primo manufatto che l’essere umano ha realizzato per modificare l’ambiente in funzione di una sua esigenza: riparo da intemperie, sistema di difesa da minacce esterne (animali o altri uomini), struttura per delimitare un luogo. Quasi in tutti i casi di utilizzo il muretto a secco costituisce la base portante per altre sovrastrutture che poi nell’insieme costituiscono un sistema.
Il muro a secco è realizzato con una tecnica costruttiva che richiede sapienza nella scelta dei materiali, nella dislocazione e nella sistemazione degli elementi che devono combaciare il più possibile per aver la meglio sulla gravità e sulle intemperie . Il materiale principale del muro a secco è la pietra che può essere di due tipi: lavorata o non lavorata. Nel 2018 l’Unesco ha inserito il muretto a secco nel patrimonio immateriale dell’Umanità.
SISTEMA ARCAICO DI IRRIGAZIONE
La costruzione di un muretto a secco con pietre non lavorate o pietre grezze domina dal 1823 – anno di attuazione dell’ “Editto delle Chiudende“- il paesaggio rurale della Sardegna. Con questi interventi il paesaggio sardo si è modificato anche da un punto di vista della distribuzione arborea, creando zone di infoltimento vegetativo proprio la dove sorgevano i muri. La ragione di questo fenomeno è stata studiata dal geologo Camillo Reina (1928-1975) che dimostrò la capacità delle pietre di arrestare il processo di evaporazione dell’acqua dal terreno continuando nel contempo a fornire acqua alle radici.
IL MURETTO A SECCO COME STRUMENTO DI VIOLENZA
Nella storia secolare del muretto a secco in Sardegna, oltre all’Editto delle Chiudende, bisogna inserire la fenomenologia dei delitti e dei furti che hanno insanguinato per lungo tempo la vita agropastorale dei sardi. Al riparo del muro a secco sono stati infatti compiuti innumerevoli assassini e rapine di bestiame. La criminologia sarda è piena di vicende che hanno avuto gli esiti più tragici proprio avendo come protagonista il muretto a secco, capace di offrire copertura visiva per sparare una fucilata, oppure per far perdere le proprie tracce dopo un furto. L’esito per chi subiva questi crimini era di aver subito il torto senza che vi fossero stati testimoni perché ,l’altezza e la compattezza del muretto a secco, costituivano una barriera fisica insormontabile per la vista e l’udito di eventuali persone nelle vicinanze. È così che molti episodi – talvolta di una violenza inaudita – raccontati spesso nei romanzi criminali scritti da autori sardi, sono rimasti impuniti per sempre.
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BASE LOGISTICA PER I RAPIMENTI
Oltre che nella criminalità comune il muretto a secco è stato protagonista anche nelle numerose vicende del banditismo sardo. Nelle interminabili stagioni dei rapimenti dove l’Anonima sequestri, Graziano Mesina, l’Anonima gallurese e la Superanonima sono rimasti nella cronaca nera e giudiziaria italiana fino agli anni 2000, il muretto a secco ha offerto base d’appoggio logistica per l’esecuzione dei principali reati che vedevano come vittime figli di imprenditori (Farouk Kassam) e/o personaggi dello spettacolo (Fabrizio de Andrè). Il muretto a secco ha testimoniato in molti casi che il vincolo tra banditismo e mondo agropastorale in Sardegna era quasi sempre confermato e oggi, nonostante il rapimento a scopo estorsivo, non sia più una pratica diffusa nella criminalità locale, continua a offrire riparo negli agguati per regolamenti di conti intergenerazionali.