A partire dagli anni ’60 e per i successivi tre decenni l’Italia ha avuto un breve periodo di sfruttamento dell’energia nucleare al fine di ottenere energia elettrica per scopi domestici e industriali. Dal 1963 al 1990 infatti sono state operative quattro centrali nucleari, dislocate in Piemonte, Emilia Romagna, Lazio e Campania.
A decretare la chiusura degli impianti e l’abbandono di questa tecnologia di approvvigionamento energetico è stato il noto referendum sul nucleare del 1987 (LEGGI QUI), indetto dal Partito Radicale e dai nuovi movimenti ecologisti, come Lega Ambiente, nati sull’onda del disappunto popolare verso il nucleare dopo gli incidenti di Three Miles Island (Stati Uniti, 1979) e Chernobyl (Urss, 1986).
2005-08: SI RIPARLA DI NUCLEARE
A riaprire il dibattito sulla reintroduzione dell’energia nucleare in Italia fu l’aumento vertiginoso di gas e petrolio tra il 2005 e il 2008 che spinse l’allora IV governo Berlusconi a ripensare al nucleare come fonte di approvvigionamento energetico. Ma a spegnere definitivamente questa ipotesi di ritorno al passato sarà il nuovo incidente nucleare, accaduto nel 2011 a Fukushima a seguito del terremoto/maremoto.
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ANNI ’60, L’ITALIA PUNTA AL NUCLEARE: TERZO PAESE AL MONDO
L’Italia, uno dei paesi più martoriati dalla seconda guerra mondiale e costretti ad affrontare la difficile convivenza col proprio territorio privo di sostanziose fonti fossili (gas e petrolio) per la propria produzione di energia elettrica ha puntato, subito dopo la ricostruzione post-bellica, ad una politica che vedeva l’energia elettrica da fonte nucleare come un caposaldo indispensabile, tanto che, nel giro di pochi anni, il Bel Paese divenne il terzo produttore di tale energia dopo gli Stati Uniti e l’Inghilterra.
L’ITALIA CAVIA DEGLI STATI UNITI E DELLA GRAN BRETAGNA?
Nel sesto decennio del ‘900 l’Italia aveva già tre impianti nucleari di prima generazione e all’avanguardia tecnologica mondiale, con due reattori di matrice americana (BWR) e una britannica (PWR). Queste infrastrutture erano il risultato di una ricerca sperimentale ancora non del tutto collaudata e che, secondo alcuni, rappresentavano un avamposto tecnologico e sperimentale delle politiche energetiche americane e britanniche che vollero valutare gli esisti di certe soluzioni facendo ricerca sul campo in territorio extra nazionale.
In successione, tra il 1963 e il 1978 vennero realizzate le quattro centrali nucleari italiane: Borgo Sabotino (Latina, 1963), reattore Magnox; Sessa Aurunca (Caserta, 1964), reattore BWR; Trino (Vercelli, 1964), reattore PWR e Caorso (Piacenza, 1978) con reattore BWR.
IL RIORDINO DELLA POLITICA ENERGETICA, 1975: L’ITALIA PUNTA AL NUCLEARE
Se agli albori della nuclearizzazione energetica italiana la politica di settore non aveva ancora focalizzato un indirizzo preciso, nel 1975 fu adottato il primo Piano Energetico Nazionale che puntò fortemente sull’uso dell’elettronucleare.
1979, IL NUCLEARE COMINCIA A FARE PAURA
A smorzare gli impeti di queste teorie furono i venti contrari dell’opinione pubblica mondiale, scossa dall’incidente nucleare del 1979 avvenuto nella centrale americana della Pennsylvania (Three Miles Island) che decretò l’aborto della centrale di Montalto di Castro, messa in cantiere il 1º luglio del 1982 che già prevedeva due potentissimi reattori nucleari.
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LE CENTRALI NUCLEARI ITALIANE
- La centrale nucleare di Borgo Sabotino
La centrale elettronucleare di Borgo Sabotino, frazione di duemila abitanti del Comune di Latina, fu la prima del genere costruita in Italia e al momento dell’entrata in funzione, nel 1963, subito dopo il termine dei lavori di costruzione (1958-1962) fu il più potente reattore europeo. A fornire la tecnologia di costruzione fu l’inglese The Nuclear Power Group, mentre all’azionariato di sostegno economico vi parteciparono l’Agip Nucleare con il 75% delle azioni e l’IRI che ebbe il restante 25%. Dal 1963 al 1987 (anno della sua chiusura) l’Enel fu proprietaria dell’impianto.
La centrale laziale utilizzava uranio naturale moderato a grafite, raffreddato ad anidride carbonica e produceva 220 MW di energia elettrica (76-96% di disponibilità media) e nel corso della sua storia ha prodotto oltre 26 miliardi di chilowattora (kWh) di energia elettrica.
La centrale di Borgo Sabotino è stata definitivamente arrestata il 26 novembre del 1986 e dal 1991 sono iniziate le operazioni di smantellamento ad opera di una azienda specializzata che ha acquisito l’impianto. Nel 2012 sono stati conclusi i lavori, compresi lo stoccaggio temporaneo dei rifiuti in attesa di essere trasferiti nel Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi (LEGGI QUI).
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- La centrale nucleare Enrico Fermi di Trino
Trino è un piccolo comune della provincia di Vercelli (poco più di seimila abitanti) che ha ospitato la centrale elettronucleare Enrico Fermi di Trino, gemella del più potente reattore A di Chooz, in Francia. L’impianto aveva un reattore unico, capace di produrre 260 MW di potenza netta, utilizzando uranio a basso arricchimento e raffreddato ad acqua pressurizzata.
La centrale nucleare di Trino fu costruita tra il 1961 e il 1964 e fu in gran parte finanziata da capitali pubblici italiani e statunitensi (questi ultimi in arrivarono a coprire il 50% della spesa totale). L’Enel entrò in possesso della struttura poco dopo il suo avvio (1965) e la detenne fino alla cessazione nel 1987. Dal 1999 l’area e l’impianto furono sottoposti a bonifica. Trino fu il primo impianto industriale di questo tipo avviato in Italia e fu intitolato ad Enrico Fermi. Al momento della sua entrata in funzione fu la più grande centrale nucleare del mondo che lavorava uranio arricchito e, con 322 giorni di funzionamento ininterrotto a potenza piena, ebbe il primato mondiale di efficienza produttiva continuata. Inoltre, rimase in funzione poco più di dieci anni e mezzo consumando 4,6 tonnellate di uranio e producendo 26 TWh di energia elettrica (23,8 TWh netti).
Dopo la chiusura dell’impianto, sono iniziate nel 1990 le operazioni di smantellamento e nel 2012 è stato il primo in Italia ad ottenere il decreto di disattivazione.
- La centrale nucleare di Caorso
La centrale elettronucleare di Caorso è stato un impianto situato nella località di Mezzanone di Zerbio, frazione di Caorso (provincia di Piacenza) costruito dall’Ansaldo Meccanico-Nucleare, tra il 1970 e il 1978. Il progetto è stato realizzato in collaborazione con l’Enel che ne aveva richiesto la realizzazione e ha previsto la costruzione di un unico reattore capace di produrre 860 MW di potenza netta utilizzando uranio leggermente arricchito. L’impianto, nel corso della sua vita, ha prodotto un totale di 29 TWh di energia. Nell’ottobre del 1986 fu fatta la quarta ed ultima ricarica di combustibile, perchè, con il referendum del 1987 la politica energetica italiana virò definitivamente verso l’abbandono dell’energia elettrica da fonti nucleari.
Nel luglio del 1990 subito dopo la chiusura è iniziato lo smantellamento della struttura e nove anni dopo è passato nelle mani della Sogin che ha provveduto al compimento delle operazioni.
Nel 2006 è iniziato l’iter di trasferimento delle barre di combustibile in Francia e sei anni dopo la Sogin ha completato la bonifica della turbina, con lo svolgimento della più estesa opera di decontaminazione di materiale metallico (10 mila tonnellate) mai svolta in un sito nucleare italiano.
Foto: Ilia Nediko (Unsplash)
- La centrale nucleare di Garigliano
La centrale elettronucleare Garigliano localizzata nel Comune di Sessa Aurunca (Caserta), era un impianto a reattore unico costruito tra 1959 e il 1964, grazie a un progetto di Riccardo Morandi, dalla Senn S.p.A. (Società Elettronucleare Nazionale che faceva parte del gruppo Iri-Finelettrica).
Garigliano iniziò l’attività di commercializzazione energetica nel 1964 e l’anno dopo è diventata di proprietà dell’Enel, rimanendo operativa fino al 1982, quando è stata definitivamente disattivata in occasione di una riparazione non portata a termine, perchè ritenuta antieconomica. La centrale ha così prodotto solo 12,5 miliardi di kWh di energia e dal 1999, la sua proprietà è stata assegnata alla Sogin, società che si è presa l’incarico di smantellare la struttura e mettere in sicurezza i rifiuti.
Le operazioni di smantellamento sono state mirate alla rimozione selettiva delle parti, lasciando in piedi i progetti dell’ingegner Morandi, ovvero il reattore e la turbina, dichiarati dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali “patrimonio architettonico italiano”.
Autore dell’articolo: Pierpaolo Spanu
Foto di copertina: Science in HD (Unsplash)