La foca monaca mediterranea è il pinnipede della famiglia delle foche a rischio di estinzione di cui sopravvivono in natura meno di 700 esemplari. L’areale di diffusione un tempo comprendeva un po’ tutte le coste del Mediterraneo, del Mar Nero e delle coste atlantiche della penisola Iberica. Oggi, dopo una lunga battaglia contro la ferocia e l’ignoranza umana durata alcuni secoli (la specie era ampiamente descritta nei resoconti marinareschi delle compagnie di navigazione veneziane), la foca monaca è costretta a sopravvivere in pochi posti: buona parte dei litorali greci (dove si stimano 200-300 esemplari), specialmente nelle isole greche del Mar Egeo, comprese Cipro e Creta; le coste della Cirenaica, quelle settentrionali della Tunisia e del Marocco e sporadiche apparizioni nel resto del Mediterraneo. Nell’Atlantico le foche monache hanno alcuni areali ancora sulle coste del Marocco e nelle isole Canarie. In Sardegna invece aveva il suo eremo nel Golfo di Orosei fino ai primi anni ’70.
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LA FOCA, PERCHÉ È MONACA
L’origine del nome “foca monaca” è in riferimento al colore nero della sua pelliccia (specialmente la femmina) che ricorda il sai dei frati. Questo animale ha popolato da sempre la storia di mare delle popolazioni mediterranee. Gli antichi greci la proteggevano in omaggio a Poseidone e ad Apollo in quanto creatura amante del mare e del sole. Numerosi reperti in ceramica della civiltà ellenica (anfore per il trasporto dell’acqua) riproducevano l’immagine della foca monaca; mentre gli autori classici come Omero, Plutarco e Aristotele la citavano nei loro testi; infine i pescatori la adoravano come simbolo di buon augurio e buona fortuna nelle battute in mare. Unica interpretazione distorta della foca monaca derivava dalla convinzione che il sonno profondo che l’avvolgeva anche quando la si incontrava a largo in mare, era dovuto alle sue pinne, e per questo talvolta veniva cacciata.
LA FOCA MONACA IN SARDEGNA
In Sardegna una delle colonie permanenti più note di foche monache (si contavano 20 esemplari nel 1969) era quella che abitava le coste del Golfo di Orosei: dalle Grotte del Bue Marino, alle spiagge di Cala Cartoe, di Cala Luna, di Cala Mariolu, fino alla Grotta del Fico (Baunei).
LE ABITUDINI DI VITA NEL MARE DI OROSEI
La foca monaca, essendo un mammifero adattato alla vita in mare, conduceva la maggior parte della sua esistenza in acqua, dove andava alla costante ricerca di cibo (molluschi cefalopodi, crostacei, patelle ma anche murene, cernie e dentici) e usava la superficie per dormire. Gli anfratti sulla costa o le spiagge invece erano assai frequentati durante il periodo riproduttivo, sia per il parto che per l’allattamento. Il grande predatore era in grado di frequentare praticamente tutta la costa del golfo, spostandosi in mare per decine di chilometri al giorno, oppure immergendosi fino a oltre 90 metri di profondità per soddisfare le sue esigenze alimentari.
CALA MARIOLU: ORIGINE DEL NOME
L’abilità innata nella pesca e la docilità della foca monaca sono state la sua condanna quando l’uomo ha trasformato la tecnica di pesca per sostentamento in quella per scopi commerciali. Nel Golfo di Orosei, il conflitto coi pescatori, fino agli anni ’70 del ‘900, era quotidiano, e la caccia è stata subito massiccia e indiscriminata proprio perché l’animale entrava in diretta concorrenza con loro, rompendo addirittura le reti e rubando il pescato. La foca era capace insomma di mandare in bianco intere battute di pesca e alla lotta tra loro e i pescatori nel Golfo di Orosei è stata anche dedicata il nome di una delle spiagge più belle della zona, Cala Mariolu, dove “mariolu” significa appunto “ladra”.
LA FOCA: TROFEO DI CACCIA DA PARIGI A CALA GONONE
L’altro punto debole per la sopravvivenza della foca monaca è la sua docilità . Tra tutte le specie di foca, quella monaca è la più addomesticabile. Fino alla metà dell’800 l’animale veniva catturato dai veneziani nelle coste della Provenza e venduto per essere esibito in pubblico nei vari spettacoli circensi di Francia e Germania. Dallo stesso villaggio di Cala Gonone, nei primi anni ’50 del secolo scorso, i pescatori effettuavano spedizioni nelle grotte e nelle spiagge, dove spesso i piccoli di foca potevano essere presi pure a mani nude, trasportati direttamente in paese, essere esibiti come trofeo di caccia o peggio ancora, scuoiati sul posto.
GROTTA DEL BUE MARINO: ORIGINE DEL NOME
Anche la nota Grotta del Bue Marino deve il suo nome alla foca monaca. I caprai di Baunei e di Dorgali quando effettuavano la discesa a mare durante il pascolo, talvolta trovavano gli arenili interamente occupati dalle foche. Le dimensioni dell’animale (capace di raggiungere fino a 320 kg di peso) richiamavano subito all’analogia il vero bue terrestre. Le Grotta del Bue Marino o la più piccola Grotta del Fico (Baunei) erano invece i dormitoi e le sale parto delle foche: dagli ingressi era possibile vederle uscire alla mattina presto e rientrare all’imbrunire.
LA CONSERVAZIONE DELLA SPECIE
La diminuzione delle popolazioni di foca monaca è dovuta soprattutto all’impatto antropico nei suoi territori. Oggi, il pinnipede, nel Mediterraneo, si presenta solo in piccoli gruppi familiari o come individui isolati. Gli avvistamenti avvengono specialmente d’inverno, quando il turismo balneare diminuisce e l’animale si riappropria seppur per un breve periodo del suo habitat. Secondo la Società Zoologica di Londra, la Monachus monachus (ovvero la Foca Monaca) è tra le 100 specie di mammiferi a maggiore rischio di estinzione, inserita pure nella Appendice I della Convention on International Trade in Endangered Species (CITES).
NELL’87 IL DIVIETO DI PESCA E NAVIGAZIONE NEL GOLFO
Per la colonia di foche monache del Golfo di Orosei, nel lontano 1987, fu varato un decreto ministeriale di salvaguardia che vietava la pesca e la navigazione. A causa delle pressioni per gli interessi commerciali legati alla pesca e al turismo, hanno di fatto portato al suo annullamento. Secondo le stime però, nonostante le molteplici minacce, le politiche di conservazione della foca monaca nel resto del Mediterraneo stanno dando qualche frutto: si comincia a parlare di un costante aumento degli esemplari tanto che dal 2015, l’IUCN ha riconosciuto la specie non più “in pericolo critico” ma “in pericolo”.