Sa tramuda, la transumanza in Sardegna
In Sardegna i pastori di Villagrande Strisaili e Arzana sono tra i pochi che ancora oggi praticano l’antica tradizione della transumanza detta in sardo “sa tramuda“. Si tratta di una pratica secolare legata al mondo pastorale, che nel resto dell’isola è quasi del tutto scomparsa a causa dell’allevamento intensivo, dell’introduzione dei sistemi di conservazione dei prodotti caseari e del ricovero del bestiame in stalle climatizzate. Oggi, al massimo, si effettuano brevi trasferimenti di animali tra pascoli distanti pochi chilometri.
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La transumanza
Dalle stazioni pastorali ai villaggi
Neolitico (6000 a.C.)
Primi insediamenti seminomadi: i pastori sostavano in aree riparate presso grotte, boschi e corsi d’acqua lungo le andalas.
🏛 Età romana
Le stazioni di sosta temporanee si trasformano in fattorie e punti di scambio. I romani tentano di disciplinare la transumanza con regole sui tratturi.
⛪ Medioevo
Attorno alle aree pastorali si costruiscono chiese, che diventano centri di aggregazione e favoriscono la nascita di villaggi stabili.
🗺 Età contemporanea
Alcuni villaggi si spopolano e scompaiono, altri resistono e sono tuttora presenti, come Esterzili, testimonianza viva dell’identità pastorale sarda.
La transumanza in Italia ed Europa
Un tempo diffusissima in tutta la penisola italiana, la transumanza oggi sopravvive solo in alcune aree degli Appennini centro-meridionali (come il Tavoliere d’Abruzzo e il Molise) e in zone alpine e prealpine (Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria, Trentino-Alto Adige, Lessinia e Altopiano di Asiago). In Val Senales (Alto Adige) si conserva addirittura il cammino di transumanza più antico d’Europa, che risalirebbe alla preistoria.
Sa Tramuda: la transumanza sarda
In Sardegna la transumanza è conosciuta come “Sa Tramuda” e le sue origini risalgono al Neolitico (6000 a.C.), quando le comunità vivevano in forma seminomade. Con la civiltà nuragica (1800-238 a.C.) la pratica si evolse, portando alla creazione di aree di sosta per le greggi, che in alcuni casi si trasformarono in veri e propri villaggi stanziali.
L’andala, il sentiero dei pastori
La parola transumanza deriva dal latino transumere, cioè “trasportare”. In Sardegna i greggi composti da 200-300 capi venivano spostati stagionalmente dalle zone montane e collinari verso le pianure e le aree costiere, dove l’inverno era più mite. Questo trasferimento avveniva lungo il tratturo, chiamato in sardo “àndala” o “caminu”: un sentiero di terra battuta e pietrisco, nato spontaneamente dal passaggio degli animali e delle persone.

Sa tramuda e l’identità pastorale sarda
La transumanza in Sardegna non era solo una pratica legata alla necessità di trovare pascoli migliori a seconda delle stagioni. Per secoli ha rappresentato l’ossatura economica dell’isola più arcaica, conservando caratteristiche simili dalla preistoria fino all’età contemporanea. Comprendere il fenomeno della transumanza significa, dunque, immergersi in uno degli aspetti più autentici dell’identità pastorale sarda, che ha modellato paesaggi, tradizioni e culture locali.
Il ruolo del sale nei pascoli
La stagione della transumanza iniziava a settembre, con l’arrivo del fresco autunnale, e si concludeva a metà maggio. I pastori conducevano i greggi a piedi dalle zone montane verso le pianure o le coste, scegliendo aree vaste non coltivate, caratterizzate da pascoli ricchi di sale.
Questo elemento era fondamentale per riequilibrare la dieta delle pecore, povera di minerali in montagna. I fondovalle e i pascoli vicini al mare, spesso ricavati nei calanchi e nei terreni argillosi e marini, beneficiavano della brezza costiera che arricchiva la vegetazione di salsedine. Tale particolarità influiva direttamente sulla qualità dell’erba e, di conseguenza, sul latte prodotto dalle greggi. Il risultato era un latte più nutriente e aromatico, ideale per ottenere formaggi di eccellenza e per mantenere la lana in condizioni ottimali.
Le aree privilegiate della transumanza sarda
Per sfruttare al meglio le caratteristiche dei pascoli salmastri, i pastori sardi si spostavano verso le pianure e le zone umide più adatte. Le aree privilegiate erano:
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il Campidano e il Cagliaritano a sud,
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l’Oristanese a ovest,
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la Baronia e la Media Gallura a est,
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la Nurra a nord.
Queste zone garantivano erbe dal valore nutrizionale superiore, determinando una filiera casearia di altissima qualità e consolidando un modello di allevamento che univa ambiente, cultura e tradizione.

Dalle stazioni di posta durante sa tramuda agli abitati
Lungo le andalas – i sentieri della transumanza che i romani tentarono di regolare con apposite norme di transito – i pastori avevano bisogno di aree di sosta per sé e per i propri animali. Si viaggiava soprattutto di notte, sfruttando il fresco, mentre di giorno ci si fermava nei villaggi per commerciare latte, formaggi, lana e pelli, prima di cercare riparo nei boschi, presso grotte naturali o corsi d’acqua.
Durante queste soste si svolgevano i lavori più importanti della vita pastorale: si improvvisavano recinti, si costruivano rifugi in pietra o legno, si controllava lo stato di salute delle pecore – in particolare quelle gravide o malate – e si effettuavano le mungiture. Per i pastori e i loro aiutanti erano anche momenti di riposo, con pasti frugali a base di pane pistoccu o carasau, formaggio e, per i più fortunati, un po’ di lardo e vino.
In alcune zone, specialmente nel Campidano, le stazioni di sosta si trasformarono progressivamente in veri insediamenti: dapprima accampamenti temporanei, poi fattorie in età romana, quindi piccoli villaggi. L’edificazione di chiese favorì la stabilizzazione degli abitanti, creando punti di aggregazione stabili lungo le vie della transumanza. Da quei villaggi nacquero paesi, alcuni dei quali scomparsi nel tempo, mentre altri – come Esterzili – sono ancora presenti sulla carta geografica della Sardegna.

La rivalità tra pastori e contadini
La storia della transumanza in Sardegna è stata segnata dalle politiche territoriali imposte dai diversi dominatori che si sono succeduti sull’isola. Già i Cartaginesi (VI secolo a.C.) costrinsero le comunità nuragiche a ritirarsi sugli altopiani del centro Sardegna, mentre con l’arrivo dei Romani e il loro espansionismo agrario si ebbe la prima convivenza forzata tra pastori e contadini.
Questa coesistenza spesso degenerava in conflitti, risolti solo con l’intervento militare. Un documento fondamentale è la Tavoletta bronzea di Esterzili (69 d.C.), nella quale si racconta la ribellione dei Gallinenses, pastori sardi che si opponevano al nuovo ordinamento romano sulla libera circolazione del bestiame, contro i coloni campani Patulicenses.
La transumanza in epoca romana entrò progressivamente in crisi. Bisognerà attendere il periodo giudicale per assistere a una ripresa: l’allentamento del controllo amministrativo e la liberazione dei passi montani dalle guarnigioni militari favorirono nuovamente gli spostamenti stagionali. Anche durante il feudalesimo i pastori trovarono forme di tutela, mentre i signori feudali espropriavano le terre ai contadini locali per riservarle al pascolo.
L’Editto delle Chiudende e sa tramuda
Una nuova svolta avvenne con l’Editto delle Chiudende del 1820 e, subito dopo, con l’Unità d’Italia (1821). Questi provvedimenti costrinsero i pastori a limitare i loro spostamenti e sancirono l’avvio di un lento ridimensionamento della transumanza. Con l’abolizione del regime feudale nel 1836, i terreni furono restituiti – spesso con assegnazioni controverse – a chi desiderava coltivarli.
Nonostante i cambiamenti, la transumanza pastorale rimase diffusa in Sardegna fino agli anni ’70 del Novecento. Solo con l’avvento dell’industrializzazione del comparto zootecnico e dei nuovi sistemi di allevamento la pratica millenaria venne progressivamente abbandonata.
