Origine e diffusione
L’industria della seta ha origini antichissime e, secondo le ricostruzioni storiche ufficiali, è nata in Cina quando le grandi civiltà europee (Greci e Romani) identificavano il paese dell’Estremo Oriente proprio come il “Paese della Seta”. La seta, sin dalle prime epoche commerciali, ha avuto un ruolo determinante nel confronto tra conoscenze e culture altrimenti isolate dalle enormi distante.
Cina ed Europa (in particolare l’Impero Romano) si scambiarono le merci attraverso la conosciutissima “Via della Seta”, il collegamento, articolato in un complesso reticolo stradale che si snodava per oltre 8.000 km, tra itinerari terrestri, marittimi e fluviali. Questo fondamentale sistema di comunicazione, denominato per la prima volta nel 1877, collegava Xi’an (Cina) con Bisanzio (Medio Oriente).
I tragitti erano vari: a Nord si snodavano sulle sponde del Mar Nero (Crimea) e accedevano alle pianure russe; in mezzo, si estendevano sui territori del Vicino e del Medio Oriente, l’India e la Corea. Verso Sud invece erano interessate le tratte marittime sul Mar Rosso, l’Oceano Indiano, i porti arabi e africani, l’India, la Thailandia, il Vietnam e il Giappone.

La seta nell’economia europea
Per lungo tempo s’importava la seta solo attraverso prodotti finiti (tessuti già confezionati) che, in epoca romana, diventarono ben presto di uso e consumo delle classi più abbienti, identificandosi come bene di lusso.
Ma affinché la lavorazione della seta iniziasse anche in Occidente bisognerà aspettare il 552 quando, due monaci, furono inviati in Cina da Giustiniano per cercare di conoscere il segreto di tale procedimento.
Al loro rientro i religiosi portarono in Europa i bozzoli e fu così che poté iniziare la sericoltura mediterranea, ovvero la filiera che legava l’allevamento del baco da seta (bachicoltura) alla lavorazione della seta vera e propria, la quale, si concludeva con la realizzazione del prodotto finito: i pregiati tessuti in seta. Contribuirono alla diffusione di questa economia in Europa anche gli Arabi che divennero specialisti nella coltivazione del gelso bianco, la varietà di gelso le cui foglie furono utilizzate nell’allevamento del baco da seta.

1146 e la sericuoltura italiana
In Europa l’arte serica cominciò ad Atene e a Corinto, mentre, quella italiana, iniziò di rimbalzo solo nel 1146, in Sicilia. Nei paesi della ex Magna Grecia tuttavia si svilupparono maestranze e ed economie legate alla seta che raggiunsero il primato europeo dal 13° al 17° secolo.
All’Italia, nello scenario mondiale della produzione di tessuti in seta, seguirono la Francia, l’Olanda e l’Inghilterra e, nell’arco di alcuni secoli, l’intera filiera europea poteva contare di produttori della materia prima (paesi mediterranei che usufruivano di un clima temperato necessario all’allevamento dell’insetto, come Italia e Spagna) e di realizzatori di prodotti finiti (Inghilterra e Olanda).
La prima globalizzazione europea
Dopo alcuni secoli dalla sua introduzione la tessitura della seta nel Vecchio Continente si sviluppò con un’industria che poteva contare di una filiera paneuropea. Le aree geografiche si erano specializzate in alcune fasi ed altre in altre ancora. I paesi a clima temperato (Spagna, Italia e Grecia) divennero soprattutto produttori di seta grezza, mentre, i paesi nordici (Inghilterra e Olanda) divennero esperti della manifattura. In seguito, dopo che, in pieno ‘800, il picco di produzione europea fu raggiunto in Inghilterra con oltre 100.000 telai battenti, l’abolizione dei dazi d’importazione, le grandi guerre del secolo successivo e le nuove politiche agricole che preferirono puntare su altre colture, determinò, per la seta, la perdita di centralità come materia prima nella realizzazione di tessuti.
Il sintetico raddoppia il valore commerciale del naturale
Ad oggi, per i prodotti in seta rimane un ruolo di nicchia esclusiva per articoli di grande prestigio in grado di coprire solo qualche frazione di punto percentuale sul consumo totale di fibre tessili. Vestiti, lenzuola, complementi tessili di arredamento sono realizzati utilizzando fibre tessili.
Il 2009, per l’ONU, è stato l’anno internazionale delle fibre naturali. Esse però rappresentano appena il 40% del totale della produzione mondiale di fibre tessili, mentre, solo nel 1960, erano il 78%.
Con la diffusione delle fibre manmade, artificiali e sintetiche, la quota delle fibre tessili è scesa drasticamente senza però intaccare al ribasso il valore assoluto delle fibre naturali.
Anzi, con l’ingresso sul mercato del sintetico, per contraccolpo, il valore commerciale del naturale è raddoppiato rispetto agli anni ’50 del ‘900, perché la pregiatezza in termini di salubrità e qualità intrinseca dei prodotti da esso derivato non è mai stato raggiunto dalle nuove lavorazioni tecnologiche.

Fibra naturale e cibo
Secondo la FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura), le fibre tessili naturali oltre ad essere prodotto di nicchia dell’industria tessile, è una fondamentale fonte di reddito per gli agricoltori dei paesi in via di sviluppo: cotone per l’Africa occidentale, la juta per il Bangladesh e l’India, il sisal per la Tanzania e il Brasile.
La seta non la produce più nessuno o quasi
Dal 2000 la seta, su scala mondiale rappresenta appena una produzione che si aggira intorno alle 135 mila tonnellate annue. La Cina è il primo produttore mondiale con oltre il 70% del totale, seguono, con piccole quantità , altri Paesi dell’Asia Orientale come l’India, il Vietnam e la Thailandia, dell’Asia Centrale, come il Turkmenistan e l’Uzbekistan, mentre, l’unico produttore significativo non asiatico è il Brasile.