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Home » Approfondimenti » Attualità » Sardegna rubata » Unico superstite Moby

Unico superstite Moby

Cronache di Sardegna

di Redazione
in Sardegna rubata
Tempo di lettura: 6 minuti
La petroliera Agip Abruzzo dopo la collisione con il Moby Prince, 10 aprile 1991

La petroliera Agip Abruzzo dopo la collisione con il Moby Prince, 10 aprile 1991

Alessio Bertrand era il giovane mozzo napoletano che, il 10 aprile del 1991, dopo la collisione tra la nave passeggeri Moby Prince e la petroliera Agip Abruzzo, riuscì a salvarsi.

La sua vicenda è stata più volte al vaglio di indagini giudiziarie e giornalistiche per cercare di ricostruire la dinamica di quell’evento e accertare eventuali altre responsabilità umane.

Bertrand inoltre, come si evince da un’intervista esclusiva al giornale Il Fatto Quotidiano dell’aprile 2017, ha affermato che la ricostruzione ufficiale secondo cui non ci sarebbero state altre persone da salvare nei momenti concitati dei primissimi soccorsi, sarebbe falsa.

  • LEGGI ANCHE: Disastro della Moby Prince

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Alessio Bertrand


Le dichiarazioni dell’unico sopravvissuto al Fatto Quotidiano

Nell’aprile del 2017 il giornalista Diego Pretini pubblica sul giornale Il Fatto Quotidiano le dichiarazioni ormai postume dell’unico superstite, il mozzo napoletano Alessio Bertrand, su quella vecchia ma non dimenticata tragedia di 26 anni prima: il disastro della Moby Prince.

Alessio Bertrand chiarisce cosa disse appena fu recuperato: “Ripetevo che c’era gente da salvare”. E nega ciò che gli è sempre stato attribuito, anche dai magistrati. Per ben nove volte ha detto ai soccorritori arrivati alle 23.30 “… che c’era ancora gente da salvare”.

Alessio Bertrand ha detto tutto ciò alla commissione d’inchiesta del Senato, ascoltato direttamente a casa sua da una delegazione di senatori.

Bertrand smonta una delle teorie giudiziarie di quella strage secondo cui non hanno mai trovato responsabili: “Non ho mai detto che erano tutti morti” ha ripetuto.


Alessio a lavoro sulla Moby prima dell’incidente

La Moby Prince aveva appena salpato dal porto di Livorno e Alessio Bertrand ha appena terminato la sua prima fase di lavoro. E’ in pausa nella sala tv e all’improvviso sente un fortissimo rumore.

Il panico è immediato anche per lui e la scelta è di scappare da qualche parte. Fumo, fuoco e panico di tutti i passeggeri che vanno subito in confusione non sapendo dove andare.

Insieme a due suoi amici riesce a sfondare una porta per uscire all’aperto. Ma la superficie del mare attorno alla nave sta già bruciando.

 


⚓ Cosa fa un mozzo?

La mansione del mozzo è quella di assistente generico a bordo di una nave. È il grado più basso dell’equipaggio, ma è importantissimo per il funzionamento quotidiano dell’imbarcazione, soprattutto nelle navi mercantili e nelle barche da pesca o da lavoro.

Ecco le mansioni principali del mozzo:

  1. Pulizia e manutenzione

    • Lava il ponte e altre parti della nave

    • Aiuta a verniciare, raschiare la ruggine, sistemare le attrezzature

  2. Supporto all’equipaggio

    • Aiuta i marinai e gli ufficiali nei lavori quotidiani

    • Passa gli attrezzi, controlla le funi, sistema i cavi

  3. Attività in manovra

    • Dà una mano durante l’ormeggio (lancio delle cime, fissaggio ai moli)

    • Aiuta nelle operazioni con l’ancora

  4. Turni di guardia

    • Può stare di vedetta o aiutare durante la navigazione (es. avvistare ostacoli)

  5. Piccoli lavori interni

    • Porta ordini, aiuta in cambusa, tiene puliti gli spazi comuni

 


Lapide commemorativa del disastro del Moby Prince al porto di Livorno. Foto: Piergiuliano Chesi
Lapide commemorativa del disastro del Moby Prince al porto di Livorno. Foto: Piergiuliano Chesi

Come si salvò il mozzo

Alessio Bertrand, il mozzo di Ercolano, il giorno della tragedia è al suo primo imbarco. E’ lui che vede quando la nave viene inghiottita dal fuoco e i suoi amici vengono sopraffatti dal fumo.

Lui trova la sua salvezza su una ringhiera esterna, a poppa, a cui si aggrappa per 45 minuti in attesa dei soccorsi che non arrivano. Deve aspettare le 23.30 quando a salvarlo sono due ormeggiatori che gli dicono di buttarsi in acqua. Dopo di che lo recuperano e lo consegnano ad una motovedetta che lo porta a terra.


Mai più il mare

Da quella esperienza, in cui ha visto la morte in faccia e in cui tante persone come lui hanno perso la vita in un modo così atroce e ingiusto, Alessio, non vive più sereno. Fa psicoterapia e usa psicofarmaci per contenere il non senso di quel vissuto. Non guarda più il mare dice alla prima intervista pubblica sul quotidiano il Tirreno nel 2011.


Alla commissione d’inchiesta la sua versione

La causa della collisione riporta il Fatto Quotidiano Bertrand ” … la nebbia non la vide, gliela riferì il timoniere, Aniello Padula, incrociato nei movimenti convulsi dell’equipaggio durante l’emergenza” .

” Poi ricorda che voleva buttarsi subito quasi all’inizio dell’emergenza, fermato dallo zio che lo avvertì del pericolo delle eliche – riporta ancora il Fatto.

L’unico che si buttò alla fine fu Francesco Esposito, barista di bordo che morì affogato e fu recuperato solo intorno alle 9,30 (11 ore dopo l’incidente), diventando la prima vittima ufficiale della tragedia del Moby.


I primi soccorsi dagli ormeggiatori

I primi soccorritori che arrivarono sul posto dell’impatto tra la Moby Prince e la Agip Abruzzo furono gli ormeggiatori Natti e Valli che, a bordo del loro piccolo natante in dotazione, issarono subito il fortunatissimo Bertrand che nel frattempo si era buttato in mare dopo essere rimasto aggrappato ad una ringhiera della poppa della Moby Prince.


C’è ancora gente da salvare

Percorso del fuoco sulla Moby Prince. Grafica: Alessandro Zocca
Percorso del fuoco sulla Moby Prince. Grafica: Alessandro Zocca

Secondo quanto riportato dal Fatto Quotidiano, che riporta a sua volta i verbali della conversazione tra ormeggiatori e capitaneria di porto di Livorno durante il salvataggio …a voce Valli grida alla radio (Natti è al timone): “Abbiamo raccolto un naufrago e dice che ci sono ancora persone sulla nave. Ci sono ancora 50 passeggeri mi dicono… ”.

Bertrand lo ripete per ben tre volte a squarcia gola, urlando con le ultime forze rimaste dopo aver appena visto la morte in faccia. lo urla tre volte, perché sente che nessuno lo ascolta, che la Guardia Costiera, che pure è lì vicino, indugia. “. E aggiunge: “…andare a poppa della nave!”.


La Guardia Costiera è vicina ma indugia

Mentre Valli attende disposizioni dalla Capitaneria per dirigersi o meno vero la poppa della nave, la Guardia Costiera che si trova li vicino, indugia.


Il lungo silenzio

Dopo questa ultima comunicazione tra Capitaneria e ormeggiatori c’è un lungo, inspiegabile, silenzio. L’ormeggiatore al microfono, Valli chiede inutilmente se qualcuno è dall’altra parte, ma nessun risponde.

  • Dopo un pò di tempo il testimone si trova a bordo della motovedetta della Capitaneria, la Chiarile Papa 232.  E chi lo assiste dice che “non c’è più nessuno e che sono tutti morti”.

Le contraddizioni

Diciotto minuti dopo aver issato Bertrand a bordo, dalla sala operativa della Capitaneria arriva la domanda cruciale: “Il naufrago ha dichiarato che si sono buttati in mare altri… oppure no?”.

A questo punto cambia tutta la versione dei fatti e dalla motovedetta Charile Papa della Guardia Costiera si risponde: “Il naufrago ha detto tutti morti bruciati”.

Ma Bertrand nega di aver detto questo. Nella audizione alla commissione il mozzo dice di aver detto a Valli e a Mattei una volta salito sulla loro barca “Fermiamoci qui perché ci sono altri da salvare”.

Bertrand ripete più volte ai commissari la sua versione dei fatti e questo sembra coerente con la sua reazione di rabbia quando, appena portato a terra il giorno del disastro, sale sull’ambulanza dove ripete gridando ” …i miei amici”.

 

Relitto del Moby Prince al porto di Livorno dopo il disastro. Foto: Ansa
Relitto del Moby Prince al porto di Livorno dopo il disastro. Foto: Ansa

Gli amici di sventura che muoiono

Alessio Bertrand con l’espressione “i miei amici” si riferiva ai suoi colleghi di bordo e marinai di coperta, in particolare ad Angelo Massa, 30 anni di Castellamare di Stabia e a Giovanni D’Antonio, 22 anni, di Torre del Greco. Con loro tenta la difficile missione di salvarsi la vita con una rocambolesca fuga dal fuoco nei piani bassi della nave per raggiungere la minor altezza possibile da cui poi gettarsi in mare.


Il tentativo di fuga (invano)

Massa, D’Antonio e Bertrand scappano dal fuoco che sta avvolgendo la nave, attraversano corridoi pieni di fumo, scavalcano persone già accasciate, scendono rampe di scalette per andare verso il garage. F

anno questo tragitto bagnandosi con una manichetta per resistere al calore che comincia a divampare, ma sono già passati oltre trenta minuti dall’impatto e l’ultimo con cui Bertrand parla prima riuscire a salvarsi è D’Antonio.


Tutti morti e tutti assolti

La sentenza del 1997, la sentenza del “tutti assolti” dice che dopo 40 o 50 minuti dopo l’impatto “tutti morti a bordo”.

La Moby Prince nel porto di Bastia, ad agosto del 1987. Foto:Cactus26
La Moby Prince nel porto di Bastia, ad agosto del 1987. Foto:Cactus26

 

 

 

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