Dal punto di vista etnico e culturale, Carloforte rappresenta un caso unico nel panorama sardo. Gli abitanti dell’isola, infatti, oltre all’italiano parlano un dialetto genovese originario del quartiere di Pegli, nella periferia occidentale di Genova. Questo straordinario patrimonio linguistico, noto come tabarchino, è oggi tutelato e riconosciuto ufficialmente anche dal capoluogo ligure: nel 2004, Genova ha conferito a Carloforte il titolo di Comune Onorario di Genova, a testimonianza dello storico legame tra le due comunità.
Il tabarchino è perfettamente comprensibile a tutti i parlanti liguri, ma presenta caratteristiche fonetiche e lessicali che lo rendono ben distinguibile dagli altri dialetti della Liguria. Proprio questa particolarità contribuisce a rendere Carloforte un’isola nell’isola, custode di una tradizione culturale e linguistica che non ha eguali in Sardegna.
Nei dintorni:

Scheda informativa di Carloforte
Nome del paese: Carloforte
Origine del nome: richiama il re Carlo Emanuele III di Savoia; il paese fu fondato nel 1738 da coloni liguri provenienti dall’isola tunisina di Tabarca, e conserva ancora oggi lingua e tradizioni liguri
Nome degli abitanti: carlofortini
Subregione di appartenenza: Arcipelago del Sulcis (isola di San Pietro)
Provincia di appartenenza: Provincia del Sud Sardegna (SU)
Numero di abitanti: circa 6.000 abitanti
Economia: pesca (storica la tradizione del tonno e la tonnara), turismo balneare e naturalistico, attività portuali, ristorazione e artigianato; importante anche la cultura gastronomica ligure-tabarchina
Siti turistici principali da visitare:
Il centro storico in stile ligure, con vicoli, caruggi e piazzette caratteristiche
Le spiagge dell’isola di San Pietro, tra cui La Bobba, Punta Nera, Cala Fico e Girin
Le colonne e le scogliere della zona di Capo Sandalo e il suo faro
Il Museo della Tonnara e le tradizioni legate alla pesca del tonno
Il porticciolo turistico e le passeggiate sul lungomare

Carloforte, figlia di Genova: le origini tabarchine
L’identità di Carloforte affonda le sue radici nella storia della comunità ligure di Tabarka, in Tunisia. I genovesi che fondarono Carloforte nel 1738 non arrivarono direttamente dalla Liguria, ma dalla città-penisola di Tabarka, oggi situata al confine con l’Algeria. Qui, nel 1542, diverse famiglie liguri al seguito dei Lomellini – un influente casato genovese impegnato nei commerci – ottennero concessioni territoriali e si insediarono sviluppando pesca del corallo, traffici marittimi e attività commerciali.
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Senza abitanti ai tempi dei Savoia
La convivenza con le popolazioni locali rimase pacifica per oltre due secoli, finché, a metà del ’700, i rapporti con alcune tribù arabe iniziarono a deteriorarsi. Questo portò un numeroso gruppo di tabarchini a cercare rifugio altrove. Grazie alla volontà del re di Sardegna Carlo Emanuele III di Savoia, impegnato nella colonizzazione delle terre ancora disabitate dell’isola, fu concessa loro la possibilità di stabilirsi sull’Isola di San Pietro, allora priva di abitanti. Qui fondarono il nuovo comune, che venne chiamato Carloforte in onore del sovrano.
L’attacco degli arabi
Il destino dei tabarchini rimasti a Tabarka fu drammatico: nel 1741, un attacco arabo portò alla completa invasione dell’isola e alla cattura dei suoi abitanti, ridotti in schiavitù. La loro liberazione avvenne grazie all’intervento di nobili europei, della Santa Sede, di Carlo Emanuele III e del re di Spagna, Carlo III. Una parte degli schiavi liberati raggiunse Carloforte; altri, dopo vari spostamenti, fondarono due nuove comunità: Calasetta (1770) nell’isola di Sant’Antioco e Nueva Tabarca, sull’isola di San Pablo vicino ad Alicante, in Spagna.
Mentre i tabarchini di Nueva Tabarca si integrarono progressivamente nella cultura spagnola, quelli di Carloforte e Calasetta conservarono fino a oggi la loro identità originaria, nelle tradizioni, nelle usanze e soprattutto nella lingua.
Fino agli anni ’50 del Novecento rimase attiva anche una piccola comunità tabarchina nel Nord Africa, mentre molte altre famiglie si dispersero nel mondo. Oggi esistono comunità di discendenti carolini in Francia, Spagna, Tunisia, Marocco, Germania, Stati Uniti, Uruguay, Argentina, Perù, Cile, Australia, e naturalmente a Bonifacio in Corsica. Il numero complessivo stimato supera le 18.000 persone.
Le incursioni piratesche dell’Ottocento
A fine Settecento, Carloforte fu vittima di una delle più gravi incursioni piratesche della sua storia. Durante un attacco barbaresco, oltre 900 abitanti furono catturati e condotti come schiavi a Tunisi, dove rimasero prigionieri per cinque anni. La liberazione fu possibile solo grazie a un oneroso riscatto pagato dal re Carlo Emanuele IV di Savoia.
La nascita del culto della Madonna dello Schiavo
Durante la prigionia a Tunisi, un carlofortino di nome Nicola Moretto rinvenne sulla spiaggia di Nabeul una piccola statua di legno, probabilmente la polena di una nave, raffigurante la Madonna. Il ritrovamento fu interpretato come un evento miracoloso e divenne un simbolo di speranza e conforto per i tabarchini ridotti in schiavitù. Da questo episodio nacque il culto della Madonna dello Schiavo, oggi una delle devozioni più sentite dalla comunità carlofortina.
Dopo la liberazione, la statuetta fu portata a Carloforte e custodita nella nuova Chiesa della Madonna dello Schiavo, destinata a diventare uno dei luoghi spirituali più rappresentativi della città.
Le incursioni piratesche continuarono per anni, tanto che la comunità decise di proteggersi con mura difensive, forti e diverse torri di avvistamento, ancora oggi parte del patrimonio storico dell’Isola di San Pietro.
I venti della Rivoluzione Francese sull’Isola di San Pietro
Nel 1793, in pieno clima post-rivoluzionario, Carloforte venne occupata dalle forze francesi. L’isola fu ribattezzata dagli invasori come “isola della libertà”, poiché i nuovi ideali di libertà, fraternità ed uguaglianza arrivarono direttamente sulle coste dell’Isola di San Pietro. La dominazione durò pochi mesi — dall’8 gennaio al 26 maggio — ma fu sufficiente a influenzare profondamente la popolazione locale, che rimase affascinata dai principi rivoluzionari, entrando però in contrasto con la fedeltà al re di Sardegna, nemico della Francia rivoluzionaria.
Tra gli episodi più singolari di quel periodo spicca la vicenda della statua del sovrano sardo, che alcuni carlofortini decisero di proteggere temendo che venisse distrutta dalle truppe francesi. La statua venne nascosta sottoterra in una fossa scavata in gran fretta, ma l’opera non fu abbastanza profonda da contenerla completamente: un braccio rimaneva infatti visibile in superficie. Per salvarla, i cittadini furono costretti a staccare il braccio a colpi di mazza, con l’intento di completare il nascondimento. Terminata l’occupazione francese, la statua fu riportata sul suo piedistallo nel lungomare di Carloforte e il braccio, in seguito, venne riattaccato, diventando testimonianza tangibile di quel singolare capitolo della storia tabarchina.










































