La muratura tradizionale di Sadali rappresenta una delle testimonianze più autentiche della cultura materiale della Barbagia di Seulo. Tra pietre calcaree locali, malta di fango e successivamente calce, gli antichi muratori del “Paese dell’Acqua” hanno saputo trasformare risorse essenziali in solide abitazioni, forni domestici e tetti resistenti al tempo. Questo sapere artigianale, tramandato di generazione in generazione, non è solo un patrimonio tecnico, ma anche un simbolo di identità comunitaria che racconta la storia, la fatica e l’ingegno della gente di Sadali.
Nel cuore della Barbagia di Seulo, a Sadali, il cosiddetto Paese dell’Acqua, le pietre che compongono le case del centro storico raccontano la stessa tenacia dell’uomo che, partendo da elementi essenziali, ha costruito la propria esistenza. È a questa essenzialità che mi affido per portare avanti il mio viaggio tra gli antichi mestieri della Sardegna, con l’obiettivo di conoscere e far conoscere ciò che, immutabile, ancora resiste tra le vie di questo borgo.
In uno scenario unico, dove Natura e Uomo si incontrano, gli antichi mestieri diventano una bussola del presente e uno specchio attraverso cui intravedere nuove prospettive per il futuro. Il filo conduttore di questa ricerca mi ha condotto, questa volta, a riscoprire uno dei mestieri più antichi e popolari, che ancora oggi rappresenta memoria viva e fonte di insegnamento: quello del muratore, in sardo su maist’e muru.
- LEGGI ANCHE: Federica e il suo viaggio
Il racconto di Argiolas, su maist’e muru sadilesu
A custodire e tramandare la memoria di questo antico mestiere è Angelo Argiolas, 78 anni, nato e cresciuto a Sadali, nel cuore della Barbagia di Seulo. Con la sua esperienza di vita e di lavoro, Angelo rappresenta l’anello di congiunzione tra le generazioni passate e quelle future, testimone prezioso di un’arte che continua a vivere nel tempo: quella del muratore (su maist’e muru).
Come nasce la passione per l’antico mestiere del muratore
Il signor Angelo Argiolas, nato e cresciuto a Sadali, ricorda che da ragazzo le possibilità di lavoro per le nuove generazioni erano piuttosto limitate: si poteva scegliere tra la lavorazione della terra (orti e vigne) o il pascolo delle greggi. Fin da bambino, però, Angelo era affascinato dalla figura del muratore (su maist’e muru) e dalle costruzioni realizzate con materiali semplici ed essenziali. La sua più grande aspirazione era proprio quella di intraprendere quel mestiere antico e nobile.
Il padre, vedendolo ancora troppo giovane, lo spinse inizialmente verso un altro mestiere tradizionale, quello del calzolaio (su sabatteri), attività allora ancora utile alla comunità ma destinata a scomparire con l’avvento della società dei consumi. Angelo apprese i primi rudimenti del mestiere dal signor Edoardo Meloni, per poi tornare a coltivare la sua vera passione: l’arte del muratore.
A soli 15 anni iniziò il suo percorso formativo accanto al maestro muratore Angelino Carcangiu di Sadali, dal quale apprese i segreti del mestiere fino alla partenza per il servizio militare. Una volta congedato, riprese a lavorare con il suo maestro per poi, dopo un anno, avviare l’attività in piena autonomia.
Il suo debutto da muratore avvenne con strumenti semplici ma preziosi: tavole di legno da ponteggio (is taulonisi), cavalletti (is cavalletusu), il paiolo di ferro (su paiolu ’e ferru), pala (sa pàlia), cazzuola (sa palita), piega ferro (scandaliera), martello strappachiodi, mazza per spaccare le pietre (su mallu) e scalpello (su scrafeddu). Strumenti umili che, nelle mani esperte di Angelo, divennero gli alleati di una vita dedicata al lavoro e alla costruzione.
Le prime murature del paese di Sadali
A Sadali, nel cuore della Barbagia di Seulo, le prime abitazioni venivano costruite con roccia di scisto (schistu), mentre in seguito si preferirono le pietre calcaree locali, note come sa preda de Nuraxi ’e Istria. Si trattava di un materiale molto resistente all’usura, al gelo e alle intemperie, grazie alla sua durezza e compattezza.
Per la legatura delle murature (incatenamento) si utilizzava inizialmente la malta di fango, sostituita poi dalla malta a base di sabbia (s’arena ’e taccu), abbondante nel territorio di Sadali fino agli anni Sessanta. La sabbia veniva estratta con cura: si procedeva prima allo scrostamento della superficie per eliminare il terriccio scuro, poi si filtrava e infine si trasportava nel centro abitato con carri di legno trainati dai buoi (càscia ’e arena).
Per un periodo, le pietre locali furono sostituite con quelle di Nureci, più leggere e facili da lavorare. Tuttavia, questo materiale si rivelò inadatto al clima di Sadali: la pietra, di natura spugnosa, tendeva ad assorbire l’umidità e a deteriorarsi facilmente a causa del gelo e della forte presenza dell’acqua, elemento naturale che da sempre caratterizza il borgo, noto come Paese dell’Acqua.

Costruzione delle murature in pietra
Ogni muratore era riconoscibile dalla muratura in pietra che realizzava: il muro diventava quasi un “biglietto da visita”, una vera e propria firma che identificava l’artigiano. Come ricorda Angelo Argiolas, per costruire correttamente un muro in pietra era necessario seguire regole precise tramandate di generazione in generazione.
Ogni muratura doveva essere collegata (muru crau). Negli spigoli si posizionava la pietra più grande, chiamata “sa contonada”, seguita dalla “sa contro contonada”. Ogni pietra doveva bloccarne almeno altre due. Nei muri con spessore di 50 cm, il collegamento tra le due facce veniva garantito inserendo pietre triangolari e allungate, che chiudevano la struttura da entrambi i lati. Una muratura corretta non ammetteva spazi vuoti, i cosiddetti muru sperrau o pei de casu.
Per la cerchiatura delle aperture destinate a porte e finestre, si collocava una pietra allungata all’esterno (sa cartera) e una all’interno (sa contro cartera). Il puntellamento era garantito da “is trumponisi”, che sostenevano i lati verticali. Sopra l’apertura veniva posto l’architrave, in legno di castagno, detto “s’arcittu” se orizzontale e “su bussoni” se a semicerchio. Con il tempo, gli architravi furono sostituiti dal calcestruzzo (is s’arcittusu e bussonis in ciumentu).
Con l’avvento dei nuovi materiali edilizi, fecero la loro comparsa i blocchetti di cemento. Nei primi anni erano spesso realizzati con materiali scadenti e quindi destinati a deteriorarsi, ma con l’introduzione dei laterizi moderni, come i mattoni a vista, le costruzioni migliorarono sia dal punto di vista strutturale sia da quello estetico, garantendo maggiore rigidità e stabilità alle abitazioni.
Fornaci e produzione tradizionale della calce a Sadali
Quando venne accantonato l’uso del fango come malta per legare le pietre, a Sadali si diffuse l’impiego della calce, ottenuta grazie alle numerose fornaci presenti nel territorio. Si trattava di grandi forni circolari, con diametro di tre o quattro metri e apertura frontale, che venivano riempiti di pietre calcaree. Alla base si accendeva un fuoco continuo, alimentato per circa una settimana con fascine di legna: l’alta temperatura provocava la cottura delle pietre, trasformandole in calce. Le pietre cotte venivano quindi vendute a peso.
Il signor Angelo Argiolas ricorda che per la preparazione della calce si scavava una fossa con bordo di sabbia (sa balza), all’interno della quale venivano sistemate le pietre già cotte. Queste, bagnate con abbondante acqua, iniziavano ad aprirsi (sfroriri). A questo punto si aggiungeva altra acqua e si amalgamava il tutto fino a ottenere una massa cremosa di colore bianco.

I primi solai divisori delle case di Sadali
Nelle case a più piani di Sadali, i primi solai divisori (interpiani) venivano costruiti utilizzando robuste travi in legno di castagno (su staulu), sulle quali si posavano tavole di legno di abete maschiate e incastrate tra loro. Per fissarle si impiegavano speciali chiodi forgiati dal fabbro locale (su ferreri), chiamati “acciousu de staulu”.
Con il tempo emerse però una criticità: le tavole in legno di abete, a contatto con l’umidità, tendevano a gonfiarsi aumentando di volume e compromettendo la stabilità del solaio. Per questo motivo, in seguito, si preferì sostituire il sistema tradizionale con solai in calcestruzzo, più resistenti e durevoli.
Era inoltre consuetudine utilizzare il sottotetto (su staulu falsu o falsu), non abitabile, come spazio per la conservazione delle provviste, mantenendo così una funzione pratica e fondamentale per la vita domestica.

L’importanza delle donne nella costruzione dei solai
Nella realizzazione dei solai in calce a Sadali era fondamentale l’aiuto delle donne del paese. Esse trasportavano l’impasto con paioli di ferro portati sulla testa, attutendo il peso con un cercine di stoffa annodato, chiamato su tidili.
Per permettere loro di raggiungere i piani superiori, veniva costruito su scalandroni, una scala in legno a bassa pendenza, priva di corrimano, che facilitava il passaggio durante i lavori. Questo contributo femminile era decisivo per la buona riuscita dell’opera e testimonia il ruolo attivo delle donne nell’edilizia tradizionale di Sadali.
Le prime coperture delle abitazioni di Sadali
In passato, le case di Sadali erano prive di tetti veri e propri. Per ridurre il caldo estivo si spennellava la calce sul solaio; successivamente si utilizzarono fascine di legna, che garantivano un isolamento naturale sia dal caldo che dal freddo. Con l’arrivo dei materiali moderni – come la lana di roccia e il poliuretano – si iniziò a realizzare anche il cappotto termico.
I primi tetti tradizionali erano privi di coibentazione e realizzati con travi in legno di castagno e canne palustri stagionate (s’incannau). Sopra le canne veniva colato un impasto a base di sabbia (arena ’e Taccu), calce e paglia, mentre in passato si usava l’argilla. Tale strato serviva da sostegno alle tegole sarde (sa téula sarda).
Le canne, per essere più resistenti, venivano intrecciate prima con il giunco (su sessini), poi con il filo di ferro, così da risultare accostate in modo compatto. Più fitte erano, più solido e durevole risultava il tetto.
L’uso e la posa delle tegole nella muratura tradizionale di Sadali
Da circa 20-25 anni, grazie anche ai progetti di recupero dei centri storici, sui tetti del borgo antico di Sadali sono tornate protagoniste le tegole sarde. Le nuove venivano utilizzate per i canali di gronda, mentre le più antiche per coprire la superficie del tetto.
In passato, per fissarle, si usavano semplici sassi posizionati lungo il perimetro. Questo sistema permetteva alle tegole di restare arieggiate, garantendo lunga durata. Con l’avvento della calce, invece, la posa cambiò e le tegole iniziarono a deteriorarsi: l’acqua piovana, non potendo defluire, impregnava i coppi e con il gelo invernale li faceva spaccare.
Oggi i tetti vengono costruiti a posa libera o “a secco”, utilizzando tegole moderne come la cementegola, un manufatto in cemento più resistente a flessioni e carichi, dotato di certificazioni di qualità e maggiore garanzia di durata.

Muratura tradizionale di Sadali: le impalcature
Nelle abitazioni di Sadali, le prime impalcature erano realizzate in legno, con tavoloni e cavalletti. All’epoca le misure di sicurezza sul lavoro erano pressoché assenti: come ricorda Angelo Argiolas, si lavorava fino a dieci ore al giorno, compreso il sabato e la domenica mattina.
Le impalcature venivano fissate al muro a circa un metro di distanza con un cuneo di legno. Al termine dei lavori, i fori lasciati dall’ancoraggio venivano contrassegnati da una lettera dell’alfabeto, spesso con le iniziali del proprietario della casa: un modo per facilitare eventuali interventi futuri sulla facciata.
Su forru a linna: il forno sardo nelle case di Sadali
Un tempo, in quasi tutte le abitazioni di Sadali era presente il forno a legna (su forru a linna). Quando non si poteva costruirlo in casa, le donne si riunivano per panificare insieme (a fai su pani in domu). La panificazione era un’attività femminile collettiva: le donne adulte impastavano e raccontavano aneddoti, mentre le bambine partecipavano apprendendo le tradizioni. Era usanza, dopo la cottura, donare il pane ai parenti o a chi non aveva panificato.
Muratura tradizionale di Sadali: il forno sardo a cupola
Il signor Angelo, esperto costruttore di forni sardi, racconta le fasi di realizzazione. Si partiva da una base circolare, sostenuta da due muretti in pietra o mattone e poggiata su un piccolo solaio in calce, fatto con tronchi di castagno, pietre larghe (pedra lada) o tavole di legno.
La muratura in mattoni veniva impostata partendo da un chiodo posto al centro, con uno spago che tracciava la semicirconferenza. Così si creava la struttura a cupola, sostenuta fino all’asciugatura da un cuneo. Un cestino di vimini (palini) veniva posizionato all’interno della volta per dare la giusta curvatura.
Per assicurare la resa termica, il piano di cottura era composto da scarti di carbone delle locomotive (su scatta ’e ferru) e paglia (sa palla), ricoperti da uno strato di terra da forno (sa terra ’e forru), un’argilla rossa locale ricca di ossido di ferro. Questa veniva pressata, bagnata e lavorata a lungo, oggi con strumenti meccanici, un tempo solo a mano.
La visione sul futuro di su maist’e muru
Secondo Angelo Argiolas, l’antico mestiere del muratore (su maist’e muru) merita di essere recuperato e tramandato alle nuove generazioni. Pur essendo un lavoro faticoso e impegnativo, porta con sé un bagaglio di conoscenze pratiche e simboliche che uniscono la memoria del passato con le esigenze del presente.
- Guarda anche il video sul Laboratorio “Un senso di pace”
Gli antichi mestieri, dove le mani plasmano l’idea e la trasformano in materia, hanno un valore che va oltre l’apparenza: sono esperienze di vita, capaci di arricchire l’individuo e la comunità. In questo senso, riscoprire su maist’e muru significa intraprendere un viaggio interiore ed esperienziale, in cui il “nuovo” è frutto della trasformazione continua dell’essere.
di Rita Coda Deiana
Sadali
Storia della Muratura Tradizionale
Scheda Storica
A Sadali, nel cuore della Barbagia di Seulo, la muratura tradizionale nasce dall’uso sapiente di pietre locali e leganti naturali.
Dalle prime case in schistu alle murature in calcare (sa preda de Nuraxi ’e Istria), fino alla calce prodotta nelle fornaci del territorio,
il sapere del muratore (su maist’e muru) ha modellato il paesaggio costruito del “Paese dell’Acqua”.
Caratteristica | Dettaglio |
---|---|
Materiali originari | Roccia di schisto (schistu) e, in seguito, calcare locale (sa preda de Nuraxi ’e Istria) |
Leganti | Dapprima fango, poi sabbia locale (s’arena ’e Taccu) e infine calce di fornace |
Fornaci e calce | Grandi forni circolari alimentati a legna per la cottura del calcare; “sfioritura” con acqua e impasto (calce+sabbia) lavorato anche con sa muriga |
Tecniche di posa | Muri collegati (muru crau); spigoli con sa contonada e sa contro contonada; pietre triangolari d’ammorsatura; divieto di vuoti (muru sperrau/pei de casu) |
Aperture e cerchiature | Sa cartera (esterno) e sa contro cartera (interno); puntellatura con is trumponisi; architravi in castagno (s’arcittu orizz., su bussoni a semicerchio), poi in calcestruzzo |
Solai tradizionali | Travi di castagno (su staulu) e tavole d’abete maschiate (chiodi acciousu de staulu); poi passaggio al calcestruzzo; uso del su staulu falsu come dispensa |
Coperture e tetti | Travi di castagno e canne palustri (s’incannau) con impasto di sabbia (arena ’e Taccu), calce e paglia; tegole sarde (sa téula sarda) in posa libera; oggi anche cementegole |
Impalcature storiche | Strutture in legno (tavoloni e cavalletti) ancorate con cunei; scarse tutele storiche; marcatura dei fori per futuri interventi |
Figure e saperi | Il muratore (su maist’e muru) come custode del sapere; testimonianza di Angelo Argiolas (Sadali) |
Località | Sadali, Barbagia di Seulo – “Paese dell’Acqua”, Sardegna |