Nel cuore del bacino del Lago Omodeo, sulle sponde del vecchio invaso della diga di Santa Chiara, si trova un edificio che per molte stagioni ha catturato l’immaginazione dei visitatori: la cosiddetta “casa del Capocentrale” o villa del direttore della diga, costruita all’ombra dell’imponente sbarramento e oggi parzialmente sommersa dalle acque.
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🔹 Origine e funzione dell’edificio
La struttura fu eretta tra il 1917 e il 1924, poco dopo l’avvio dei lavori della diga, con la funzione di ospitare il Capocentrale, il Vicecapo e le rispettive famiglie. Era una elegante villa di due piani, dotata di giardino, frutteto, palme e persino un banano – segno del tenore di vita nelle infrastrutture idroelettriche dell’epoca.
La posizione strategica, sul ciglio dell’invaso, consentiva un controllo diretto della centrale e della sponda della diga.
🔹 Abbandono e sommergimento
Alla fine del Novecento, con l’entrata in funzione di un nuovo sbarramento più imponente (la diga di Eleonora d’Arborea), il vecchio invaso venne progressivamente svasato e ricostruito, portando al sommergimento dell’edificio.
Oggi la villa emerge solo nei periodi di siccità, quando il livello del lago scende e lascia intravedere la facciata abbandonata, le scalette che un tempo collegavano la casa alla sponda, e il silenzio di un passato industriale ormai dismesso.

🔹 Un simbolo di archeologia industriale
La “casa nella diga” assume un duplice valore: da un lato testimonianza della vita degli operatori dell’infrastruttura idraulica, con ambienti familiari e arredi d’epoca; dall’altro simbolo della storia del Lago Omodeo, della diga di Santa Chiara e delle trasformazioni del territorio del Barigadu.
Chi avvista dall’alto il livello abbassato del lago scorge un rudere che emerge dall’acqua: un invito alla riflessione sul rapporto tra uomo, acqua e paesaggio sardo.
🔹 Visitarla oggi
Il sito è accessibile dal comune di Ulà Tirso (OR) lungo la strada panoramica che abbraccia la sponda del lago. Le migliori vedute si ottengono dopo periodi di secca o nei mesi estivi, quando le acque dell’invaso rivelano la parte sommersa dell’edificio. Si consiglia di camminare lentamente, rispettando la sponda e la sicurezza, e consultare eventuali regolamenti locali sull’accesso ai resti sommersi. In ogni caso rappresenta un luogo suggestivo per la fotografia, per gli appassionati di archeologia industriale e per chi cerca un angolo poco conosciuto della Sardegna.
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