L’incidente che il 10 aprile 1991 accedde nella rada del porto di Livorno e portò alla morte di 140 persone, bruciate vive e non soccorse, è denominato bonariamente “tragedia”.
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Non fu tragedia, ma strage
Dopo decenni di indagini parallele (giornalisti e parlamentari) alla ricostruzione ufficiale dichiarata con apposito processo che è ha portato all’assoluzione totale di tutti gli indigati, emerge chiaramente che la denominazione di quell’incidente deve essere cambiata in “strage”. Strage a cui va aggiunto l’aggettivo “impunita”.
Vediamo in sequenza i fatti e i controfatti più importante del più grande disastro della marinera civile italiana accaduto nella primavera del 1991 all’uscita dal porto di Livorno.
- La partenza della Moby Prince
- L’uscita dal porto
- L’incidente
- I soccorsi
- La Moby brucia coi passeggeri a bordo
- L’affollamento nel porto
- Il castello di bugie sull’accaduto
- La versione ufficiale
- Chi era il comandante sardo Ugo Chessa
PARTENZA
La partenza
La nave traghetto Moby Prince della compagnia di navigazione Nav. Ar. Ma (oggi Moby), il 10 aprile 1991, salpa dal porto di Livorno alle 22.05 in direzione porto di Olbia, con a bordo 141 persone.
Comandante della nave è il cagliaritano Ugo Chessa, 55 anni, marittimo di lunga esperienza che ha alle sue spalle già numerose ore di lavoro nelle tratte transoceaniche, oltre ad essere docente in corsi di formazione nel settore.
L’USCITA DAL PORTO
Traffico in porto
La Moby Prince inizia la sua navigazione uscendo a velocità controllata – come da protocollo di sicurezza – dal porto di Livorno che, quella sera, è molto affollato, in quanto, come in ogni realtà portuale multifunzionale si gestiscono traffici sia di merci che di passeggeri.
Fitta nebbia
Secondo quanto dichiarato dall’allora comandante della Capitaneria di Porto di Livorno, Sergio Albanese, in quel momento c’era una “oscurità assoluta”, dovuta ad una fitta nebbia.
L’INCIDENTE
L’incidente
Dopo 3 miglia di navigazione, alle 22.25 il traghetto Moby Prince penetra nella cisterna n°7 della petroliera Agip Abruzzo contenente 2600 tonnellate di liquido altamente infiammabile. Le scintille prodotte dall’attrito delle lamiere che vengono aperte come scatole di tonno e i vapori liberati dallo squarcio, innescano immediatamente un incendio che in poco tempo avvolge gran parte del traghetto e solo parzialmente la petroliera.
SOCCORSI
Ignorate le richieste di soccorso della Moby
Dal traghetto Moby parte subito – alle 22.25 – la richiesta di soccorsi attraverso numerosi mayday sul canale di emergenza Livorno Radio.
Personale di soccorso subito a poppa
Nel frattempo il comandante fa dislocare il personale di soccorso della nave sulla terrazza di poppa, dove dovranno accogliere i soccorsi dall’esterno.
Bruciati vivi a poppa
Le richieste di soccorso non avranno mai nessuna risposta e dall’esterno non arriverà nessun supporto: quando verranno fatti i rilievi sull’imbarcazione a incendio spento, i corpi del personale di soccorso verrà trovato carbonizzato nella terrazza di poppa della nave.

Il mayday dalla petroliera
Anche dalla petroliera Agip Abruzzo partono immediatamente con regolari mayday le richieste di soccorso. Sono le 22.26 quando il comandante della nave, Renato Superina, dice “Siamo incendiati, c’è venuta una nave addosso”. Il comandante crede di essere stato speronato da una bettolina.
I soccorsi
Alle 23.00 arrivano sul posto dell’incidente i primi soccorsi. Si tratta non di un soccorso organizzato e coordinato, ma di un arrivo alla spicciolata di mezzi non specifici per questa mansione, come ad esempio la piccola barca di due ormeggiatori, Mauro Valli e Valter Mattei (timoniere).
I due ormeggiatori quando arrivano sul posto l’area è completamente invasa dal fumo della collisione e la visibilità è pessima.
Ancora nessuno sa – così si legge nella ricostruzione ufficiale – che c’è stata una collisione tra due navi e non si sà quale sia, eventualmente l’altra imbarcazione coinvolta.
Gli ormeggiatori pescano l’unico sopravvissuto
Gli ormeggiatori, una volta giunti sul posto, capiscono che oltre alla petroliera, c’è un’altra nave coinvolta nell’incidente e che probabilmente si tratta di collisione.
Valli e Natti si diriggono quindi verso la poppa del traghetto dove vedono aggrappato alla ringhiera una persona e gli dicono di buttarsi in acqua. Si tratta del giovane mozzo napoletano Alessio Bertrand che sarà, alla fine, l’unico sopravvissuto della Moby Prince.
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C’è ancora gente da salvare
Bertrand appena è a bordo, agli ormeggiatori urla che sulla nave ci sono ancora tante persone da salvare. Quanto detto viene subito riferito da Natti via radio alla Capitaneria.
Le stesse cose le urla anche quando sale sull’ambulanza una volta riportato a terra.
La motovedetta della Capitaneria indugia e sta a distanza
Sul posto, oltre agli ormeggiatori, intanto vi già un’altra imbarcazione, questa volta più grande e ufficializzata ad adempiere le operazioni di soccorso: si tratta della motovedetta della Capitaneria di porto CP 232 che indugia e si tiene a debita distanza.
Nelle comunicazioni via radio, riporate poi negli atti del processo, tra il personale di bordo e quello di terra si evince chiaramente che dalla motovedetta hanno visto che si tratta di due navi coinvolte in una collisione: “Si ho visto una nave incendiata, ma mi tengo a debita distanza”.
Una delle navi, il traghetto sta già avendo la peggio perché in fiamme.
Nessuno a vedere dalla terrazza Mascagni
Quando succede una collisione tra navi in rada la prima cosa da fare è identificare le imbarcazioni coinvolte.
La sera della strage della Moby Prince a Livorno si sarebbero potute fare tre cose:
- raggiungere il posto con delle motovedette – ma si sarebbe trattato di una operazione troppo lenta
- far alzare in volo un elicottero – anche questa operazione sarebbe stata troppo lenta
- far uscire un’automobile dal porto e farla sostare nella terrazza Mascagni da cui si domina tutta la rada – e questa sarebbe stata la soluzione più veloce e logica. Anche perché la rada di Livorno è aperta e si può osservare facilmente a occhio nudo.

Gregorio de Falco mette i punti in chiaro
Come ha confermato il comandante Gregorio de Falco, in una intervista alla trasmissione Rai “Linea di confine” del 12 marzo 2025, dal porto di Livorno sarebbe stato facile – e in tempi brevissimi – capire a occhio nudo cosa era successo sul luogo dell’incidente, mandando un’auto sulla terrazza Mascagni, da cui era possibile vedere tutta la rada antistante, anche grazie al fatto che la morfologia della costa a Livorno è aperta sul mare e non presenta rilievi o frastagliature.
La Capitaneria non manda altri soccorsi
Questa operazione non fu fatta dalla Capitaneria e non furono prese neanche in considerazione le altre due soluzioni alternative (certamente più lente da mettere in pratica), come ad esempio l’attivazione dell’elicottero di pronto intervento sempre a disposizione della Capitaneria o dell’imbarcazione di servizio SVH (servizio soccorso) che faceva la spola di pattugliamento per la sicurezza tra Livorno e La Spezia.
Ma non c’è un ordine di coordinamento.
De Falco, i soccorsi non ci furono
Sempre nell’intervista alla Rai del 12 marzo 2025, il comadante Gregorio De Falco dice che “… io sono convinto che i soccorsi non vi furono. Fu una totale inesistenza”.
Ci sono state persone rimaste a lungo in vita; che hanno compiuto tanti atti respiratori; che si può dire per certo che sono rimaeste in vita per ore. Non morirono nei 30 minuti come dice il rapporto ufficiale. Quei 30 minuti tuttavia assolvono tutti perché “non fu possibile alcun soccorso”. In realtà – conclude De Falco – “non fu tentato alcun soccorso”.
In porto sapevano cosa era successo
“Pochi minuti dopo la collisione, al porto di Livorno il personale della Navarma sapeva che la nave coinvolta nell’incidente era la loro – dice Luchino Chessa anche lui intervistato dalla Rai, per il programma “Linea di confine” del 12 marzo 2025. Ma nessuno ha parlato”.
LA MOBY BRUCIA
CON I PASSEGGERI A BORDO
La danza macabra della Moby impazzita
Ormai il luogo dell’incidente è avvolto da un fumo denso, mentre la Moby Prince – totalmente fuori controllo – comincia a girare vorticosamente su se stessa a velocità sostenuta. Durante questo periodo muoiono gran parte delle persone a bordo, soffocate dal denso fumo prodotto dagli incendi.

I passeggeri radunati nel salone in attesa del salvataggio
I passeggeri sono stati lasciati morire. Tutti i passaggeri erano nel salone De Lux con le manichette antincendio accese. I passeggeri hanno in spalla gli zaini e le borse, tengono per mano i bambini e hanno indosso i giubbotti salvagente.
Dalla Moby continuano ad essere inviati diversi mayday, ma tutti rimasti inascoltati.
Sembra una bettolina entrata in collisione
Le prime comunicazioni della Agip Abruzzo dicono che forse è una bettolina ad aver colpito la petroliera. Nelle registrazioni di quelle comunicazioni ecco cosa dice la Agip Abruzzo “Noi abbiamo Iranian Light e crude oil, ma non sappiamo cosa ha la bettolina che ci è venuta addosso”.
In realtà si capirà dopo che non vi fu alcuna bettolina a entrare in collisione con l’Agip Abruzzo, ma fu il traghetto Moby Prince appunto.
Sul Canale 16 alcune conversazioni
Intano un radioamatore intercetta sul canale 16 alcune conversazioni tra personale marittimo di vario tipo, a bordo di navi presenti nel momento della collisione.
Il canale 16 in radiofonia marittima è la frequenza internazionale di emergenza, soccorso e chiamata utilizzata sulle radio VHF (Very High Frequency).
È obbligatorio per legge che tutte le imbarcazioni dotate di VHF marittimo lo tengano sempre in ascolto quando sono in navigazione.
Queste conversazioni saranno elementi fondamentali per la ricostruzione dei fatti di quella sera, alternativi a quella ufficiale. Le comunicazioni sono in lingua inglese ma rimarranno senza un perché.
- Prima della collisione – La prima comunicazione fu prodotta da una nave prima della collisione che dice” C’è una nave passeggeri in transito”.
- Dopo la collisione – La seconda, dopo la collisione, da una nave denominata “Theresa” che non era prevista in arrivo al porto di Livorno in cui si dice: “stiamo andando via immediatamente ..”.
L’ufficiale della GdiF vide l’incendio e il traffico
L’ufficiale della Guardia di Finanza Cesare Gentile, disse agli inquirenti che lui vide direttamente dal porto, a occhi nudi, l’incendio sulla petroliera e che, quel giorno, si stavano effettuando in quel tratto di mare dei “movimenti strani“, ovvero il trasporto di armi da una nave militare americana a terra, per mezzo di bettoline.
Ufficialmente non esistono tracciati radar di quella notte che certificano una volta di più queste fitte operazioni di tarsbordo.
L’AFFOLLAMENTO NEL PORTO
L’affollamento nel porto di Livorno
Quella sera il porto di Livorno era molto affollato. Oltre alla petroliera Agip Abruzzo vi erano infatti a poca distanza le seguenti imbarcazioni, alcune delle quali in incognito perché non erano previste nel registro del porto di Livorno:
Tre navi militarizzate americane, una nave militare francese, decine di bettoline italiane e un pescatore di altura somalo.
L’Agip Abruzzo era in divieto di ancoraggio
Da quanto emerge negli atti del processo si accerta che la Agip Abruzzo, nel momento della collisione si trovava in divieto di ancoraggio.
Per anni si dichiara però che la petroliera “era lì dove doveva stare” come disse anche l’allora sottosegretario all’Interno Valdo Spini. Ma poi si scoprì che invece era in divieto di ancoraggio.
Questo è stato accertato dal sistema satellitare statunitense i cui materiali sono stati poi desecretati e le commissioni parlamentari hanno potuto studiarle.
Trasbordo di armi
Il gli americani dichiarano il cessate il fuoco contro l’Iraq di Saddam Hussein e si conclude ufficialmente la Prima Guerra del Golfo.
Nel porto di Livorno, si trova a 16 minuti di auto dalla base americana di Camp Derby (Pisa) e in quello specchio di mare, quella sera, si stavano svolgendo delle operazioni di trasbordo di armi e attrezzature belliche dalle navi militarizzate (navi commerciali utilizzate dal governo per trasportare armamenti) al porto di Livorno, dove mezzi di ricezione vengono caricati e portano i pericolosi carichi alla base americana.
Le operazioni di trasbordo si svolgono utilizzando piccole e agili imbarcazioni, le bettoline che vengono caricate il più possibile – alcune volte anche mettendoci sopra pesanti carri armati Abrams – fino al limite dei livelli di galleggiamento.
A bordo delle bettoline si trova personale italiano e tra questi anche agenti segreti, come si evince dall’intervista fatta per la Linea di confine del 12 marzo 2025.
Da notare che anche il comandante della Agip Abruzzo, nell’annuncio del mayday “ipotizza” che l’imbarcazione protagonista della collisione sia una bettolina.

Contrabbando di carburante
L’Agip Abruzzo probabilmente era posta in divieto d’attracco, lontana dagli occhi della Finanza, per consentire alle bettoline di abbeverarsi di carburante in attività di contrabbando.
Terza nave taglia la strada alla Moby
L’ipotesi è che una di queste bettoline abbiano tagliato la strada alla Moby Prince durante tali operazioni.
Il peschereccio d’altura
In rada al porto di Livorno, quella sera dell’aprile 1991, tra le tante imbarcazioni che sostano e circolano nello specchio di mare c’è anche il peschereccio bianco “Ocktober 21 II“, un peschereccio d’altura che si sarebbe dovuto trovare quella sera al porto di Livorno per manutenzioni e rifornimento.
E invece era in mare proprio davanti al porto nei pressi del luogo dell’incidente.
La moglie di un ufficiale che vive nel porto ha confermato di aver visto quella sera il peschereccio e poi la mattina dopo di non averlo visto più.
Si ipotizza sia stata la Ocktober 21 a tagliare la strada alla Moby. C’era un danno sul peschereccio che poteva essere compatibile con una collisione precedente che ha costretto il Moby a virare. Un dettaglio portato alla luce dalla Seconda Commissione d’Inchiesta.
Per l’Onu il peschereccio fa traffico d’armi
Il 21 October fa parte di una flotta di pescherecci d’altura donata dall’Italia alla Somalia tra il 1986 e il 1990. Questa flotta, secondo la Commissione monitoraggio sull’embargo delle armi (Nazioni Unite), ha fatto ripetutamente traffico d’armi, portando in e dalla Somalia armamenti con container.
Ilaria Alpi e l’Ocktober 21
Questo peschereccio sarà poi coinvolto nell’inchiesta di Ilaria Alpi del 1994 sul traffico d’armi in Somalia. Inchiesta che poi costerà la vita a lei e al suo cineoperatore, Milan Rovaty, e i cui responsabili degli omicidi non sono mai stati individuati.
- Possibile a questo punto un legame tra la tragedia della Moby Prince e l’ipotetico traffico d’armi tra Italia e Somalia di cui parlava l’inchiesta di Ilaria Alpi?
Mare affollato ma nessuno ha visto
Quella sera il porto di Livorno era molto affollato ma pochi occhi si sono resi disponibili a dire cosa hanno visto.
- Tutti i pezzi di verità sono stati conquistati faticosamente da silenzi ermetici.
- Questo perché molte operazioni – come il trasbordo delle armi – stava avvenendo sotto copertura.
- Non si crede che ci sia un legame di causa effetto tra i traffici delle navi militarizzate e l’incidente, tuttavia si ipotizza la manovra sbaglia di una imbarcazione coinvolta nei traffici che ha costretto il treghetto della Moby a una brusca virata.
Traffico e nessuna traccia radar
Dunque quella sera sullo specchio d’acqua del porto di Livorno c’era una fitto traffico di imbarcazioni, alcune delle quali rimaste sconosciute anche dai registri e altre mai individuate ufficialmente perché manca totalmente la mappatura radar di quella sera.
Anche le richieste fatte in tal senso dalle Commissioni Parlamentari, alla vicina base militare americana di Camp Derby sono state liquidate con la dichiarazione “…non abbiamo questo materiale”.
USA, Russia e Francia non collaborano
Varie ambasciate straniere (Francia, Russia, Stati Uniti) sono state sollecitate dalle Commissioni Parlamentari per forniere informazioni utili alla ricostruzione dell’incidente (tracce radar, imbarcazioni…).
L’ultimo invito a collaborare è stato fatto dalla Terza Commissione Parlamentare d’Inchiesta, presiduta dal forzista Pietro Pittalis, ma anche questo è caduto in un rifiuto.

IL CASTELLO DI BUGIE SULL’ACCADUTO
Non c’è nessuno da salvare
Alessio Bertrand, lunico sopravvissuto del traghetto Moby Prince, dopo essere stato salvato dagli ormeggiatori viene subito trasferito sulla motovedetta della Capitaneria 232 per essere poi trasferito in porto dove si trovano le ambulanze pronte a pronte a portarlo in ospedale.
Dichirazioni contrastanti
Salito a bordo della motovedetta della Capitaneria, secondo quanto riportato negli atti del processo, Bertrand avrebbe detto al personale che “… non c’era più nessuno da salvare nel traghetto. Che tutti erano morti”.
Una versione opposta a quello che invece avrebbe dichiarato quando, poco prima, era salito a bordo del battello degli ormeggiatori e sopratutto quando è salito dopo nell’ambulanza che lo aspettava a bordo, quando continuava a sbracciarsi e ad urlare affinche qualcuno si attivasse per andare a salvare gli altri passeggeri rimasti nel traghetto, tra cui, soprattutto i suoi amici.
Le colpe a Chessa e alla nebbia
Nonostante la presenza di così tanti natanti nel porto (e dunque di così tanti occhi) il giorno dell’incidente, nessuna testimonianza su ciò che avvenne fu riportata negli atti del processo e le colpe dell’incidente furono individuate in quattro possibili fattori:
- la fitta nebbia, come precisò sia il comandante della Capitaneria di Porto di Livorno, Sergio Albanese, che l’allora sottosegretario agli Interni, Valdo Spini.
- La negligenza del comandante Chessa che, vedendo in mezzo al mare due luci distanti duecento metri, decise di infilarsi dentro pensando fossero due imbarcazioni diverse, mentre, in realtà, erano la luce di prua e di poppa della petroliera Agip Abruzzo
- La distrazione del personale di bordo – il personale della nave quella sera si sarebbe distratto a guardare la televisione perché a quell’ora si trasmetteva la partita di calcio Juventus-Barcellona
- Strumentazione rotta: fu avanzata l’ipotesi che il radar rotto o il timone fuori uso.
Depistaggi infamanti
Queste informazioni distorte e queste accuse, forse infamanti, condizionaranno il lavoro lacunoso degli inquirenti, fino alla situazione attuale in cui, commissioni parlamentari e inchieste giornalistiche, hanno ormai accertato che la ricostruzione ufficiale non è poggiata su elementi di verità.
Fu costruito dunque un castello accusatorio fatto di approssimazione, omissioni e forse veri e propri depistaggi.
Qualcuno ha tagliato la strada alla Moby
Secondo il comandante De Falco sicuramente c’è stata una perturbazione improvvisa della rotta della Moby Prince, cioè qualcuno ha tagliato la strada alla Moby Prince e l’ha obbligata a virare bruscamente a dritta.
- Non ci sono ufficialmente ricostruzioni che mettano in relazione il traffico di armi e la tragedia/strage dell’incidente tra la Moby Prince e la Agip Abruzzo.
- Si sa ad esempio che la Moby Prince, poco prima dell’impatto con l’Agip Abruzzo, non poteva accostare alla propria sinistra perchè altrimenti avrebbe investito una bettolina in transito. E quindi ha accostato alla propria dritta (cioè a destra) finendo però dentro la fiancata della Agip Abruzzo, precisamente pentrando nella cisterna n°7 che conteneva 2.600 tonnellate di greggio
Le difficoltà del lavoro giornalistico
Sin dalle prime ore dal disastro giornali e telegiornali hanno cominciato a raccogliere tutte le informazioni possibili, da fonti ufficiale e non ufficiali, per cercare di capire la dinamica dell’incidente.
Durante la copertura di un evento del genere tuttavia le uniche fonti pubblicate sono state quelle ufficiali e così, sia le autorità politiche che le redazioni giornalistiche, venivano investite da un flusso di informazioni – non si sa da chi generate – estremamente fuorvianti.
Nessuno è stato sbalzato in avanti
Alessio Bertrand – come unico sopravvissuto – compare più volte nelle dichiarazioni presenti negli Atti del processo.
- dichiara che appena salito sul battello degli ormeggiatori dice al Valli che nella nave traghetto ci sono altre persone da salvare;
- trasbordato nella motovedetta della Capitaneria, cambia invece versione e dice che non c’erano altre persone da salvare;
- all’arrivo in porto, mentre viene caricato nell’autoambulanza, urla a squarcia gola sollecitando i soccorsi ad andare a prendere le altre persone dal traghetto che ancora sarebbero rimaste vive in quei momenti
- nella ricostruzione del momento dell’impatto tra il traghetto e la petroliera, Bertrand dice che si è sentito un fortissimo rumore e tutti i passeggeri sono stati catapultati in avanti. Come se la nave fosse stata fermata all’improvviso durante il moto della navigazione. Come se avesse trovato un grosso ostacolo che l’ha bloccata.
Dalle accurate ispezioni fatte dopo negli interni nella nave non sono risultati segni di questa proiezione improvvisa e violenta di persone od oggetti sulle pareti dei vani.
La versione ufficiale
Tutti assolti, il fatto non sussiste
Il processo per omissione di soccorso e omicidio colposo sulla tragedia della Moby Prince si conclude davanti al Tribunale di Livorno nel 1997 con l’assoluzione degli imputati perchè “il fatto non sussiste”.
Il riassunto delle vicende processuali sembra una storia di giustizia negata e di vittime beffate.
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Nel ’99 scatta la prescrizione
Nel 1999 la Corte d’Appello di Firenze ribalta in parte la sentenza di Livorno ma deve dichiarare “il non doversi procedere” perché nel frattempo è scattata la prescrizione.
I parenti chiedono aiuto al Parlamento
Nel 2006 una nuova inchiesta spinta dalle istanze dei familiari delle vittime si conclude con l’archiviazione nel 2010.
Archiviazione che non ha mai convinto i parenti delle vittime che nel 2010 ottengono l’istituzione di una Commissione Parlamentare d’Inchiesta a cui ne seguiranno altre due (unico caso nella storia della Repubblica).

Giornalisti e parlamentari smascherano la versione ufficiale
Ad aprile del 2021 la giornalista Adele Grossi, per la trasmissione Report, pubblica la sua inchiesta sulla Moby Prince.
C’è un materiale probabotorio intensissimo e il lavoro delle commissioni parlamentari che smascherano il castello accusatorio fondato su elementi infondati che portano a veri e propri depistaggi.
La nebbia inesitente
Secondo la ricostruzione ufficiale, stabilita da due sentenze assolutorie e altrettante richieste di archiviazione, la causa dello scontro sarebbe stata «una nebbia fittissima» e la negligenza del comandante Chessa che sarebbe passato in mezzo tra due luci distanti 200 metri ma che invece erano la luce di prua e di poppa della Agip Abruzzo.
- L’Avvistatore Marittimo – Romeo Ricci – invece ha però dichiarato che quella sera la nebbia non c’era e che la visibilità era discreta. Lui controllava coi propri occhi tutti i movimenti in entrata e in uscita dal porto e in un’intervista alla Rai, pochi giorni dopo la tragedia, ha chiaramente detto di aver visto la petroliera Agip Abruzzo ancorata in rada.
- La Prima Commissione Parlamentare di Inchiesta ha invece chiarito che non ci fu nebbia e non ci fu negligenza da parte del comandante.
Affrettate dichiarazioni ufficiali sbagliate
L’allora sottosegretario all’Interno Valdo Spini in una intervista parla della presenza della nebbia in quel tratto di mare.
L’allora Comandante della Capitaneria di Porto di Livorno Sergio Albanese dichiara che l’area attorno al luogo dell’incidente è avvolta da una fitta nebbia che definisce addirittura “oscurità assoluta”, a cui c’è da aggiungere l’errore umano (il comandante della Moby Chessa sarà accusato ufficialmente di “negligenza”).
- Se di nebbia non si poteva parlare, di cattiva visbilità però sì, ma questa si verificò effettivamente dopo la collisione delle due navi, con i fumi e i vapori che hanno velocemente invaso l’area.
- Al momento della partenza dell’incendio sulla Agip Abruzzo la visibilità era così buona che un ufficiale della Guardia di Finanza, Cesare Gentile, uno dei primi uomini ad uscire in soccorso, disse agli inquirenti che la visibilità era perfetta . Inoltre, nella comunicazione sul canale radio di emergenza il comandante della Agip dice ” Livorno ci vede, ci vede con gli occhi”.
La Snam fa l’inchiesta interna ma spariscono le carte
La Seconda Commissione Parlamentare d’Inchiesa, nel 2021, aveva chiesto all’Eni le carte dell’inchiesta interna fatta al momento dell’incidente dalla Snam (la Agip Abruzzo allora sotto la Snam (oggi Eni) e la risposta è stata che quelle carte non c’erano più, era passato troppo tempo.
Snam e Navarma si assicurano due mesi dopo
A due mesi dall’incidente Snam e Navarma stipulano delle assicurazioni per proteggersi da eventuali addebiti di conseguenze per l’incidente.
L’assicurazione di Snam ripagherebbe gli eventuali danni ambientali, l’assicurazione di Navarma ripagherebbe gli eventuali danni ai familiari delle vittime.
In questo modo i due soggetti coinvolti si tutelerebbero a vicenda qualora le cose andassero male, cioè se venisse condannati.
Premio assicurativo ai familiari per chiuderla lì
Altro fattore che cambia con queste assicurazioni è che i familiari delle vittime potrebbero rinunciare al processo e “accontentarsi” del premio assicurativo.
Nessuno di questi due soggetti però ha collaborato in maniera significativa a comprendere come erano andate le cose il giorno della tragedia.
La scoperta che questi soggetti fecero delle stipule assicurative dopo l’incidente, mettendo le mani su eventuali responsabilità, è stata fatta dalla Prima Commissione Parlamentare d’Inchiesta.

Soccorsi disatrosi, lo Stato non paga
A questo punto, dimostrato con certezza dalle Commissioni che i soccorsi sono stati disastrosi, i familiari delle vittime si rivolgono in via civile alle responsabilità del Ministero delle Infrastrutture e dell’Interno.
Il risultato? Nessun risarcimento e nessuna condanna al pagamento delle spese processuali da parte di questi enti.
Quasi tutto in prescrizione
La maggior parte dei reati sul piano penale sono ormai andati in prescrizione. Rimangono solo quelli di strage e omicidio volontario, mentre, sul piano civile sussite ancora il diritto al risarcimento ai parenti delle vittime.
Nel 2017 la magistratura civile tuttavia ha rifiutato il risarcimento ai familiari delle vittime dicendo che “…in fondo le valutazioni della commissione parlamentare erano politiche”.
Chi era Ugo Chessa
Il comandante Ugo Chessa era un esperto ufficiale della marina mercantile italiana, noto per la sua lunga carriera e per essere stato al comando del traghetto Moby Prince durante la tragica notte del 10 aprile 1991.
In quell’occasione, il Moby Prince, partito da Livorno e diretto a Olbia con 141 persone a bordo, entrò in collisione con la petroliera Agip Abruzzo, causando un devastante incendio che provocò la morte di 140 persone; solo un membro dell’equipaggio, Alessio Bertrand, sopravvisse.
Chessa, originario della Sardegna, era considerato uno dei migliori comandanti navali italiani, con numerose esperienze in missioni transoceaniche.
Era noto per la sua serietà e disciplina professionale. La sua passione per il mare era una tradizione di famiglia, tramandata da generazioni.
Il corpo della moglie Maria Giulia non fu mai ritrovato
Ugo Chessa era sposato con Maria Giulia Ghezzani, che si trovava a bordo del Moby Prince quella notte per convincerlo a lasciare la vita marittima e dedicarsi alla famiglia a Cagliari.
Maria Giulia andò infatti e a trovarlo a bordo del Moby Prince per discutere con lui di questioni lavorative, voleva cioè proporgli di cambiare vita ed aiutarla così nel loro negozio in città.
Dopo la tragedia, Chessa fu inizialmente indicato come responsabile dell’incidente, ma le indagini successive e le dichiarazioni dei suoi familiari hanno messo in discussione questa versione, evidenziando possibili errori nei soccorsi e la presenza di nebbia fitta quella notte. Nel corso degli anni, le famiglie delle vittime, inclusi i figli di Chessa, hanno chiesto la riapertura delle indagini per fare piena luce sull’accaduto.
La salma di Ugo, numero 10, è stata trovata accanto a quella del terzo ufficiale Arcangelo Picone all’interno dell’atrio che separava il self service dalla sala poltrone di prua, proprio sotto la plancia di comando. Quella di Maria Giulia purtroppo non è mai stata accertata.
Il disastro del Moby Prince rimane la più grave tragedia della marina mercantile italiana dal dopoguerra, e la figura di Ugo Chessa è ricordata con rispetto e affetto da chi lo conosceva e da chi continua a cercare la verità su quella notte.
GLOSSARIO
L’Avvistatore Marittimo
L’Avvistatore Marittimo è una figura professionale della Capitaneria di Porto o di altri servizi marittimi, che ha il compito di osservare e controllare il traffico marittimo in una determinata area, spesso da postazioni costiere strategiche (come torri di avvistamento, fari, o postazioni radar).
I suoi compiti principali includono:
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Osservare e segnalare l’arrivo, la partenza e il movimento delle navi.
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Identificare le imbarcazioni che entrano o escono da un porto o da una zona di controllo.
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Comunicare con le navi via radio, per fornire istruzioni o raccogliere informazioni.
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In caso di emergenze (collisioni, incendi, avarie), allertare le autorità competenti.
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Collaborare con altri enti marittimi per la sicurezza della navigazione, il rispetto delle regole portuali e la sorveglianza ambientale.
Dove lavora?
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In centri VTS (Vessel Traffic Service), che sono torri o centri di controllo con radar e sistemi di monitoraggio.
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In posti di vedetta costieri o centri operativi della Guardia Costiera.
Curiosità:
Il lavoro dell’avvistatore marittimo è un po’ come quello di un controllore del traffico aereo, ma per le navi. È fondamentale per garantire che tutto si muova in modo sicuro e ordinato in mare.
La bettolina
Una nave bettolina (o semplicemente bettolina) è una piccola nave cisterna, usata soprattutto per trasportare carburanti, oli o altri liquidi (come acqua dolce, prodotti chimici, ecc.) su tragitti brevi, spesso all’interno di porti, canali o acque costiere.
Caratteristiche principali:
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È più piccola rispetto a una grande nave cisterna.
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Ha serbatoi interni per contenere i liquidi.
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Si muove tra grandi navi e terraferma, oppure tra porti vicini.
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È molto usata per il rifornimento delle navi nei porti (per esempio, per fare il pieno di carburante: questo si chiama “bunkeraggio”).
Esempio d’uso:
Una nave da crociera entra in porto e ha bisogno di rifornirsi di carburante. Non si sposta in una stazione di servizio, ovviamente… Arriva la bettolina, si affianca e fa il pieno alla nave.
Insomma, la bettolina è una piccola cisterna galleggiante, molto pratica e specializzata per le operazioni portuali o di corto raggio.
La base militare di Camp Derby
La base militare di Camp Darby, oggi nota come Darby Military Community, è un’importante installazione militare situata tra Pisa e Livorno, in Toscana. Fondata nel 1951 in seguito a un accordo tra il governo italiano e quello statunitense, la base prende il nome dal generale William O. Darby, fondatore dei Rangers dell’esercito USA, caduto in Italia nel 1945.
Caratteristiche principali
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Posizione strategica: Camp Darby si trova in un’area logisticamente vantaggiosa, vicina al porto di Livorno, all’aeroporto militare di Pisa, a una ferrovia e a un canale navigabile, facilitando il trasporto di mezzi e materiali per operazioni militari e umanitarie.
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Funzione logistica: È uno dei maggiori depositi di materiale bellico degli Stati Uniti fuori dal territorio americano, con un ruolo cruciale nelle operazioni militari statunitensi, specialmente in Medio Oriente durante gli anni ’80 e ’90.
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Controllo e gestione: Sebbene ospiti unità militari statunitensi, la base è sotto la giurisdizione italiana e può essere gestita in qualsiasi momento dalle autorità italiane. Dal 10 giugno 2020, la parte nord della base è stata trasferita all’Esercito Italiano, che vi ha insediato il Comando delle Forze Speciali.
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Personale civile: Circa 500 civili italiani lavorano nella base, impiegati in incarichi amministrativi e logistici a supporto delle attività militari.
Curiosità
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Ogni anno, nel mese di luglio, si tiene una fiera all’interno della base, aperta al pubblico, con cibo statunitense e varie attrazioni, molto apprezzata dagli abitanti locali
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Fino al 2014, la base disponeva dell’American Beach, l’unica spiaggia statunitense in Europa, situata sul litorale pisano, successivamente restituita al Comune di Pisa.
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La base trasmette programmi radiofonici in lingua inglese attraverso AFN Eagle, l’American Forces Network, udibile nelle zone di Pisa e Livorno.
Rilevanza attuale
Nonostante alcune riduzioni nel personale e nelle dimensioni, Camp Darby rimane un avamposto militare significativo per gli Stati Uniti in Europa, grazie alla sua posizione strategica nel Mediterraneo e alla capacità logistica che offre per operazioni militari e umanitarie.
Se desideri ulteriori informazioni o dettagli specifici sulla base, sono a tua disposizione.
Differenza tra tragedia e strage
La differenza tra “tragedia” e “strage” sta nel significato e nell’uso delle due parole:
🏛️ Tragedia
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Significato generico: un evento drammatico, doloroso, che provoca grande sofferenza.
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Può essere naturale, accidentale o causata da persone.
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Esempi:
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“La tragedia del terremoto ha sconvolto l’intera regione.”
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“È stata una tragedia familiare.”
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🔹 Uso esteso: si usa anche in senso figurato o emotivo.
🔹 Origine: dalla tragedia teatrale greca, dove il destino crudele colpiva l’eroe.
💥 Strage
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Significato specifico: l’uccisione violenta di un gran numero di persone o animali, spesso tutta in una volta.
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Quasi sempre causata da azioni umane (es. attentati, guerre, massacri).
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Esempi:
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“La strage di Bologna del 1980.”
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“Una strage di civili durante il bombardamento.”
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🔹 Uso tecnico e giuridico: è un reato nel codice penale italiano.
✅ In sintesi:
Parola | Cosa indica | Causa tipica | Esempio |
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Tragedia | Evento drammatico | Naturale o umana | Terremoto, incidente, lutto |
Strage | Uccisione di massa | Quasi sempre volontaria | Attentato, guerra, massacro |