Il pensiero di Antonio Gramsci è il frutto di un’elaborazione intellettuale durata tutta la vita.
Dai vissuti giovanili, alle esperienze universitarie, passando per la prigionia durante il fascismo, alla morte precoce conseguenza di una salute precaria e una lunga detenzione.
I “quaderni dal carcere“, ovvero i manoscritti che il grande intellettuale sardo compose durante la permanenza in carcere per resistere alla privazione della libertà, sono un compendio realistico del suo pensiero.
Differenza tra direzione e dominio di un Paese
Secondo Gramsci, affinchè un gruppo sociale diventi guida di un paese deve prima imparare a dirigere e poi a dominare le minoranze.
- Dirigere un paese significa orientarlo secondo la politica voluta dalla maggioranza.
- Dominare un paese significa che le forze sociali che costituiscono quella maggioranza controllano tutte le altre, determinando una egemonia.
Per dirigere un paese, dice Gramsci, è necessario che la classe che esprime la maggioranza sia in grado di risolvere i problemi più importanti della società e imporre la sua concezione politica.
Concetto di egemonia
L’egemonia di una classe sociale secondo Gramsci avviene quando questa effettua anche un “dominio culturale”.
Il dominio culturale significa influenzare la mentalità, i valori, le leggi e i costumi della società che si vuole dominare.
Questo è ciò che fa ad esempio, la borghesia nella società capitalistica, capace di trasformare il senso comune in funzione dei suoi scopi legati al consumo e al commercio.
Una classe sociale dominante diventa tale quando riesce a far accettare la sua mentalità alle classi subordinate anche quando questa è contraria ai suoi interessi.
La crisi egemonica
L’egemonia della classe dominante entra in crisi quando, pur avendo il dominio, questa non riesce più a dirigere il paese, cioè non è più capace di affrontare e risolvere i suoi problemi.
Quando l’egemonia di una classe sociale entra in crisi può innescarsi un processo rivoluzionario che può portare a un’inversione dei rapporti di forza: la classe dominante diventa subalterna e viceversa, la classe subalterna diventa dominante.
Risorgimento rivoluzione borghese
Il Risorgimento italiano (1861-1971) non fu una rivoluzione che portò al pareggiamento delle differenze di classi, bensì una reazione borghese al dominio dinastico che determinò, più che altro, un allargamento dei domini territoriali sabaudi senza coinvolgere le classi popolari (di cui la maggior parte erano contadini) che rimasero invece escluse dagli spazi politici.
In Francia una rivoluzione compiuta
In Francia invece, la Rivoluzione francese (1789-1799) fu appoggiata dai giacobini che ottenero al termine dei moti un riconoscimento politico, sociale e culturale.
Mazzini e Garibaldi popolari a metà
Secondo Gramsci, il partito più vicino alle classi popolari era il Partito d’Azione di Garibaldi e Mazzini che, sebbene riuscì ad estendere il possesso delle terre demaniali ai contadini, represse le loro rivendicazioni quando sconfinavano in rivolte anti baronali.
Il ruolo degli intellettuali
Per Gramsci, al fine di ribaltare i rapporti di forza tra classi dominanti e classi subalterne è necessario che queste ultime dispongano di intellettuali organici alla loro visione e in grado di innescare nuove forme di consenso che possano sostituire l’ideologia dominante, implementando nelle menti dei potenziali sostenitori un’altra concezione del mondo.
Durante il Risorgimento italiano ad esempio, la mancanza di un ceto intellettuale che rappresentava le istanze popolari e contadine era una delle ragioni di fondo che portò le classi contadine ad essere escluse dalla rappresentanza politica.
La dove c’è stata espressione culturale delle classi subalterne, le classi dominanti l’hanno derubricata a “folclore”, cioè come espressioni pittoresche e ridicole.
Al contrario, il Risorgimento si limitò ad essere solo una rivoluzione borghese che aveva tra i proprietari terrieri e i grandi industriali i suoi intellettuali.
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Differenza tra egemonia e dittatura secondo Gramsci
Gramsci distingue l’egemonia dalla dittatura.
La dittatura è la limitazione del potere politico degli avversari o concorrenti
L’egemonia è il consenso di un gruppo sociale maturato attraverso gli strumenti di controllo e produzione culturale (istituzioni religiose, partiti, scuole…) .
La divisione delle classi subalterne
Piccola borghesia, proletariato e sottoproletariato sono le classi più deboli della società borghese. Queste categorie non sono riuscite a conquistare fette di potere durante il Risorgimento perché sono rimaste divise tra loro.
Il blocco sociale
Per “blocco sociale” si intende l’assetto di potere dominante costituito dalla alleanza politica delle classi più dominanti della società: piccola borghesia, classe media, proprietari terrieri e industriali.
Sebbene tali classi abbiano interessi divergenti che possono entrare in conflitto, grazie una cultura e una ideologia comune orientata al controllo della posizione, evitando che i potenziali contrasti esplodano in crisi che potrebbe minare il sistema di potere.
La Chiesa cattolica
La Chiesa cattolica è una delle forze di coesione del blocco sociale più efficaci da duemila anni a questa parte nel mondo occidentale.
La Chiesa, imponendo l’unione dottrinale di tutti i fedeli (dominanti e dominati) e impedendo che altre religioni si impadroniscano di tale egemonia al fine di non creare pericolse fratture sociali e culturali, fa sì che il blocco sociale rimanga in vita e sia forte.
La Chiesa con tenacia ha disciplinato la diffusione della cultura tra la popolazione consentendo occasionalmente aperture alla filosofia e alla scienza abbastanza picocle da non creare fratture.
Croce e Gentile pedagogisti a laicità limitata
Sebbene le scuole filosofiche di Croce e Gentile abbiano avuto un’impronta culturale molto importante nella società italiana di primo ‘900 e sebbene si siano definite scuole non confessionali, “concedono” l’insegnamento della religione definendola la “filosofia dell’infanzia”.
Concetto di rivoluzione passiva
Una delle espressioni più note e caratterizzanti del pensiero gramsciano è senz’altro il concetto di “rivoluzione passiva” che il politico e intellettuale sardo coniò a cavallo della Prima e della Seconda Guerra Mondiale.
La rivoluzione passiva è il cambiamento graduale e non brusco o violento di un sistema economico, politico o sociale.
Questa “metodologia rivoluzionaria”si pone come via di mezzo tra la rivoluzione bolscevica, tipicamente violenta e burrascosa e la rivoluzione borghese (come ad esempio il Risorgimento italiano).
La prima porta a una sostituzione al potere della classe sociale attraverso metodi violenti coinvolgendo in prima persona le classi subalterne, la seconda porta invece solo a una apparente sostituzione al potere senza coinvolgere le classi subalterne.
La coscienza politica delle classi subalterne
Affinché le classi subalterne (sottoproletariato, proletariato, piccola borghesia) abbia gli strumenti per emanciparsi dalla condizione di suddittanza e subordinazione devono elevarsi culturalmente e farsi guidare da una propria categoria di intellettuali in grado di elaborare concetti e filosofia che vadano oltre la cultura del senso comune.
Solo con la cultura anche il subalterno può raggiungere uno stato di consapevolezza fondamentale per raggiungere la coscienza politica ed avere una sua forza egemonica.
Frammentazione politica italiana
Nel ‘400 Macchiavelli segnalava la sterilità politica ed economica di una pensiola suddivisa in tanti staterelli governati ognuno da una propria borghesia che entrava in contrasto (economico, politico, militare) con quella del vicino.
Tale frammentazione, contraria alla tendenza unitaria degli stati moderni europei che si andavano via via coagulando sotto un unico regno, portò gli stati italiani a vivere la peggiore “forma di stato feduale” e la più “stagnante”.
Con questo assetto geopolitico parcellizzato – sottolina Gramsci rileggendo Macchiavelli – non poteva emergere alcuna forza nazional – popolare identificabile di matrice giacobina o simil tale.
La borghesia rurale italiana si opponeva facilmente ai deboli tentativi di volontà collettiva popolare e contadina, grazie proprio alla frammentazione corporativa e comunale degli stati italiani.
Il partito politico
L’unico organismo in grado di rappresentare unitariamente le istanze delle classi subalterne è il partito politico che ha al suo interno una disciplina di adesione attorno ad una visione comune dei suoi membri.
Gramsci, nei suoi scritti tra il 1919 e il 1926, ribadì l’importanza della “disciplina ferrea” come collante tra i membri del partito e contestava vivamente ogni forma di “frazionismo” che invece offriva il fianco debole all’attacco delle classi dominanti.