La Sardegna è la terra che vanta i lembi geografici più vecchi d’Italia, ma fu una delle ultime ad essere esplorata e poi abitata dall’uomo. Per molte migliaia di anni rimase disabitata a causa dell’insularità e dell’inospitalità . L’isola era prevalentemente montuosa e collinare, ricoperta di fitta boscaglia e battuta da venti selvaggi. Importante era anche il tasso di piovosità a causa delle vicende glaciali che, sebbene avessero lambito le regioni dell’Europa nord-orientale (Polonia e coste della Germania orientale), riguardarono di riflesso anche il mediterraneo. Ancora fumavano i vulcani e frequenti erano pure gli incendi.
IL SARDO NEGROIDE
L’arrivo dell’uomo in Sardegna pare risalga al Paleolitico Inferiore, quando questa terra era in continuità col continente. In Africa, nella penisola Iberica e in quella Italica, la presenza umana era già una costante da tempo e proprio dal continente africano sarebbero arrivati i primi cacciatori alla ricerca dei grandi mammiferi che popolavano ancora questo territorio, tra essi ricordiamo: l’orso, la scimmia e l’elefante nano. Alcune fonti, ipotizzano di un arrivo pure dalla Corsica che fece da ponte dal Golfo Ligure e da quello di Lione, lo dimostrano i più antichi reperti di presenza umana nell’isola di Santo Stefano (Arcipelago della Maddalena).
A DORGALI LA LONTRA PIÙ GRANDE D’EUROPA
Gli unici indizi che certificano la presenza dell’uomo in Sardegna fin dal Paleolitico Inferiore (circa 2,5 milioni di anni fa), sono stati rinvenuti nel 1955 sulla costa di Dorgali, presso la Grotta di Ziu Santoru, a nord della più nota Grotta del Bue Marino e presso alcune grotte della Codula di Luna, il grande canyon che ha dato origine alla spiaggia di Cala Luna. I reperti recuperati erano un focolare con pezzi di carbone e ossa bruciate di megaceros cazioti (un cervo endemico) risalenti a 150.000-120.000 anni fa. Il ritrovamento fu il risultato di una storica campagna di scavo diretta dal paleontologo italiano Alberto Carlo Blanc, grande scopritore di testimonianze umane primitive nell’Agro Pontino (trovò il cosiddetto canale delle Acque Alte, detto Canale Mussolini) che fece il paio con quella avvenuta presso la Grotta di San Giovanni sempre in territorio di Dorgali. Qui fu portato alla luce un esemplare di Megalenhydris Barbaricina, una specie di lontra glaciale di dimensioni doppie rispetto a quelle degli attuali esemplari (si stima che fosse la più grande mai esistita sul territorio europeo) che arrivò in Sardegna assieme alla foca monaca durante l’ultima glaciazione.
IL MAMMUTH SARDO
Il Mammuthus lamarmorae, conosciuto più comunemente come “Mammut sardo” è il piccolo pachiderma che visse in Sardegna e in Corsica nel Pleistocene, il periodo più tardo delle glaciazioni, tra 2,58 milioni e 11.700 di anni fa. Secondo le ricostruzioni, l’animale aveva dimensioni ridotte, 150 cm di altezza al garrese, non certo paragonabili né agli antichi Mammut (suo ascendente era il Mammuthus trogontherii) che avevano taglie medie da 5 metri al garrese, né ai loro discendenti, gli elefanti attuali che in Africa misurano 3,7 metri (oggi il più grande mammifero terrestre) e in Asia registrano massimo i 3,5 metri (il secondo più grande animale in terraferma).
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I RESTI DEL MAMMUT SARDO: ALGHERO, SINIS E GONNESA
Il mammut sardo era l’unico mammut endemico d’Italia e i suoi resti fossili (denti soprattutto) sono stati ritrovati ad Alghero in località Tramariglio, nella penisola del Sinis a Capo San Marco e a Gonnesa presso Funtana Morimenta. Di quest’ultimo rinvenimento, avvenuto alla fine dell’800, sono stati recuperati la maggior parte dei frammenti: porzioni di arti, qualche vertebra, costole, bacino e mandibola. I calchi delle ossa sono esposti presso il Museo Pas di Carbonia.
- Museo Pes, via Campania, 61, Carbonia. Telefono: 0781 662199

L’ORO SARDO: L’OSSIDIANA
L’uomo sardo dopo aver sviluppato l’adattamento ambientale e realizzato alcune piccole comunità stabili, entrò in contatto con le altre genti del mediterraneo attraverso lo sviluppo economico legato al commercio dell’ossidiana, il vetro vulcanico di cui la Sardegna era molto ricca che divenne merce di scambio e soprattutto strumento di evoluzione culturale che ruppe l’isolamento. Dietro l’arco del Golfo di Oristano, oltre le lagune pescose e i ristagni ricchi di cacciagione fra Santa Giusta e Terralba, c’era il Monte Arci che distava dal mare appena una decina di chilometri in linea d’aria. Questa montagna, formatasi sul bordo orientale del Campidano, conteneva, inclusi nei filoni di roccia o sciolti nel greto dei torrenti che scendevano dalle vallate, un’enorme quantità di globuli e ciottoli di ossidiana, con cui l’uomo del neolitico costruiva armi e utensileria di vario genere.
I GIACIMENTI DI OSSIDIANA A MONTE ARCI
Si svilupparono così ingenti traffici commerciali, paragonabili a quelli moderni del carbone o del petrolio. I principali giacimenti erano quattro, fra cui il più importante fu quello di Roja Cannas – Uras, e tutti erano opportunamente collegati con gli oltre 70 centri di raccolta, di cui il più vasto fu in località Sa Mitza de sa Tassa. Il mercato dell’ossidiana aveva la Sardegna come baricentro, ma si estendeva dalla Provenza, alla Liguria, all’Italia meridionale, alla Sicilia. L’ossidiana fu dunque la spinta a far conoscere economicamente la Sardegna e ad invogliare a frequentarla.
- Geomuseo Monte Arci, Via Cappuccini, 57, 09090 Masullas OR. Telefono: 0783 991122. Orari e tariffe.